Maks è l’acronimo russo di Salone Internazionale dell’Aviazione e dello Spazio (Международный авиационно-космический салон). Per me questa manifestazione aerea, una delle più importanti al mondo e tra le tre principali in Europa insieme a Le Bourget e Farnborough, ha un sapore del tutto particolare: vi partecipai per la prima volta nel 2017 – dopo anni passati a desiderare di andarci – ed è stato il punto di svolta della mia carriera di reporter e giornalista.
In questo 2021 di pandemia, per InsideOver sono tornato a Mosca per partecipare, da inviato questa volta, al Maks rituffandomi in una realtà, quella dell’aeronautica militare, che mi mancava da troppo tempo.
Le pratiche burocratiche per l’ingresso in Russia, che proprio per questioni epidemiche non emette visti turistici, sono state molto più agevoli del previsto, e lo stesso viaggio aereo è stato senza storia. Arrivo a Mosca il 19 luglio, e durante il mio viaggio di trasferimento dallo scalo di Sheremetyevo sino all’albergo (il medesimo della volta precedente) ho però potuto notare come in città siano spuntati cantieri un po’ ovunque: non solo la skyline si è aggiornata con la costruzione di nuovi grattacieli, che così, per certi versi, vanno a dipingere una silhouette simile a quella milanese di City Life (forse non un caso vista la fascinazione russa per il nostro stile sin dai tempi di Pietro il Grande), ma si stanno costruendo decine di opere infrastrutturali a macchia di leopardo.
Forse si tratta del risultato del “decreto di maggio” di Putin, un provvedimento del 2019 che stanziava 391 miliardi di dollari, pari a 25700 miliardi di rubli, di cui 8mila miliardi sarebbero finiti, entro il 2024, per costruire infrastrutture e occuparsi dei diversi problemi sociali. Una città che sembra in fermento, nonostante l’inflazione che ha costretto la Banca Centrale Russa ad alzare i tassi di un punto.
Un viaggio in “era covid”, ma uscito dall’aeroporto e sceso dal treno espresso alla stazione di Belaruskaya, la percezione della pandemia è andata scemando. I russi non indossano la mascherina con la stessa solerzia di noi italiani, nemmeno quando i mezzi pubblici sono pieni: pochi la portano sui pullman o sui treni, qualcuno in più sulla metropolitana. Tutto questo nonostante il Cremlino, proprio durante il mio soggiorno moscovita, ha ribadito che “l’obbligo delle mascherine rimane in tutte le regioni della Russia”, come affermato dal vice primo ministro della Federazione Tatyana Golikova. I russi però, sembrano sordi da quest’orecchio, come anche da quello vaccinale: ancora la scorsa settimana solo il 15% si era vaccinato con due dosi – rispetto al 48% degli italiani – per via di un sentimento di diffidenza e sfiducia verso i ritrovati nazionali.
Ora la situazione sta cambiando, e stiamo assistendo ad una vera e propria corsa al vaccino (+11% di richieste su base giornaliera) ma solo perché alcuni provvedimenti locali e statali obbligano i datori di lavoro ad avere almeno il 60% del personale vaccinato: una sorta di coercizione vaccinale indiretta, un po’ come il green pass nostrano.
Green pass che, peraltro, era stato preso in considerazione dal Cremlino, ma poi rapidamente abbandonato. Per fortuna. Mia. Perché sarebbe stato difficile dimostrare a un gestore di un ristorante russo che, oltre al tampone negativo, sono stato doppiamente vaccinato in Italia col certificato rilasciatomi dal Ssn, che ho scaricato tradotto in inglese e francese. I russi, infatti, difficilmente parlano inglese – o francese anche se risulti essere più diffuso – però, grazie alla fascinazione che hanno per il nostro Paese, quando capiscono che sei italiano si sforzano di capirti e di farsi capire. Fortunatamente so qualche parola di russo, come so leggere il cirillico (anche se spesso non so cosa stia leggendo), così me la sono cavata nel 2017 come anche quest’anno.
Il clima però, al di là della paura per il covid, è diverso rispetto al mio primo viaggio a Mosca: ho percepito, ma forse è solo una mia sensazione, un cambiamento di atteggiamento: i russi mi sembrano più chiusi e diffidenti verso gli stranieri, e lo imputo anche all’attuale situazione geopolitica che negli ultimi due anni, e soprattutto negli ultimi mesi, è andata ulteriormente deteriorandosi.
Nel 2017, infatti, nonostante fossero passati solo 3 anni dall’annessione della Crimea e dalle conseguenti sanzioni internazionali, erano più portati “al sorriso” rispetto a quest’anno. Ora sono più sospettosi, e c’è da capirli: presi come sono tra i due fuochi della propaganda occidentale e del Cremlino, comunque restano ospitali nonostante le apparenze, e vengo accolto quasi sempre bene.
Così finalmente, in un martedì mattino assolato e particolarmente caldo, arrivo all’aeroporto di Zhukovsky per il primo giorno del Maks. I controlli all’ingresso sono minuziosi: metal detector e perquisizioni degli zaini come all’aeroporto, fatti per due volte, più un terzo controllo dei documenti e relativo pass subito prima di entrare.
