Tutto è partito da tale Jesse D. Bloom, virologo del Fred Hutchinson Cancer Research Center, Howard Hughes Medical Institute di Seattle. Il suo paper, intitolato Recovery of deleted deep sequencing data sheds more light on the early Wuhan SARS-CoV-2 epidemic, avrebbe potuto confondersi con i tantissimi altri documenti, più o meno autorevoli, apparsi nel mare magnum del web da ormai un anno a questa parte. Documenti che tentano di spiegare le origini del Sars-CoV-2, che provano a individuare l’epicentro esatto della pandemia, l’identikit del paziente zero oppure il luogo in cui ha preso forma l’emergenza sanitaria. Ebbene, la ricerca di Bloom non è stata relegata nel dimenticatoio, anzi, è finita sotto la luce dei riflettori e qui sarà probabilmente destinata a restare per molto tempo.

Il motivo è semplice. Nel corso delle sue indagini, l’esperto ha scoperto che le prime sequenze del coronavirus, per la precisione 13, cancellate non si sa per quale motivo dall’archivio di lettura della sequenza dei National Institutes of Health – uno dei principali archivi utilizzati per condividere le informazioni con la comunità scientifica -, avevano un aspetto del tutto particolare. L’analisi filogenetica di tali sequenze ha subito messo in evidenza come vi fosse una evidente discrepanza tra queste, rinvenute evidentemente ben prima dello scoppio “ufficiale” della pandemia, e quelle in seguito rilevate nel mercato dei frutti di mare di Huanan (ovvero le stesse che sono al centro del rapporto congiunto Oms-Cina).

Una strana divergenza

Gli studi di Bloom ci mettono di fronte a un doppio mistero. Se da un lato sarebbe interessante capire per quale motivo le suddette 13 sequenze virali siano state rimosse dagli archivi, dall’altro sarebbe ancor più fondamentale apprendere il motivo della divergenza tra i primi dati raccolti (e poi rimossi) e le prime sequenze rinvenute qualche settimana più tardi.

Le sequenze del mercato ittico “non sono pienamente rappresentative del virus che circolava a Wuhan all’inizio dell’epidemia. Invece, il progenitore delle sequenze conosciute di Sars-CoV-2 conteneva probabilmente tre mutazioni relative al virus del mercato, che lo rendevano più simile ai parenti coronavirus del pipistrello”, si legge nel documento di Bloom. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, e con essa molti esperti, hanno più volte definito estremamente improbabile l’ipotesi secondo la quale il Sars-CoV-2 potesse essere fuoriuscito da un laboratorio. La sua origine doveva per forza essere naturale. Ma qui ci troviamo di fronte a un paradosso.

Già, perché se il coronavirus che ha messo in ginocchio il mondo è davvero nato in seguito a una zoonosi (salto di specie da un pipistrello all’uomo, o a un ospite intermedio), allora i virus isolati nei primissimi pazienti di Wuhan avrebbero dovuto avere una sequenza più simile rispetto a quella riscontrata nei virus dei pipistrelli che non alle sequenze isolate in un secondo momento. Secondo la ricerca di Bloom, che deve comunque essere presa con le molle, così non è. Per quale motivo?

Ipotesi, dubbi, supposizioni

Il punto è che le sequenze scomparse, poi recuperate da Bloom, sembrano esser prive delle mutazioni aggiuntive rilevate altrove. In teoria, se vale la pista dell’origine naturale, queste sequenze dovrebbero essere più vicine ai coronavirus dei pipistrelli e non più lontane. In ogni caso, il lavoro di Bloom dovrà essere ulteriormente approfondito affinché possa rappresentare una solida prova.

Ammesso che le sue scoperte siano vere, come si spiega la divergenza riscontrata nelle sequenze scomparse? La risposta più semplice è che il virus non abbia alcun origine naturale e che sia effettivamente fuoriuscito dal laboratorio. Alternativa: il virus, pur essendo di origine naturale, era già diffuso da tempo, molto prima del dicembre 2019. Soltanto così si spiegherebbero le tre mutazioni misteriose del patogeno.

Gli esperti internazionali non hanno intenzione di forzare la mano, anche perché per alcuni il report di Bloom non porterebbe a galla novità di nessun tipo, visto che i dati rimossi da lui citati furono diffusi in un secondo momento, in altre forme, dagli stessi ricercatori cinesi. Certo è che il paper ha confermato quanto fossero confuse le prime ricerche cinesi attorno al nuovo coronavirus.