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L’immagine di corpi bruciati nel parcheggio del crematorio di Delhi, convertito dalle autorità per ospitare i morti della seconda ondata di Covid, ha attirato l’attenzione di tutto il mondo. I giornali internazionali fanno la fila per trovare il colpevole, già individuato nella forma di governo Modi, come si era fatto nell’agosto del 2020, durante la prima ondata. Il partito di Modi non nega la responsabilità. “Siamo al potere, siamo il governo in India, quindi ovviamente la responsabilità è prima di tutto nostra, buona o cattiva, qualunque essa sia. È nostra responsabilità e stiamo facendo del nostro meglio”, ha detto Narendra Taneja, portavoce del Bharatiya Janata Party (BJP) a Christiane Amanpour della Cnn. Ma si poteva prevenire la seconda ondata con i vincoli che aveva il governo Modi? L’enormità della crisi e l’aggressività della nuova variante ”indiana” era prevedibile?

Governance indiano: il mescolio millenario

L’India è la più grande democrazia mondiale, sviluppatasi a macchia di leopardo tra tradizione e modernità. Si tratta di un paese, o meglio di un’unione, dove la governance è divisa tra il governo nazionale di Delhi e quella di 29 Stati (o regioni). Malgrado la complessità nel tracciare i confini indiani, i compiti tra gli Stati e il governo nazionale sono assai ben divisi. Quando Modi ha annunciato il primo lockdown nazionale a marzo 2020, i giornalisti e l’opposizione avevano già criticato la anticostituzionalità della scelta politica. Infatti il governo nazionale aveva usato la legge The disaster management act of 2005 per togliere il potere ai governi statali, prendendo pieno controllo del territorio. La scelta di Modi è stata molto criticata prima dall’opposizione, poi da esperti costituzionalisti, e infine da attivisti sociali e media internazionali. Durante il comizio del 25 marzo 2020, Rahul Gandhi, il rampollo della famiglia Gandhi, aveva dichiarato che il lockdown fosse una mossa inutile e barbarica, che ricordava le azioni compiute dai sultani nel Medioevo. Gli esperti avevano inoltre criticato la mossa politica di Modi, dichiarando che si stava approfittando della legge del 2005, che non era mai stata utilizzata per togliere il potere dalle mani dei governi statali per riporlo in quelle del governo centrale. Gli attivisti sociali e i media internazionali, invece, si sono lamentati per i poveri ed i lavoratori migranti che da un giorno all’altro si erano trovati senza lavoro dopo aver fatto lunghi viaggi tornando nei loro villaggi. Ma il lockdown funzionò e l’India riuscì a superare la prima ondata con danni minimi per una realtà così vasta e complessa.

Convinto di aver fatto del suo meglio, il governo Modi ritornò alla normalità, lasciando la governance ai singoli stati. D’altronde, sotto la pressione della costituzione e dell’opposizione, non aveva altra scelta. Come ben si sa, in una democrazia le elezioni sono sacrosante. Poiché in passato Modi è stato spesso accusato di oltraggiare il processo democratico, era molto importante che negli stati di Assam, Tamil nadu, Bengala (Ovest) e Kerala e lo territorio federale di Pondicherry si svolgessero le elezioni statali in tempo e senza troppe restrizioni. Le elezioni, regolamentate dall’autonomo “Election Commission”, rispondono direttamente al parlamento e non al governo nazionale, che non può interferire nel regolamento dello stesso. Quando 200 milioni di persone vanno alle urne, cose come assembramenti e altre prassi “sconvenienti” della democrazia sono del tutto normali. Di fatti, i 4 stati che sono andati al voto sono tra i 10 più colpiti dalla seconda ondata. Sia il partito di Modi, il BJP, che i partiti dell’opposizione sono colpevoli di aver organizzato raduni e di non aver rispettato le norme anti-COVID. Il governo nazionale poteva sicuramente cercare di imporsi di più sui governi statali e l’”Election Commission”, ma sarebbe stato accusato di sfruttare la pandemia per oscurare la limpidità dei processi democratici.

In diversi momenti dopo la prima ondata, il governo nazionale ha chiesto ai governi statali di vigilare attentamente sulla situazione in evoluzione ed ha lavorato per aumentare la loro prontezza nel rifornire ossigeno e medicinali. Tuttavia, senza poteri forniti dalla dichiarazione dello stato di emergenza, il governo nazionale indiano può solo esigere ma non può intervenire. E’ proprio dei singoli stati il diritto di imporre un lockdown sanitario, decidere di spendere del denaro per stoccare ossigeno e medicinali, o aumentare la capacità dei cimiteri municipali.

Dopo la prima ondata il potere e tornato nelle mani di governi statali, spesso governate dalla opposizione come nel caso del Maharashtra e Delhi. Questi ultimi hanno governato come li pareva, spesso agendo nella maniera opposta da quanto chiesto da Delhi. In questi giorni il sistema giudiziario si sta occupando di vari appelli che denunciano la mala gestione della pandemia da parte del governi statali. Il Delhi High Court, la Corte Alta dello stato di Delhi, ha ammonito il governo statale composta dal “Aam Aadmi party”(una spece di M5S Indiana), per la sua incapacità gestionale riguardo la fornitura di ossigeno agli ospedali durante questa seconda ondata. “Diteci se non siete capaci di garantire la fornitura di ossigeno agli ospedali e di controllare il mercato nero, così chiediamo al governo centrale di prendersene cura”, hanno detto i giudici Vipin Sanghi e Rekha Palli, rispondendo ad una petizione delle aziende ospedaliere statali.

