La Cina ha prodotto ed esportato più dosi di tutti, ma deve fare i conti con un rivale non da poco: l’India, rinominata “farmacia del mondo”. La guerra dei vaccini anti Covid è ormai entrata nel vivo e, numeri alla mano, i due sfidanti più agguerriti per contendersi la corona di Paese esportatore per eccellenza sono Pechino e Nuova Delhi. La Russia, grazie al suo Sputnik V, può al massimo ambire a ricoprire il ruolo di terzo incomodo. Mosca ha un interessante potenziale e, pur dovendo fare i conti con una coperta produttiva ancora cortissima, ha comunque attivato interessanti relazioni diplomatiche. Ma la sensazione è che il gap con le rivali sia troppo grande da colmare, almeno nel breve periodo. Anche perché, nonostante si faccia un gran parlare del vaccino russo, i dati raccolti da Airfinity hanno fotografato rapporti di forza ben precisi.

Un’istantanea relativa al 25 marzo ha messo in evidenza il dislivello produttivo tra le tre potenze. Alla fine di marzo, la Russia ha prodotto complessivamente appena 24.405.567 milioni di dosi dello Sputnik. Nonostante sia stato approvato da 59 Paesi, il vaccino russo è stato inviato in appena 22 Stati, per altro in un quantitativo piuttosto ridotto (4.504.500 dosi) se consideriamo la risonanza mediatica che ha avuto. Cina e India sono in un altro pianeta e possono contare su capacità produttive ben differenti. Pechino, sempre considerando i dati aggiornati al 25 marzo, ha sfornato 292.251.734 dosi, mentre Nuova Delhi 148.828.026. Il Dragone ha esportato quasi il doppio di vaccini (106.512.000 contro 56.709.280) ma ha toccato 30 Paesi in meno dell’Elefante indiano (49 a 79, anche se questi dati possono cambiare giorno dopo giorno).

Il soft power vaccinale di Pechino e Nuova Delhi

Il vaccino anti Covid è un bene globale di fondamentale importanza. Se non altro perché rappresenta il Sacro Graal per sconfiggere il Sars-CoV-2, e poi perché non tutti sono in grado di produrlo. Il contesto che ci troviamo di fronte, quindi, è formato due gruppi di Paesi: quelli (pochi) che possono sfornare il vaccino e quelli (tanti) che per ottenere un numero di dosi tale da poter immunizzare la propria popolazione devono dipendere da contratti stipulati con nazioni terze. Cina e India sono nel primo gruppo e stanno combattendo una battaglia silenziosa per espandere il loro soft power oltre confine a colpi di dosi. Quando l’emergenza sarà soltanto un lontano ricordo, ovviamente, chi sarà riuscito a coltivare relazioni più intense con più Paesi, potrà fare leva sul “potere morbido” per fini commerciali, politici, culturali.

Come ha sottolineato Agenzia Nova, la partita sulla distribuzione dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo vede contrapposte Cina e India. Pechino e Nuova Delhi hanno scelto di destinare, mediante accordi commerciali o donazioni, poco meno del 50% dei vaccini prodotti alle suddette nazioni. Scendendo nel dettaglio, 114 milioni di dosi nel caso di Pechino, che spedisce in ogni angolo del mondo i suoi Sinopharm e Sinovac, e 61 milioni nel caso di Nuova Delhi, che in gran parte distribuisce dosi del vaccino sviluppato dalla casa farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca.

Asia, Africa, America Latina

Gli scenari dove si giocano le battaglie più calde sono tre, e coincidono con le regioni che comprendono l’America Latina, l’Africa e l’Asia. È qui, infatti, che finisce il grosso delle esportazioni cinesi e indiane di vaccini (in questo caso, non consideriamo le dosi che fanno parte dell’iniziativa Covax dell’Oms). Pechino ha inviato le sue dosi a 24 Paesi africani, a fronte dei 17 raggiunti da Nuova Delhi. In America Latina assistiamo a un sostanziale pareggio, 19 a 19. Il testa a testa più importante, quello che mette in palio il predominio dell’Asia – a detta di molti esperti, il continente del futuro – è una partita senza esclusioni di colpi. Il Mynamar, ad esempio, prima del colpo di stato aveva ricevuto 1.5 milioni di vaccini dall’India e firmato un accordo con il Serum Institute indiano per l’acquisto di ulteriori 30 milioni di dosi. In seguito al golpe, lo scenario si è ribaltato. I militari saliti al potere hanno aperto le trattative per l’acquisto dei vaccini cinesi.

L’India ha coperto Bangladesh e Sri Lanka, mentre la Cina, oltre al Pakistan, ha rifornito Afghanistan, Nepal, Maldive e, di nuovo, Sri Lanka (Afghanistan, Nepal e Maldive sono stati raggiunti anche da Nuova Delhi). Al momento, l’unica grande differenza tra Cina e India è che Pechino, grazie alle misure di contenimento più ferree adottate fin da subito, non deve più fare i conti con gravi recrudescenze del Covid, ad eccezione di piccoli focolai isolati. In India il discorso è diverso: a causa di un recente, forte aumento interno di contagi, il governo guidato da Narendra Modi è stato costretto a tagliare le esportazioni per accelerare la campagna di vaccinazione nazionale.