La vulnerabilità dell’Africa in ambito sanitario si è palesata duramente durante l’attuale pandemia da coronavirus. Il continente africano è quello dove sono stati distribuiti meno vaccini e dove le campagne di immunizzazione stanno proseguendo a ritmi molto lenti. La risposta, secondo molti analisti, potrebbe passare dalla possibilità di produrre in loco le dosi. Far sviluppare cioè in Africa un’industria farmaceutica in grado di colmare alcuni dei gap più significativi con il resto del mondo. C’è chi su questo fronte si sta muovendo. È il caso del Marocco. Qui, non lontano da Casablanca, sono partiti i lavori per la costruzione di un primo impianto di produzione dei vaccini anti Covid che, nelle intenzioni delle autorità locali, dovrebbe poi servire dopo l’emergenza a sfornare milioni di dosi di altri importanti sieri.

Il progetto di Rabat

A Benslimane, una provincia interna alla regione di Casablanca, era presente lo stesso Re Mohammed VI per la posa della prima pietra. Segno di come il Paese si aspetti molto dall’avvio di questa nuova avventura industriale. Il progetto, hanno spiegato fonti del governo di Rabat, è frutto della collaborazione tra pubblico e privato. In particolare, lo Stato ha finanziato la costruzione dello stabilimento biofarmaceutico assieme alle società Fill&Finish e Recipharm. Quest’ultima è una delle principali nel settore, un colosso con sede in Svezia in grado di avere stabilimenti in tante parti del globo. I lavori non dovrebbero durare a lungo. Entro il luglio del 2022 si dovrebbe già avviare a Benslimane la produzione di milioni di dosi di vaccino anti Covid. Il progetto, costato tra i 400 e i 500 milioni di euro, è stato denominato “Sensyo Pharmatech“. Da qui dovrebbero uscire, entro il 2024, circa il 70% delle dosi necessarie a soddisfare il fabbisogno del continente africano.

Ma in questo nuovo stabilimento per la verità si guarda oltre. La scommessa è sul dopo pandemia. Entro il 2025 infatti dovrebbe partire la produzione di almeno venti differenti tipi di vaccini e di prodotti bioterapeutici. La stima è di arrivare poi, da qui ai prossimi 5 anni, alla produzione in totale di 900 milioni di dosi all’anno di diversi tipi di siero. La sfida quindi per il Marocco è portare dentro i propri confini l’industria biofarmaceutica e investire su dosi e medicinali prodotti direttamente sul suolo marocchino. Ciò comporterebbe un’autonomia vaccinale e medica in grado di rendere Rabat meno vulnerabile sotto il profilo sanitario. Così come sottolineato su LaPresse, oltre alla produzione in sé dei farmaci e dei vaccini si vuole puntare sull’implementazione nell’area di Benslimane di nuove cliniche e nuovi istituti di ricerca.

Un polo scientifico africano

Al di là degli aspetti relativi alla lotta al Covid, con il nuovo stabilimento non è soltanto il Marocco a voler dare un preciso segnale ma l’intera Africa. Con precisi investimenti è possibile portare sul continente dei poli industriali e scientifici essenziali per essere più autonomi. L’emergenza coronavirus ha assunto l’aspetto di un campanello d’allarme molto pesante. L’assenza di hub vaccinali, la dipendenza dall’estero, la scarsità di risorse hanno evidenziato la debolezza in ambito sanitario. Il futuro deve passare da una produzione e una ricerca da fare direttamente in territorio africano. Formare oggi scienziati e medici vuol dire avere, fra una generazione, le risorse anche umane disponibili per garantire un certo sviluppo del continente.

Il Marocco in tal senso può fare da apripista. L’esempio di Rabat, così come anche del Sudafrica (dove di recente si è aperto il cantiere per un altro maxi stabilimento di vaccini), potrebbe essere emulato dalle rive del Mediterraneo fino all’Africa australe. Un cammino non semplice, ma che adesso sembra essersi avviato nella giusta direzione.

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