Gli Usa riprenderanno le missioni militari in Niger a due mesi dal golpe. In Cina è scomparso il ministro della difesa da due mesi sulla scia di altri funzionari scomparsi. L’apocalisse libica continua drammaticamente. Sia la Russia che gli Stati Uniti avanzano pretese al generale Haftar. Alla vigilia dell’uccisione di Mahsa Amini, Biden annuncia nuove sanzioni contro funzionari iraniani. Ecco i cinque fatti del giorno

Gli Stati Uniti riprendono le missioni militari in Niger

Il Niger rimane nel mirino della comunità internazionale. Da quando lo scorso 26 luglio i militari hanno messo in atto un colpo di Stato, la linea più dura è stata intrapresa dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Nelle ultime settimane infatti sono andate in scena diverse riunioni per fare il punto della situazione e decidere se intervenire militarmente per ripristinare il governo eletto e il presidente Mohamed Bazoum. Anche altri Paesi rimangono fermi su una dura posizione, tra questi gli Stati Uniti. È stato infatti annunciato dal generale James Hecker, capo delle forze americane per l’Europa e l’Africa, che le missioni militari Usa in Niger hanno ripreso a pieno regime. In Niger infatti sono presenti 1.110 soldati americani, alcuni di questi sono stati spostati dalla base aerea vicino a Niamey ad Agadez a circa 920 chilometri dalla capitale. “Attraverso il processo diplomatico, stiamo portando avanti, non direi il 100% delle missioni che facevamo prima, ma una grande quantità di missioni”, ha detto Hacker.

Giallo in Cina: scompare il ministro della difesa 

Da oltre due settimane, il ministro della difesa cinese Li Shangfu, non si vede più sulla scena pubblica. Crescono quindi le speculazioni che lasciano all’immaginazione le sue sorti. L’ipotesa più accreditata è che sia stato rimosso perché sotto indagine per corruzione. L’ultima sua apparizione risale al 29 agosto a Pechino durante il China-Africa Peace and Security Forum. Le sparizioni di alti funzionari non sono rari in Cina. Quest’ultima si aggiunge a molte altre. La più recente è quella del ministro degli esteri Qin Gang, rimosso dall’incarico nel luglio scorso. Prima ancora quella di due generali a capo dell’unità missilistica dell’Esercito Popolare di Liberazione. 

Libia in ginocchio: gli aggiornamenti

Nella città di Derna, epicentro del disastro del ciclone sub-tropicale “Daniel”, sono crollati circa 30 chilometri di rete stradale. È il Comitato tecnico per la rilevazione dei danni del Governo di unità nazionale (Gun), l’esecutivo con sede a Tripoli, ad averlo dichiarato oggi in una continua corsa contro il tempo per trovare superstiti e contare i danni subiti. Adesso l’unica strada aperta al traffico è Dahar al Hamar, il resto è stato spazzato via insieme a 90 ettari di terreno attorno alla valle di Derna e cinque ponti sul torrente adiacente. I morti sono arrivarti a 11.300 e altre 10.100 sono disperse. L’Unicef ha stimato che quasi 300.000 bambini sono stati coinvolti dal disastro. Il membro del comitato di crisi del comune di Derna, Hamad Al-Shalwi, ha descritto la situazione umanitaria nella città come “catastrofica”, aggiungendo che ci sono ancora molte persone intrappolate sotto le macerie e nel fango.

Il generale Haftar corteggiato da Putin e da Biden

Mentre la Cirenaica conta le sue vittime e i danni subiti dal passaggio del ciclone “Daniel”, Putin allarga la sua rete bellica. Mosca sta cercando di ottenere l’accesso ai porti controllati dal generale Khalifa Haftar per le sue navi da guerra. È il Wall Street Journal a riferirlo. I porti in questione sarebbero quelli di Bengasi e Tobruk situati a 700 km dall’Italia e dalla Grecia. Nelle ultime due settimane alti funzionari russi si sono incontrati con Haftar per discutere dei diritti di attracco a lungo termine nelle aree da lui controllate nell’est del Paese. Il generale Haftar è al centro di richieste da parte di tutti. Infatti sarà attesa a breve una missione diplomatica militare Usa per convincere il generale a espellere i mercenari di Wagner e incoraggiarlo a unificare le sue forze con quelle controllate dalle fazioni rivali. L’obiettivo è quello di creare una zona cuscinetto alla luce degli sconvolgimenti politici avvenuti nel Sahel

Alla vigilia del primo anniversario della morte di Mahsa Amini, Biden annuncia nuove sanzioni all’Iran

Un anno fa Mahsa Amini, una ragazza iraniana di 22 anni è stata uccisa dalla polizia religiosa per non aver correttamente indossato il velo. Da quel momento la popolazione iraniana è insorta insieme alla comunità internazionale. Oggi Biden, alla vigilia del primo anniversario della morte di Mahsa, ha annunciato sanzioni contro 29 fra personalità ed entità iraniane, “collegate alla violenta repressione del regime iraniano contro le proteste in tutto il Paese”. Tra loro spiccano decine di membri importanti delle forze di sicurezza del regime. Tra di loro il capo del sistema carcerario, Gholamali Mohammadi, alti funzionati, tre media affiliati al regime e una società che supporta il regime nella censura e il blocco dell’accesso a Internet. A un anno dalla “morte brutale di Mahsa, riaffermiamo il nostro impegno nei confronti del coraggioso popolo iraniano che sta portando avanti la sua missione. Stanno ispirando il mondo con la loro resilienza e determinazione”, ha affermato Biden.

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