Quante volte abbiamo trovato sollievo da una forma influenzale, lieve ma fastidiosa, dopo essersi sottoposti a una terapia antibiotica? Mal di gola, tosse, febbre, dolori muscolari e altri fastidi generali; grazie a una manciata di compresse assunte una o due volte al giorno per circa una settimana, tutto è sempre sparito senza lasciare traccia. Attenzione però, perché questo non significa aver trovato la chiave per sconfiggere ogni agente patogeno. Se, infatti, dalla seconda metà del XX secolo, la comparsa degli antibiotici ha rivoluzionato in positivo il trattamento e la prevenzione delle malattie infettive, dall’altro lato ha dato vita al fenomeno dell’antibiotico-resistenza (AMR, e cioè Antimicrobial resistance).
L’AMR è un problema enorme, non solo perché rischia di vanificare i traguardi raggiunti dalla scienza, ma anche per motivazioni sanitarie ed economiche. Per quanto riguarda le prime, se un agente patogeno riesce a “resistere” agli antibiotici, allora questi non saranno più efficaci, non riusciranno più a limitare le complicanze derivanti dalla sua malattia e, più in generale, non saranno in grado di guarire i pazienti infetti. Dal punto di vista economico, invece, la graduale perdita di potenza degli antibiotici comporta costi aggiuntivi che Stato e aziende farmaceutiche dovranno mettere sul tavolo per dare vita a farmaci capaci di bypassare l’ostacolo, senza poi considerare gli altri costi aggiuntivi necessari per coprire le degenze più lunghe in ospedale di pazienti non più protetti al 100% da farmaci “vinti” dai patogeni.
Che cos’è il fenomeno dell’antibiotico-resistenza
Ma che cos’è, in termini pratici, l’antibiotico-resistenza? Si tratta di un fenomeno che si verifica ogniqualvolta un agente patogeno dimostra di essere resistente all’effetto di un antibiotico pensato appositamente per sconfiggerlo. In termini più tecnici, l’uso continuo (attenzione al termine: continuo) degli antibiotici aumenta la pressione selettiva, favorendo l’emergere e la diffusione di ceppi virali resistenti a quei farmaci. Di conseguenza, la comparsa di microrganismi resistenti a più antibiotici riduce l’efficacia dei trattamenti antibiotici e spinge la comunità scientifica a creare prodotti sempre più all’avanguardia.
In altre parole, gli antibiotici dovrebbero essere usati con parsimonia; cosa che, evidentemente, non è stata fatta nel corso degli ultimi decenni. L’AMR è tuttavia un nodo spinoso che ha diverse cause. Accanto all’uso smodato e non appropriato degli stessi antibiotici – spesso assunti anche per curare una febbre da poco -, troviamo, ad esempio, la maggiore diffusione dei ceppi virali resistenti dovuta all’aumento dei viaggi internazionali e dei flussi migratori.
Un problema da non sottovalutare
Per capire l’entità del problema è interessante leggere l’ultimo studio pubblicato dalla rivista The Lancet e intitolato Global burden of bacterial antimicrobial resistance in 2019: a systematic analysis. L’Antimicrobial Resistance Collaborators ha stimato, per il 2019, 1,27 milioni di decessi avvenuti in tutto il mondo proprio a causa della resistenza agli antibiotici. Giusto per fare un confronto, si tratta di un numero enorme che raggiunge quasi la somma dei decessi complessivi provocati da malaria e infezione da Hiv nello stesso anno in cui è stata fatta la rilevazione statistica.
Urgono soluzioni immediate, anche perché ci sono altri paper che non disegnano un futuro tranquillo. Review on Antimicrobial Resistance, un progetto commissionato da Londra nel 2014, nel 2050 l’AMR potrebbe causare 10 milioni di morti all’anno. Ecco perché la comunità scientifica è chiamata ad accendere i riflettori su un’emergenza invisibile fin qui passata quasi sotto traccia, eccezion fatta per gli addetti ai lavori.