È stata una domenica di insolite proteste a Budapest, la capitale ungherese, contro il governo di Viktor Orban. Insolite, sì, perché a mobilitarsi non sono stati i partiti dell’opposizione o la società civile ma la minoranza rom. I manifestanti hanno denunciato la crescente retorica antiziganista di Fidesz e quella che percepiscono come una celata ma palpabile segregazione, razziale, sociale e spaziale, nei loro confronti.

La protesta

Circa 2mila persone si sono riversate per le strade della capitale ungherese nella giornata di domenica, chiedendo all’esecutivo di rispettare i diritti della comunità rom e di applicare una sentenza che ha recentemente condannato lo stato a risarcire una famiglia rom i cui figli hanno subito forme di segregazione in una scuola elementare del villaggio di Gyongyospata nel lontano 2011. La sentenza, comunque, non è decisiva perché l’ultima parola spetta ai giudici della corte suprema.

Insieme ai rom sono scesi in piazza anche i comitati antirazzisti, capitanati dalla Open Society del magnate George Soros, l’acerrimo nemico di Orban. Il coinvolgimento dell’organizzazione non governativa nelle proteste, tuttavia, è meno politico di quel che si potrebbe credere, ossia esula dalla rivalità che divide il magnate ungherese-americano e il primo ministro di Budapest; infatti la Open Society è interessata alla tematica dell’integrazione dei rom nella società europea sin dalla sua fondazione e segue e guida progetti dedicati in tutto il continente, con un focus particolare sui Balcani.

La comunità rom ungherese ha deciso di inscenare la protesta dopo che Orban, prendendo posizione sulla sentenza, ha spiegato che non darà luce verde ad alcun risarcimento e che lancerà una consultazione nazionale per chiedere al popolo di esprimersi sulla vicenda. Secondo i critici del governo, Orban starebbe cavalcando l’onda dell’antiziganismo, un sentimento molto diffuso, antico e radicato, nelle società balcaniche, per sottrarre voti a Jobbik, il secondo partito più popolare del paese, che è di estrema destra.

Una realtà complessa, un futuro distopico

L’intromissione del governo nella questione arriva a poche settimane di distanza da una marcia anti-rom organizzata nel villaggio di Miskolc da Mi Hazank Mozgalom, un partito politico fondato nel 2018 da ex membri di Jobbik. La marcia aveva attratto centinaia di persone ed era stata messa in piedi per criticare l’agenda dell’Opre Roma, il partito dei rom, che sta lottando per far ottenere alle contee del paese a maggioranza rom, o che comunque ospitano minoranze significative, uno status speciale, di autonomia, ma soprattutto per dare visibilità pubblica ad un altro tema sensibile: quello della criminalità.

Gli abitanti di Miskolc e i membri di Mi Hazank hanno voluto commemorare la morte di un’anziana 61enne, recentemente uccisa da un giovane rom nel corso di una rapina nel vicino villaggio di Saly, denunciando la presunta proliferazione, in tutto il paese, di ghetti etnici ad accesso limitato, ossia no go zones.

L’antiziganismo sta aumentando nella società ungherese e il motivo è semplice: come nel resto dei Balcani, anche nel paese magiaro sta avvenendo una rivoluzione etnica che in pochi decenni dovrebbe trasformare i rom da minoranza significativa, ma emarginata, al primo gruppo etnico nazionale. Sebbene le statistiche degli enti governativi stimino i rom in circa 300mila unità, studi sul campo più accurati dell’università di Debrecen e della divisione Rom e Nomadi del Consiglio d’Europa indicano un numero compreso fra 500mila e un milione. Considerando che l’Ungheria ha una popolazione di poco meno di 10 milioni di abitanti e dando per credibili i numeri non governativi, significherebbe che 1 abitante su 10 ha origini rom.

In questo contesto si inquadra l’agenda natalista di Fidesz che, tramite incentivi alla procreazione di varia natura, ambisce a risollevare il tasso di fertilità degli ungheresi, che è fra i più bassi al mondo.

La transizione etnica potrebbe essere realmente questione di pochi decenni anche perché gli studi del campo ignorano l’irrilevante dato dell’identità etnica proclamata dai cittadini censiti (perché molte persone si dichiarano ungheresi pur non essendolo) focalizzandosi sul concreto, ossia sui dati forniti da ospedali e scuole. Questi dati dipingono uno scenario radicalmente diverso da quello dei censimenti: ogni due neonati, uno ha origini rom, e la percentuale di studenti rom iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado raggiunge anche picchi del 43%.

La situazione è incandescente perché oltre all’emergenza criminalità esiste un problema a livello di fondamenta. Quando la transizione avverrà, nei prossimi anni, lo stato sociale potrebbe collassare. I rom ungheresi, infatti, dipendono largamente dal welfare garantito da Budapest, essendo quasi totalmente esclusi dal mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione superiore al 85%, e anche la generazione che si appresta a guidare il cambiamento epocale si ritroverà senza strumenti adeguati per reclamare la propria emancipazione, dato che 1/3 dei rom sceglie di non proseguire gli studi oltre il ciclo primario e solo il 15% possiede un diploma.