Negli anni ’90 la Cina era molto diversa rispetto al gigante ultra moderno e tecnologico che conosciamo adesso. Pechino doveva ancora aderire all’Organizzazione Mondiale del Commercio, e la sua economia socialista si era da poco aperta alle riforme varate da Deng Xiaoping nel 1978. Sul Paese c’era insomma un grande cartello di “lavori in corso”, mentre gli analisti erano certi che con la contaminazione del libero mercato sarebbe presto cambiata anche la forma di governo. Oggi il Partito Comunista Cinese è ancora in cabina di regia, ed ha anzi appena tagliato il traguardo del centenario dalla sua fondazione.

Il pil della Cina è schizzato alle stelle e, grazie al cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi”, il Dragone sta insediando da vicino il potere economico degli Stati Uniti, il colosso che ha di fatto dettato le regole geopolitiche di gran parte del ‘900. Anche il settore farmaceutico ha subito importanti modifiche. Basti pensare che un paio di decenni fa era complicatissimo ottenere l’approvazione di farmaci prodotti in Occidente oltre la Muraglia. Da una parte, in Europa e negli Stati Uniti, circolavano prodotti di marca, sviluppati da grandi aziende come Pfizer e tanti altre; dall’altra, in Cina, i cittadini si affidavano a farmaci generici e tradizionali. A Pechino mancava lo zoccolo duro – e il know how – di quelle aziende biotecnologiche e farmaceutiche che invece stavano contendendosi il mercato oltre la Vecchia Cortina di Ferro.

L’ascesa dell’industria farmaceutica cinese

Qualcosa ha iniziato a cambiare nei primi anni Duemila, anche se la svolta definitiva si è avuta qualche anno più tardi. L’amministrazione guidata da Xi Jinping ha spinto sul pedale dell’acceleratore per far progredire l’industria farmaceutica cinese, perché anche quel settore rientrava nella campagna di ringiovanimento e ammodernamento del Paese; impossibile ambire a un ruolo di primo piano, globale, senza poter contare su aziende del farmaco di un certo peso. Da quel momento in poi, anche la Cina – una nazione nota per produrre i cosiddetti principi attivi farmaceutici – ha iniziato a scoprire nuovi farmaci made in China e made by China.

Tra questi annoveriamo farmaci biologici, considerati più difficili da produrre rispetto a quelli ordinari. C’è un lunghissimo reportage di Nikkei Asian Review che ripercorre il lungo percorso intrapreso da Pechino per arrivare dove è adesso. Nel 2021 il mercato farmaceutico cinese è il secondo più grande al mondo dietro agli Stati Uniti, grazie alla domanda interna degli ospedali locali. Manca l’ultimo passo, ovvero superare l’America, anche se Washington ha iniziato a puntare il dito contro il Dragone accusandolo di presunti furti di proprietà intellettuale e mettendo in dubbio la qualità dei suoi farmaci.

La pandemia di Covid-19

La pandemia di Covid-19 ha mostrato al mondo, anche ai non addetti ai lavori, il potenziale della Cina nel settore farmaceutico. Pechino ha attuato una sorta di diplomazia dei vaccini, distribuendo dosi anti Covid al maggior numero possibile di Paesi terzi. I vaccini cinesi, al contrario di quelli calibrati sulla tecnologia mRNA e realizzati dai giganti occidentali Pfizer e Moderna, erano convenzionali, ovvero si basavano sul virus inattivato capace di provocare una risposta immunitaria. Adesso anche la Cina ha iniziato a lavorare per produrre i suoi vaccini a mRNA. Non solo: nel marzo 2020 Fosun Pharma, uno dei più grandi produttori di farmaci in Cina, ha collaborato con BioNTech, la società tedesca che ha sviluppato insieme a Pfizer il primo vaccino occidentale anti Covid. Obiettivo: far progredire lo sviluppo e la commercializzazione dello stesso vaccino anti Covid in Cina.

