La vittoria di Joe Biden alle presidenziali del 2020 rappresenta pure una sconfitta per il “fronte conservatore” della Chiesa cattolica. “Open” e “progressive” sono due delle parole che il nuovo presidente degli States ha utilizzato con soddisfazione in queste ore. Il messaggio, rispetto a Trump, è già cambiato. E i prossimi mesi potrebbero essere quelli della riforma bioetica, con il ritorno alla visione aperturista di Obama in materia di aborto, istanze Lgbt e così via.
I tradizionalisti americani, così come la base pro life, hanno confidato in un secondo mandato di The Donald ma, al netto dei ricorsi a cui assisteremo nelle prossime settimane, è abbastanza facile prevedere come la gestione Biden-Harris sia destinata a distanziarsi dalla impostazione che era stata data dal leader del Gop, con la battaglia condotta contro Planned Parenthood che tanto era piaciuta a buona parte dei cattolici americani. Qualche cardinale ha persino espresso simpatia verso il tycoon. Il che, nel corso del regno “bergogliano”, non è proprio consueto.
Joe Biden è cattolico. E questa è una novità abbastanza marcata per gli equilibri della politica americana. La Conferenza episcopale americana, durante la giornata di ieri, ha inoltrato il suo messaggio di congratulazioni, ponendo più di qualche accento sulla parola “unità”. Sappiamo quanto siano stati difficili i rapporti tra l’episcopato a stelle e strisce e la gestione targata Trump-Pence. La questione dei fenomeni migratori, giusto per fare un esempio, ha costituito un tema divisivo. Per non parlare del dossier Cina: la Santa Sede ha stipulato un accordo biennale per la nomina dei vescovi che non è mai piaciuto né agli esponenti del trumpismo né a quelli del “fronte tradizionale” cattolico.
Adesso, con Biden al comando, le relazioni muteranno. E la previsione non può che narrare di un clima destinato alla distensione. Papa Francesco e la dottrina del multilateralismo diplomatico del segretario di Stato Pietro Parolin, in buona sostanza, hanno un alleato in più. Ma Biden è un cattolico abortista, e i tradizionalisti non hanno fatto fatica a sottolinearlo nel corso della campagna elettorale. Monsignor Carlo Maria Viganò, il cardinale Raymond Leo Burke e pochi altri: le critiche a Biden sono arrivate da alti ecclesiastici che si contano sulle dita di una mano. Il popolo cattolico – quello sì – si è esposto verso Trump. E in queste ore sta continuando a pregare affinché i ricorsi vadano in un certo modo. La Chiesa cosiddetta “istituzionale”, invece, festeggia, con James Martin, consultore della segreteria per la Comunicazione del Vaticano e sostenitore della necessità di un “ponte” tra cattolicesimo ed istanze Lgbt, in testa.
Il dado è tratto: i progressisti cattolici avranno di sicuro la possibilità di costruire una sintonia maggiore con il presidente che si insedierà – se tutto dovesse andare come previsto – durante il mese di gennaio. I conservatori rimangono senza rappresentanza o quasi. In questa storia può risiedere anche un aspetto escatologico, con la “minoranza creativa” di stampo ratzingeriano che potrebbe divenire appunto sempre più minoritaria nel palcoscenico culturale globale. Quella Chiesa che Joseph Ratzinger pensava dovesse ripartire da un esiguo numero di fedeli è, nella interpretazione di alcuni commentatori, una realtà già narrabile.
In questi mesi, qualcuno ha provato a dire che Joe Biden, in quanto abortista, non dovesse accedere all’Eucaristica. Anche Benedetto XVI, quando era pontefice, era stato chiaro sul punto, ma i tempi sono cambiati. E la linea dell’accoglienza di Bergoglio non prevede ostacoli insormontabili per chi ricerca la verità, cattolicamente intesa. Trump si era spinto fino al condividere su Twitter la missiva in cui monsignor Carlo Maria Viganò parlava di destini del mondo in gioco. Jorge Mario Bergoglio, d’altro canto, aveva preferito non incontrare il segretario di Stato Mike Pompeo nella sua recente visita a Roma.