Elezioni di metà mandato: prevedevano un’onda rossa (colore dei Repubblicani), ma benché in vantaggio, il Grand Old Party arranca e non guadagna gli Stati che poteva contendere ai Democratici. Considerando che quasi tutti i candidati avevano l’endorsement di Donald Trump, il risultato riflette, inevitabilmente, lo stato della sua popolarità calante. Mentre cresce la statura e la popolarità di Ron DeSantis che ormai è quasi certamente lo sfidante delle primarie del Grand Old Party nelle presidenziali 2024.
Luci e ombre per The Donald
L’umiliazione peggiore arriva dalla Georgia. Il suo candidato Herschel Walker, per il Senato, è dietro il Democratico Raphael Warnock. A spoglio ancora in corso i due scenari che si prospettano sono o la vittoria di Warnock o un ballottaggio che si terrà a dicembre se nessuno supera la soglia del 50%. In compenso vince la corsa per il governo dello Stato l’anti-Trump Brian Kemp, che nelle primarie aveva sconfitto David Perdue, il candidato sostenuto dall’ex presidente. E nella corsa (meno nota, ma importante) per il segretariato di Stato vince Bradford Jay Raffensperger, accusato da Trump di aver permesso la “frode” elettorale nel 2020. Una triplice sconfitta per “the Donald”, insomma.
Non è una partita del tutto perduta per il tycoon, tutt’altro, considerando che il suo candidato di punta per il Senato, lo scrittore e imprenditore JD Vance (quello per cui l’ex presidente ha tenuto l’ultimo comizio elettorale) ha vinto in Ohio con ampia maggioranza, in uno Stato tutt’altro che scontato per i Repubblicani. Ma la mancanza di sfondamento negli Stati in bilico e l’assenza di conquiste delle roccaforti democratiche non è un buon biglietto da visita per Trump che intendeva annunciare la sua ricandidatura immediatamente dopo i risultati elettorali, come lui stesso ha lasciato intendere nei suoi ultimi comizi.
L’ascesa di DeSantis
Le elezioni segnano invece la consacrazione di Ron DeSantis il governatore della Florida che è stato rieletto con una vittoria a valanga anche nelle roccaforti democratiche, come quella del collegio elettorale Miami-Dade. Ha vinto il consenso delle minoranze latine. I primi rilevamenti sui flussi di voto rilevano un aumento di 17 punti percentuali in tutto lo Stato a favore del governatore. Ottimi anche i risultati di Marco Rubio per il Senato: l’ultimo dei neocon realizza un 57,7% nel suo Stato.
Il motivo del successo repubblicano in Florida è tutt’altro che scontato. Non è mai stata una roccaforte repubblicana, è uno Stato perennemente in bilico. Nelle elezioni del 2000 tenne l’America col fiato sospeso per settimane, perché fu proprio questo il campo di battaglia legale fra George W. Bush e Al Gore per determinare chi avesse vinto. Ed anche nelle ultime elezioni per il governatore, nel 2018 DeSantis aveva strappato una vittoria di strettissima misura (0,4 punti percentuali in più) su Andrew Gillum. Adesso invece si afferma con un netto 59,4% contro Charlie Crist.
Come funziona il “modello Florida”
Il motivo di questo trionfo è proprio nel governo di DeSantis, che ha fornito un modello di sviluppo alternativo e di successo, sia durante la pandemia che nella ricostruzione. Durante la pandemia, il governatore repubblicano ha chiesto la minima prudenza indispensabile ai suoi cittadini, con un lockdown molto parziale e molto breve: dopo due settimane i floridiani potevano tornare già sulle loro spiagge tropicali. Si è sempre opposto alla chiusura delle scuole. Quando è arrivato il vaccino, pur incoraggiando la vaccinazione, DeSantis si è sempre opposto all’obbligo. I risultati ottenuti sono ottimi: il tasso di mortalità in Florida è sempre stato nella media nazionale e molto inferiore a quello di Stati che hanno imposto misure molto più draconiane, come New York.
In compenso, la crescita economica nella ripresa post-pandemica è stata molto più rapida che nel resto del Paese. Alla vigilia delle elezioni, la disoccupazione in Florida era ridotta al 2,5% (contro il 3,7% nazionale). I risultati della mancata chiusura delle scuole si vedranno nei prossimi anni, ma di sicuro gli studenti floridiani hanno accumulato due anni di vantaggio rispetto ai loro coetanei di New York che hanno perso due anni di scuola in Dad.
Anche sul fronte della guerra culturale, il governatore repubblicano è stato in prima linea contro la cancel culture e contro l’introduzione dei programmi scolastici gender nelle scuole primarie (fino alla terza elementare). Cosa per cui è stato accusato di discriminazione: “non dire gay” è il nomignolo affibbiato alla sua legge statale, che in realtà si limita a chiedere un linguaggio dell’educazione sessuale appropriato ai bambini e ridà voce in capitolo ai genitori. La Disney, patria dell’infanzia per eccellenza, ha protestato (segno dei tempi che cambiano) e per tutta risposta DeSantis ha firmato la legge, approvata a maggioranza dal Congresso locale, per abolire lo statuto speciale di cui godeva il suo territorio.
DeSantis si lancia quindi nella sua corsa per le primarie repubblicane, può diventare candidato presidente. I suoi sostenitori lo inneggiavano con “altri due anni!” al momento della vittoria in Florida: il mandato ne dura quattro, ma sperano che dia le dimissioni per fare il presidente di tutti gli Usa. Comunque mai fare i conti senza l’oste: se anche Trump conferma la sua decisione di ricandidarsi alle primarie, farà di tutto per affondarlo. Anzi, lo sta già facendo, alla sua solita maniera, attaccandolo personalmente, accusandolo di ipocrisia. La sfida DeSantis-Trump per conquistare l’anima del Grand Old Party inizia oggi.