Per fare un altro esempio, Everest Medicines, altra azienda biofarmaceutica cinese, lo scorso settembre ha ottenuto i diritti per la fornitura di vaccini mRNA sviluppati da Providence Therapeutics, un’azienda biotecnologica canadese, in Cina e in alcuni Paesi del sud-est asiatico. Come se non bastasse, sia Everest che Fosun hanno sono al lavoro per sfornare nuovi vaccini per la variante Omicron. È interessante leggere quanto riportato dal Vaccine Center della London School of Hygiene & Tropical Medicine; a novembre 2021, in Cina c’erano 20 vaccini Covid-19 cinesi in fase di sperimentazione clinica. Il bello è che questi vaccini coprono l’intera tecnologia disponibile, dalla “vecchia scuola” all’mRNA.

Chiara l’intenzione di Pechino: lavorare a quanti più vaccini possibile senza l’intralcio di partner stranieri. I primi risultati non sono tardati ad arrivare, visto che Suzhou Abogen, una giovanissima startup cinese, ha collaborato con Walvax, una delle più grandi aziende di vaccini cinesi, e con l’Istituto di medicina militare dell’Accademia delle scienze militari, dando vita ad ARCoV, il primo vaccino mRNA approvato per gli studi clinici in Cina. A differenza del passato, i player cinesi sono in grado di competere con i colossi occidentali.

Continua espansione

Anni e anni di “allenamento” sono serviti alla Cina per crescere a dismisura in tutti i settori, farmaceutico compreso. Il gigante asiatico è il principale produttore di principi attivi farmaceutici a livello globale, possiede un’immensa capacità di bioproduzione e ora vuole espandersi ancora. Come abbiamo visto, moltissime aziende farmaceutiche emergenti stanno mostrando ambizioni globali. BeiGene, il cui trattamento per il cancro di Brukinsa ha ottenuto l’approvazione dalla Food and Drug Administration nel 2019 – una novità per un’azienda cinese – ha un paio di uffici e siti al di fuori della Cina, mentre suoi siti di produzione collocati al di là della Muraglia sono stati progettati per seguire gli standard emessi dai regolatori cinesi, ma anche da quelli statunitensi ed europei. WuXi Biologics, un gruppo cinese di ricerca farmaceutica, ha basi di produzione in Irlanda, Germania e Stati Uniti; Shanghai Junshi Biosciences ha concesso in licenza il suo trattamento con anticorpi antitumorali Toripalimab all’americana Coherus per un corrispettivo di 1,11 miliardi di dollari; anche Junshi ha ottenuto l’approvazione del suo trattamento con anticorpi Covid-19 da oltre 15 Paesi, inclusi gli Stati Uniti.

Una mossa strategica

Ma per quale motivo la Cina ha deciso di investire anche nei farmaci? Non bastava, ad esempio, conquistare il mercato delle auto e della manifattura per consacrarsi in vetta alle classifiche economiche del pianeta? Accanto a esigenze geopolitiche (produrre vaccini e farmaci consente alla Cina di esportare questi prodotti incrementando il proprio soft power e intascando lauti compensi), bisogna considerare anche una fondamentale esigenza interna. I farmaci biologici sono diventati una priorità del governo cinese a causa dei cambiamenti demografici.

Il Paese sta invecchiando rapidamente, e il governo sta cercando modi innovativi per gestire il crescente carico medico. Molte iniziative farmaceutiche si stanno così concentrando su malattie croniche e tumori. In generale, la strategia della Cina nel settore biofarmaceutico si basa su una prospettiva a lungo termine e i biofarmaci sono una delle industrie chiave nominate nella strategia Made in China 2025. Facendo un passo indietro, il primo grande salto è arrivato nel 2015, quando le autorità hanno apportato modifiche politiche per incoraggiare l’innovazione delle aziende nazionali, in primis la decisione di armonizzare gli standard cinesi con quelli delle controparti globali e rivedere il processo di sperimentazione e approvazione dei farmaci.

Dobbiamo infine considerare il ruolo dell’esercito – che ha assunto scienziati per contribuire e partecipare a progetti nazionali in nome di una sorta di fusione civile-militare, già sperimentata in altri campi economici – e l’enorme quantità di denari investita nell’industria farmaceutica cinese da società di private equity e venture capital. Soltanto nel 2021, pare che questa somma abbia toccato i 2 miliardi di dollari. E questo potrebbe essere soltanto l’inizio.