Doveva essere l’arma in più contro il Sars-CoV-2, lo strumento da impiegare in tempi rapidi, in attesa della definitiva messa in commercio dei vaccini. Oggi, a quasi oltre un anno dai primi proclami, nel dibattito pubblico non c’è quasi più traccia degli anticorpi monoclonali. Alcuni dei quali, tra l’altro, approvati come trattamento anti Covid ma in seguito bloccati a causa in quanto inefficaci al cospetto delle nuove varianti del virus come Omicron. Eppure molti governi, da quello statunitense a quello italiano, avevano parlato delle terapie monoclonali come soluzioni praticamente pronte all’uso che sarebbero state impiegate nel giro di qualche settimana.

La realtà si è invece dimostrata ben diversa, e per almeno tre ragioni. La prima: gli studi preliminari effettuati avevano fin da subito dimostrato una discreta efficacia dei monoclonali, anche se questo sembrava valere soltanto per alcuni pazienti, ossia quelli che presentavano la malattia nelle fasi precoci. Non è mai stato facile, quindi, continuare a condurre studi del genere, proprio perché è complesso individuare i soggetti giusti. La seconda ragione riguarda l’organizzazione collegata alle modalità di somministrazione richieste dalla suddetta terapia; è infatti necessaria un’infusione endovenosa di circa un’ora, seguita da un’altra ora di osservazione, e per di più in un ambiente ospedaliero. La terza e ultima ragione è di natura economica, visto che tanto lo sviluppo quanto la produzione di monoclonali è piuttosto cara.

I monoclonali approvati

In Italia un anno fa il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato un decreto per autorizzare la distribuzione di due anticorpi monoclonali – bamlanivimab e l’associazione di anticorpi bamlanivimab-etesevimab, prodotti da Eli Lilly e Regeneron/Roche – con l’obiettivo di prevenire le formi più gravi del Covid-19 in quei pazienti a rischio che manifestavano la malattia in forma lieve. Con quel provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, lo stato italiano attingeva a un fondo di 400 milioni di euro messo a disposizione per acquistare vaccini e farmaci contro Sars-CoV-2.

Già in quei giorni emersero le prime discussioni per via dei dati, ancora parziali, di una terapia incerta. In ogni caso, la Commissione europea, attingendo alla decisione dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, ha dato il via libera a tre anticorpi monoclonali anti Covid: il cocktail casirivimab-imdevimab, nome commerciale il Ronapreve di Regeneron/Roche, impiegato sia per trattamento che prevenzione, il regdanvimab di Celltrion Healthcare Hungary Kft (Regikrona) e il sotrovimab di Gsk per il trattamento (Xevudy). La situazione è in continua fase di evoluzione, e varia da settimana a settimana, da continente a continente. Negli Stati Uniti, ad esempio, la Fda ha approvato per uso emergenziale lo Evusheld di AstraZeneca per pazienti immunocompromessi.

Luci e ombre

Una delle ultime notizie riguarda la sospensione da parte di Toscana Life Sciences (TLS) della sperimentazione del monoclonale J08. Lo scorso 27 gennaio un comunicato TLS annunciava la sospensione temporanea dell’arruolamento di nuovi pazienti positivi al Covid nei test clinici sull’anticorpo monoclonale J08. Detto altrimenti, l’anticorpo J08, che da test in vitro si era dimostrato uno degli anticorpi monoclonali umani più potenti mai testati in clinica contro il virus, neutralizzando l’origine e le ultime varianti, ha dimostrato una perdita di efficacia nei confronti della variante Omicron.

“Tale evidenza è in linea con i più recenti dati pubblicati su altre terapie a base di anticorpi monoclonali che dimostrano una generale perdita di efficacia in oltre l’80% delle terapie attualmente disponibili”, ha chiarito TLS. Negli Stati Uniti, invece, l’Fda ha approvato, sempre per uso emergenziale, bebtelovimab. I primi test hanno fatto emergere una discreta efficacia contro Omicron, ma permangono ancora diversi dubbi. Nel frattempo, l’unico jolly pronto all’uso per combattere il Sars-CoV-2 continua ad essere rappresentato dai vaccini.

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