La Chiesa cattolica non è animata solo da chi, tra gli ecclesiastici, promuove volentieri l’accoglienza dei migranti a tutti i costi, la fine dello Stato nazionale, la bontà della cessione di quote di sovranità e la necessità di processi sinodali, ma di tipo politico. L’europeismo non abita in tutte le sagrestie. Papa Francesco e le alte gerarchie vaticane pensano che la dottrina politica sovranista sia pericolosa. L’unico populismo possibile – ha sostenuto di recente il vescovo di Roma – è quello cristiano. E l’Unione europea finisce per ricoprire il ruolo di alleato naturale della Santa Sede, in quanto contraltare della “mentalità chiusa”. Il ripristino dei confini trova la contrarietà del Santo Padre. Dei rischi comportati dal leaderismo secondo la visione cattolica progressista è quasi inutile parlare. Ma – si accennava – c’è pure chi fa una diagnosi differente.

L’Europa – questo è un tratto comune a buona parte degli ambienti ecclesiastici – è considerata malata. La patologia segnalata su referti, però, cambia a seconda del medico. Se per le gerarchie progressiste vale la pena tuonare contro l’incremento della “paura verso l’altro”, la Chiesa conservatrice, quella che avevamo imparato ad apprezzare sotto il pontificato di Joseph Ratzinger, insiste con la disamina sul relativismo valoriale. Un buon esempio di questo filone culturale è ancora rappresentato da monsignor Antonio Suetta, che è italiano è che è incaricato presso la diocesi di Ventimiglia-San Remo. Potrebbero essere elencati una serie di consacrati che, da più parti del Vecchio continente, hanno continuato a sbracciarsi, evidenziando la nocività di un’Europa desacralizzata. Quella che usa rinnegare le sue “radici cristiane”. Basterebbe citare i cardinali Robert Sarah e Peter Erdo.

La Conferenza episcopale italiana e la Chiesa cattolica – difficile sostenere il contrario – si sono distinte in questi anni per una serie di rimostranze, ma non per la critica al multiculturalismo. Monsignor Suetta, invece, ha tuonato eccome, affermando che: “La multiculturalità invocata per sminuire la matrice cristiana è il rinnegamento di ciò che ci è proprio”. Sembra quasi di ascoltare un altro vescovo, cioè Athanasius Schneider, che è arrivato ad asserire che: “Il fenomeno della cosiddetta ‘immigrazione’ rappresenta un piano orchestrato e preparato a lungo tempo da parte dei poteri internazionali per cambiare radicalmente l’identità cristiana e nazionale dei popoli europei”. Ma la gestione dei fenomeni migratori è solo uno dei campi dove gli ecclesiastici europei seminano in maniera diversa, a seconda di che visione del mondo professano. La bioetica è un altro terreno di scontro.

Conosciamo come, tanto alcuni ambienti ecclesiastici quanto le istituzioni sovranazionali europee, abbiano sposato la cifra stilistica dei pro choice: coloro che, sui temi etici, ventilano la sistematicità di una possibilità di scelta. C’è una parte di Chiesa cattolica a cui questa Unione europea, specie per l’ideologia sedimentata alla base, non piace affatto.