Dentro la struttura è organizzata allo stesso modo di come la trovai nel 2017: lungo una delle piste di rullaggio sono parcheggiati i velivoli in mostra statica, mentre negli edifici dell’aeroporto ci sono gli stand delle industrie aeronautiche e della difesa, la sala stampa, la sala congressi, gli ospitality vip di Rostec, Uac e altre società russe, e poi noto il tanto atteso padiglione del nuovo caccia russo, il Checkmate: un edificio nero, a pianta quadrata, con un cavallo degli scacchi dipinto sulle facciate.
Sono qui per questo, ma principalmente per ritornare nel mio elemento: i cacciabombardieri. Solo qui è possibile vederli volare vicino, molto vicino. In Europa Occidentale dopo la tragedia di Ramstein, i regolamenti per gli air show sono cambiati: qui invece, i caccia, gli elicotteri da combattimento e i velivoli commerciali mi passavano sulla testa. A poche decine di metri sulla testa. Tanto che, oltre a sentire il rombo dei motori che squarcia l’aria facendomi tremare i visceri (e la piattaforma di osservazione per i fotografi), si poteva sentire l’odore di cherosene bruciato. Per me un profumo inebriante.
Mi perdo letteralmente tra gli aerei parcheggiati, i missili nel padiglione di Almaz Antey e i modelli di satelliti e razzi di Roscomos. Tutte cose che, in occidente, è difficile vedere. Verso le 14 arriva il presidente Vladimir Putin, che visiona il Checkmate insieme ad altre autorità. Quest’anno quindi niente possibilità di “area stampa” nell’edificio a margine della pista, proprio sulla linea di decollo, com’è stato nel 2017. Pazienza. Mi avvicino alla recinzione per assistere e riprendere la piccola manifestazione aerea organizzata per il presidente. È sempre emozionante assistere al decollo e alle evoluzioni di Su-57, Su-35S e Su-30. Quest’anno non ho potuto vedere i “Cavalieri Russi” (Russkie Vityazi) ma ci sono i “Rondoni” (Strizhi) che volano su Mig-29. Poco male: lo spettacolo è comunque molto bello.
Terminata l’esibizione, durata circa un’ora, attendo pazientemente (molto pazientemente), che i responsabili di Sukhoi (il bureau che ha progettato il Checkmate) ci diano il via libera per entrare. Passano le ore, e alla fine alle 19:40 riesco a entrare nel padiglione. Il nuovo caccia è lì, a pochi metri, potrei toccarlo con mano se volessi (la tentazione c’è stata, lo ammetto). Scatto più foto possibile senza l’intralcio degli altri colleghi, e scappo verso il bus navetta per non perdere l’ultimo treno che mi riporta a Mosca dopo un’ora di viaggio. La giornata è stata estenuante, ma non sento la stanchezza. Anzi, sono talmente emozionato che, dopo aver scritto il pezzo per InsideOver sul nuovo caccia, faccio fatica ad addormentarmi.
Il giorno successivo, mercoledì 21, ancora a Zhukovsky, stavolta per vedere l’air show vero e proprio che comincia nel primo pomeriggio. Quest’anno, come ho anticipato, non c’è l’area stampa ma l’organizzazione ha predisposto una piattaforma “media” dall’altro lato della pista che raggiungiamo dopo 10 minuti di viaggio in un piccolo pullman (giusto per dare un’idea della grandezza dell’aeroporto).
Il meteo non è dei migliori, e le condizioni di luce non sono ottimali per fare delle belle foto e riprese, ma comunque l’emozione di vedere (e sentire come detto) i caccia passare a poche decine di metri dalla mia testa è intensa: torno bambino, nonostante i più di 40 anni che l’anagrafe, impietosa, mi affibbia.
L’air show termina verso le 16:40 ed ho ancora tempo di fare un ultimo giro alla mostra statica per vedere se qualcosa è cambiato – e scopro che viene aggiunto qualche elicottero spostato dall’area vip del giorno precedente – per poi rientrare in albergo non prima di essere passato in clinica per effettuare un tampone per potermi imbarcare sul volo di ritorno.
Il giorno successivo se ne va lavorando per mettere online video, scrivere, e fare un rapido giro nei dintorni. Come tutte le grandi metropoli, Mosca è una città piena di contrasti: da un lato la “ricchezza” rappresentata da un edificio adibito a centro commerciale, coi suoi ristoranti e le boutique, dall’altro la povertà rappresentata dai senza tetto che si radunano in un piccolo parco nei pressi della stazione dei treni e della metropolitana.
Venerdì mattina ho il volo di rientro in Italia, e alle 5 e mezza sono a Sheremetyevo per effettuare le procedure di imbarco che a causa del covid si sono allungate. Alle 08:20 il mio Airbus dell’Aeroflot decolla alla volta di Milano. Dasvidanya Moskva! È stato bello rivederti!