Quando, nell’ottobre scorso, Giorgio Parisi è stato insignito del Premio Nobel per la Fisica informazione e politica hanno – comprensibilmente – celebrato lo scienziato romano per il riconoscimento offertogli per i suoi studi sui sistemi complessi, celebrando la capacità dell’Italia di creare ancora menti e pensatori eccellenti. Meno è stato posto l’accento sul fatto che il successo di Parisi è stata una vittoria del sistema-Paese nel suo complesso.

L’effetto Parisi

Parisi ha insegnato fisica teorica alla Sapienza, dove si è laureato, è stato presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei (ora ne è vice) ed è ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), ma soprattutto è in diretta continuità col “padre” morale del suo Nobel, il ricercatore Nicola Cabibbo, morto nel 2010 e docente con cui si era laureato nel 1970. Segno della profondità di una cultura spesso depotenziata da sottofinanziamenti e snobismi nei confronti dell’istruzione e della ricerca.

Il successo di un italiano nel Nobel per antonomasia dovrebbe farci riflettere approfonditamente sul valore che la ricerca scientifica offre al sistema-Paese nel suo complesso tanto come strumento di progresso collettivo quanto come volano di soft power.

La scienza, la ricerca e il mondo della tecnica italiani sono protagonisti nel mondo oggi come lo erano ai tempi di Guglielmo Marconi, Enrico Fermi e dei ragazzi di Via Panisperna. Nel mezzo, una storia pluridecennale costellato di figure iconiche: Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini, due dei Nobel più noti degli ultimi decenni, ma anche Mario Tchou“padre” della tecnologia elettronica dell’Olivetti. Parliamo di uomini e donne che negli anni hanno saputo creare sistemi di conoscenza e apportare innovazione, valore aggiunto e prospettive di crescita all’Italia contribuendo a trasformarla in una grande potenza scientifica e tecnologica. In un Paese che ha saputo creare le prime versioni di calcolatori moderni, che nel campo delle telecomunicazioni ha messo in campo un vero e proprio “impero romano” dei cavi, che è ascesa al gotha delle potenze spaziali del pianeta prima che, su diversi settori, venisse riassorbito dal riflusso dell’età dell’oro della rinascita europea, dalla dominazione occidentale da parte della ricerca Usa e dalla competizione globale.

Roma non temeva rivali in certi ambiti della ricerca e durante la Prima Repubblica seppre essere un faro globale. Non a caso proprio in Italia, a Trieste, il fisico e futuro Nobel 1979 Abdus Salam fondò nel 1964, assieme al fisico italiano Paolo Budinich (1916-2013), personaggio d’altri tempi definito “un Corto Maltese che amava la fisica”, l’International Centre for Theoretical Physics (ICTP), il primo centro scientifico patrocinato dalle Nazioni Unite, ideato per formare giovani scienziati dei Paesi in via di sviluppo in nome dell’idea che il pensiero scientifico e la sua creazione sono il patrimonio comune e condiviso dell’umanità, vero motore dello sviluppo dei popoli.

I successi da riportare in patria

L’Italia negli ultimi anni ha subito non tanto un declino della sua capacità di fornire a giovani, ricercatori e attori economici i ritrovati di frontiera della tecnologia, quanto piuttosto un calo della capacità di agire in forma sistemica e di mantenere sul suolo nazionale la componente più pregiata del capitale umano e intellettuale generato. Questo perché le eccellenze del Paese sono state provate da risultati concreti negli anni passati.

Il Cern diretto dall’italiana Fabiola Gianotti, utilizzando il Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra, ha contribuito alla dimostrazione dell’esistenza del bosone di Higgs; il satellite italo-olandese Beppo-SAX, Beppo in onore del grande astrofisico Giuseppe Occhialini, dal 1997 ha confermato molti studi sui raggi gamma avviati dalla Nasa; nel 2014 gruppo di ricerca di Luigi Naldini, direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la terapia genetica (TIGET) di Milano, ha firmato una ricerca, pubblicata su Nature, su una nuova metodica per la cura delle malattie genetiche; lo stesso anno la missione ESA Rosetta che ha portato la sonda sulla cometa 67P/Churyumov-Geramisenko era forte di tre italiani ai vertici: Paolo Ferri, direttore della missione, Andrea Accomazzoflight director  della missione di durata decennale e Bruno Gardiniproject manager di Rosetta. Questi sono solo alcuni dei grandi risultati condotti da persone e team di eccellenza in larga parte siti al di fuori dei confini nazionali o che hanno scelto canali esteri per la loro divulgazione.

Risulterà di interesse della nazione nel suo complesso far sì che in futuro il “metodo Parisi”, che in fin dei conti altro non è che il metodo Fermi o il metodo Tchou, prenda il sopravvento e che queste scoperte siano rivendicate legittimamente dal sistema-Paese come suoi successi. Per una decisiva spinta narrativa volta a ricordare quanto spesso è taciuto, e cioè che l’Italia può legittimamente alimentare il suo soft power da grande polo di innovazione. Ma anche per essere pronti a acquisire i dividendi di tale progresso scientifico in termini di sviluppo economico e industriale.

Lo spazio, modello operativo

Lo spazio, in tal senso, può essere il “laboratorio” di una nuova ibridazione in questo ambito. Nella giornata del 9 novembre è stato consegnato all’Agenzia Spaziale Italiana da Leonardo il telescopio Janus, uno dei contributi italiani alla missione Juice (Jupiter Icy moons Explorer) del programma Cosmic Vision 2015-2025 dell’Agenzia Spaziale Europea; al contempo, l’ex Finmeccanica e altri gruppi industriali saranno protagonisti della corsa alla Luna. Una realtà giovane e dinamica come Argotec, in particolare, collabora direttamente con la Nasa sul programma lunare Artemis e ha presentato ad aprile una costellazione di piccoli satelliti (Andromeda) per supportare le telecomunicazioni delle future attività sul satellite naturale, mentre Roma sarà protagonista nella realizzazione di una nuova stazione orbitante, il Lunar Gateway attualmente in via di sviluppo che vede Roma impegnata nel contesto Esa.

Spostandosi dalla Luna a Marte il Paese rimane protagonista: di recente il radar Marsis (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionospheric Sounding) sviluppato alla Sapienza di Roma ha contribuito a scoprire i laghi salati incastonati sotto il ghiaccio del Polo Sud del pianeta rosso, mentre Leonardo fornirà le trivelle destinate alla missione ExoMars 2022. A tutti questi progetti corrisponde la mobilitazione di una complessa filiera di imprese, centri di ricerca, innovatori e scienziati che possono garantire la conquista di una capacità di pensiero sistemica.

E lo spazio può esser solo la matrice. L’innovazione italiana è protagonista anche nella transizione energetica, nelle biotecnologie, nella ricerca degli sviluppi di frontiera della tecnologia nucleare. E ovunque si smentisce l’idea di un Paese bloccato e ancorato al passato. Del resto la scienza moderna ha preso piede quando in Italia, oltre quattrocento anni fa, Galileo Galiei decise di mettere gli occhi nel cannocchiale per studiare le lune di Giove. Un atto rivoluzionario alla base di una radicale svolta nella nostra visione del mondo, che ha reso indissolubilmente legati il nostro Paese alla conoscenza e alla volontà di esplorare la frontiera infinita della conoscenza. Un ricordo che deve essere da stimolo per l’azione nel presente.

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