La farmacia del Mondo rimane senza materia prima

Un altro chiodo sulla bara indiana è stato il protezionismo di Biden. Come prima mossa di politica internazionale, il presidente americano ha convocato la riunione dei capi di stato del “Quad”, una sorta di NATO asiatico. Biden ha annunciato che l’India sarà al centro della sua strategia per combattere il COVID a livello globale, ma dietro le quinte ha invocato il “Defence of Production Act” per fermare l’esportazione dei prodotti essenziali per la produzione dei vaccini. La Serum Institute Indiana, il più grande produttore di vaccini, ha dovuto impietosire Biden tramite un tweet del suo AD, Adar Poonawala. Da Febbraio ad Aprile, nè il Serum Institute nè altri produttori di vaccini indiani hanno potuto garantire i numeri programmati per la mancanza di materie prime, principalmente fornite dagli USA. Se anche il vaccino Astra Zeneca non è stato ancora approvato in America, Washington conserva una scorta di milioni di dosi per sé, ma che ora potrebbero essere di grande aiuto all’India, mentre vigeva il blocco delle materie prime. Con tutte queste sfide India ha già vaccinato 130 milioni (più del doppio della popolazione Italiana) e ha esportato 67 milioni di vaccini. Anche se tardi, gli USA ora hanno tolto l’embargo sui prodotti essenziali per la produzione dei vaccini e si spera di tornare quanto prima alla normale routine.

Questa nuova ondata con una nuova variante, sta mettendo in ginocchio un sesto dell’umanità, in un paese dove per cultura si considera blasfemo conservare corpi e dove, di conseguenza, non esistono strutture adatte a questo scopo. A Roma, con i defunti relativamente bassi, abbiamo ancora ancora oggi 2.000 bare che attendono la cremazione dopo mesi, figuriamoci a Delhi con una popolazione di 20 milioni.

Le domande da porre

La questione non deve essere se i numeri indiani sono veri o falsi perché non c’è nessun modo per poterli verificare. Aggiungere moltiplicatori a caso, crea solo fake-news e alimenta il panico. L’unica certezza che abbiamo è che una nuova variante più aggressiva delle altre è ormai in circolo e la debolezza della struttura sanitaria e la mancanza di medicinali e ossigeno stanno complicando le operazioni di soccorso, mentre il numero dei morti continua ad aumentare con una scala vasta visto che parliamo di un paese di 1,4 miliardi. Sulla carenza di ossigeno e medicinali, il direttore dell’All India Institute of Medical Sciences (AIIMS), il Dott. Randeep Guleria, ha affermato che l’ammassamento grazie al panico mediatico ha causato la carenza di ossigeno e iniezioni come il remdesivir.

L’esperienza indiana ci invita a riflettere sulla rapidità delle riaperture. Spesso stanchi e severamente colpiti dall’impatto psicologico e economico delle chiusure, vedendo dati in calo, ci sono pressioni politiche per tornare alla normalità al più presto. Ma finché la maggior parte del mondo non sarà vaccinata dobbiamo essere molto cauti sulle riaperture, poiché abbassare la guardia potrebbe significare un aumento drammatico dei casi anche con delle varianti sconosciute. Paradossalmente, il governo di Modi, sfruttando il panico e l’aumento dei morti, é stato giustificato ad intervenire ora a livello statale. Mentre continua a schivare le critiche dell’opposizione e della comunità internazionale e ad abbattere la resistenza degli stati regionali, ci si augura che anche grazie all’aiuto internazionale l’India possa essere in grado di frenare la seconda ondata.

La democrazia e il Covid

Le tradizioni millenarie sono altrettanto importanti per i credenti di tutte le religioni e la libertà di culto è fondamentale secondo la Costituzione Indiana. Si poteva evitare la festività del Kumbh Mela, per la quale si sono radunati migliaia di credenti alla Gange? Forse sì. Ma sotto la costituzione, un ordine del governo nazionale per cancellarla, avrebbe retto in tribunale? No.

L’analisi della stampa internazionale dimostra il fatto che l’India, la più grande democrazia mondiale, fosse riuscita quasi a tornare alla normalità e osasse persino offrire vaccini e aiuti ad altri paesi come una grande potenza, era una realtà troppo scomoda per tanti. Non hanno perso tempo quindi, quando la seconda ondata ha travolto una grande fetta del paese (10 dei 29 Stati Indiani corrispondono al 75% dei nuovi casi), nell’individuarne la responsabilità nel governo Modi. Mentre i grandi media riprendono le fragilità del sistema sanitario indiano, si è tornati a dare la caccia ai colpevoli, il tuffo sacro nel gange o i raduni politici per le elezioni statali. Sembra quasi si gioisca nel chiamare la meschinità la debolezza di un paese che sta cercando in ogni modo di uscire dagli stereotipi che i giornali occidentali continuano a dispensare. La verità, come in tutte le democrazie, è sempre più complessa.

Bisogna ammettere che questo poteva succedere e può ancora succedere ovunque, in qualsiasi altro paese del mondo. Si sa ancora troppo poco di questa pandemia per fare la morale, specialmente da un paese che poche settimane fa ha ricordato la tragedia di Bergamo, dove ancora oggi continuano ad esserci tensioni tra governatori e il governo nazionale sulle riaperture. La lezione schiacciante che si evince delle immagini indiane è che dopo le varie varianti, inglese, sudafricana, brasiliana e ora indiana, l’unica cosa che sembra funzionare è il totale isolamento: chiudersi in casa e sperare che il vaccino regga la mutazione virale e che il mondo ha bisogno di unirsi per sconfiggere la pandemia aiutando il colpito, tanto come ha fatto l’India quando poteva.





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