La minaccia nucleare è soltanto un “bluff”. Ma i referendum annunciati nelle regioni filorusse segnano un punto di non ritorno e allontanano ulteriormente il negoziato, come dimostra anche la chiamata alla mobilitazione generale che ha gettato nel panico i russi facendo schizzare alle stelle il prezzo dei biglietti aerei e provocando lunghe code ai confini. Ne è convinta Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca dell’Istituto Affari Internazionali (IAI).
Tra pochi giorni nei territori occupati dalle truppe di Mosca si voterà per l’annessione alla Russia, come successe nel 2014 in Crimea. Quali saranno le conseguenze di questa mossa?
“L’annuncio del referendum per l’annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk Kherson e Zaporizhzhia segna un punto di non ritorno e complica la vita a chi, come il presidente turco Erdogan o Papa Francesco, credeva di riuscire a portare i contendenti al tavolo delle trattative. È chiaro che, come è stato per la Crimea, Putin non sarà disposto a tornare indietro. E questo rende ancora più difficile il cammino verso una soluzione diplomatica”.
I negoziati si allontanano mentre torna la minaccia nucleare. C’è davvero questo rischio?
“Penso che Putin stia bluffando. Del resto è lui stesso a contraddirsi quando afferma che verranno usate armi nucleari se verrà attaccato il territorio russo. È già successo quando i missili ucraini sono caduti su Belgorod e Kursk, eppure questo tipo di reazione non c’è stata. Inoltre, un leader che ha bisogno di sottolineare che le sue parole non sono un “bluff”, ammette implicitamente di non essere preso sul serio. Poi c’è una considerazione di ordine pratico: per usare le armi nucleari tattiche serve un obiettivo strategico. Dove verrebbero sganciate, sul fronte dove combattono anche i soldati russi, con il rischio che le radiazioni arrivino sul proprio territorio? La considero un’opzione improbabile”.
Eppure gli Usa hanno fatto sapere di prendere sul serio le parole del capo del Cremlino…
“Putin sa benissimo che un’azione del genere da parte della Russia avrebbe delle conseguenze. E sa anche di non avere le capacità di sostenere un conflitto diretto con la Nato. Penso invece che il fatto di coinvolgere direttamente l’Occidente sia funzionale alla propaganda interna: ammettere di essere stati respinti dall’esercito ucraino è umiliante, per quello ora si farà riferimento sempre di più agli occidentali”.
Qual è quindi la strategia di Mosca?
“Quella di influenzare la nostra opinione pubblica. Prima con il ricatto del gas, ora con lo spettro del nucleare, l’obiettivo del Cremlino è quello di portare gli europei, in parte già stanchi per gli effetti negativi del conflitto, a fare pressione sui governi per ritirare il sostegno all’Ucraina. Ma come abbiamo visto anche all’assemblea generale delle Nazioni Unite, i leader occidentali hanno riaffermato il loro supporto a Kiev. La verità è che Putin ha sbagliato i calcoli, si aspettava che la leva del gas fosse più efficace ed è stato colto di sorpresa dalla controffensiva ucraina. Con l’arrivo dell’inverno si andrà verso un periodo di stasi, i combattimenti saranno meno intensi e gli eserciti ne approfitteranno per riorganizzarsi”.
È per questo che è partita la mobilitazione parziale dei riservisti?
“Intanto c’è da dire che il decreto è talmente fumoso che permette di richiamare quasi tutti, non solo i 300mila richiesti dal ministro della Difesa Sergej Shoigu, ma ben 25 milioni di russi. E questo emerge chiaramente dalla reazione che hanno avuto i cittadini”.
Che tipo di reazione?
“Ieri la frase più digitata sui principali motori di ricerca era: “Come lasciare la Russia”. Non è un caso che le principali compagnie aeree abbiano dichiarato sold out i biglietti per Georgia, Armenia, Turchia, Kazakhstan e che i prezzi siano saliti in maniera esorbitante. Tanto per avere un’idea, alla frontiera con la Finlandia si è creata una fila di 35 chilometri di auto in uscita dal territorio russo”.
Quindi il consenso intorno a Putin si sta indebolendo?
“È difficile dirlo, perché le persone hanno paura ad esprimere la propria opinione liberamente. Voglio dire soltanto che finora il contratto sociale tra Vladimir Putin e il popolo russo si è basato sulla garanzia di stabilità economica in cambio di una non ingerenza sul piano politico. I russi fino a ieri hanno guardato la guerra dal divano di casa, attraverso gli schermi delle tv. Oggi invece sono chiamati a partecipare. E se è vero che i sondaggi dicono che la maggioranza è a favore della cosiddetta “operazione militare speciale”, è vero anche che solo il 3% è disposto a contribuire alla guerra, anche solo in termini economici”.
Questo vale anche per le élites?
“Sicuramente c’è preoccupazione e malcontento per il fatto che questa doveva essere una guerra veloce. Non lo è stata, la mobilitazione ne è la conferma, e il prezzo da pagare per loro è molto alto. Ci sarà di certo una riflessione sul futuro del sistema. Ma è un sistema talmente chiuso che è difficile davvero prevedere cosa succederà”.