Arrivati a Tunisi i turisti incontrano ovunque cartelli con la doppia lingua: arabo sopra, francese sotto. Retaggio coloniale certamente, ma anche comodità per gli spostamenti e le indicazioni. Del resto, in tutti i paesi del mondo dove la lingua ufficiale non ha i caratteri dell’alfabeto romano si usano anche le indicazioni con un’altra lingua, quasi sempre l’inglese. In Tunisia vige ancora il francese perché il Paese è stato colonia francese e gli idiomi della madrepatria hanno lasciato un’impronta ben visibile ancora oggi. Ma adesso tutto questo potrebbe essere messo in discussione. Non certo per i cartelli stradali, che per ovvi motivi non possono contenere soltanto le indicazioni in arabo. Bensì per i commercianti: nei giorni scorsi infatti, il consiglio comunale della capitale tunisina approva la modifica che obbliga tutti i negozi ad avere le scritte solamente in arabo. 

La nuova norma controversa

Souad Abderrahim è sindaco di Tunisi dallo scorso mese di maggio. È la prima donna a ricoprire un incarico politico così prestigioso nel paese. Ma non è espressione di movimenti progressisti, bensì del partito conservatore Ennhadha. Si tratta di una formazione orbitante attorno la sempre più variegata galassia dei Fratelli Musulmani. Dire che si tratta del primo sindaco eletto direttamente dai cittadini è una grossolana esagerazione: alle urne per le prime elezioni amministrative della storia tunisina, si reca a maggio soltanto il 35% degli elettori. In alcuni quartieri di Tunisi poi, l’astensionismo oltrepassa anche il 70%. Pur tuttavia i risultati emersi incoronano l’esponente conservatore quale primo cittadino. Adesso è proprio lei ad essersi intestata la battaglia per l’arabizzazione di tutti i nomi dei negozi della capitale. 

La norma viene approvata il 31 dicembre scorso all’unanimità dal consiglio comunale. Sembra destinato a passare in sordina, invece il nuovo atto desta un non indifferente clamore mediatico. C’è chi è favorevole, ma in gran parte i commercianti soprattutto sono contrari. Il timore è che le insegne senza il francese possano diventare incomprensibili, soprattutto per i turisti. Lo spirito della norma è quello di alimentare l’identità araba della Tunisia. Quello dei nomi dei negozi è solo il primo passo: si vuole cercare di rendere Tunisi ancora più orientale, con l’aspetto dei viali principali sempre più arabizzanti. Le polemiche intanto divampano: come spiega Francesco Battistini sul Corriere della Sera, sui social in Tunisia dilaga la frase “Identità, non stupidità“. Anche tra chi è d’accordo con le rivendicazioni identitarie, arrivano dunque dei dubbi: c’è chi infatti, in modo pragmatico, teme per l’economia turistica e c’è chi invece afferma la possibilità di far convivere l’identità araba con i segni del passato coloniale. 

La svolta che si rifà alla totale condanna di ogni simbolo di quello che l’amministrazione comunale di Tunisi chiama “segno del gollismo” non sembra piacere. Tanto che la stessa Souad Abderrahim adesso si mostra più cauta: “Sarà una riforma graduale”, rassicura. Ma nella capitale tunisina adesso temono che la ricerca all’identità araba del paese passi dall’essere una legittima esigenza culturale ad una vera e propria cieca ossessione. 

La questione identitaria diventa politica

L’attuale dibattito in corso in Tunisia sembra assumere una connotazione più grande di quella che, in apparenza, possa sembrare. Non è soltanto una norma e non è soltanto un’iniziativa amministrativa del primo cittadino. La questione riguarda l’orientamento che la Tunisia vuole intraprendere. Il paese è quello più vocato, per storia e posizione geografica, al rapporto con il Mediterraneo all’interno del mondo arabo. Qui sono arrivate le prime leggi laiche in un ordinamento arabo, qui è arrivata una secolarizzazione che pone oggi la Tunisia come un paese sì dai tanti problemi, ma anche dai tanti caratteri più moderati. Se anche qui dunque si inizia a guardare con una certa insistenza all’eliminazione di ogni retaggio storico, vuol dire che le distanza tra le varie sponde del Mediterraneo sono destinate ad aumentare. Con tutte le conseguenze del caso sia per i paesi arabi che per quelli europei. 

Assistere al dibattito in Tunisia sui simboli del “colonialismo gollista” da eliminare, sembra ricordare ai recenti dibattiti in Spagna sull’eliminazione delle ultime statue di Francisco Franco od in Italia sui segni del fascismo. La Tunisia, così come il mondo arabo nella quasi sua totalità, cerca di prendere le distanze dall’occidente. E di certo, in questa parte del Mediterraneo, di motivazioni ne hanno parecchie. Ma il rischio è che le rivendicazioni di un’identità puramente araba e la sacrosanta velleità di bloccare una possibile eccessiva occidentalizzazione, vadano ad innalzare degli steccati culturali in grado di non far guardare la storia (e con essa l’attualità) con lucida obiettività. Con la prospettiva di una sempre maggiore crescita dei Fratelli Musulmani, appoggiati da Turchia e Qatar. Gli ultimi sondaggi del resto, parlano chiaro: Ennhadha nel 2019 potrebbe essere il primo partito. La Tunisia lentamente scivola più verso oriente. Anche da qui, da questa estrema punta settentrionale dell’Africa, si preferisce guardare in basso verso i modelli della penisola arabica e trincerarsi dietro la volontà sempre più forte di arabizzare anche ciò che arabo non è. 

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