L’11/9 e l’Amburgo connection

Scrivere dei retroscena dell’11/9, il giorno che ha trasformato il Duemila da secolo delle speranze a secolo della paura, equivale a ripercorrere una storia iniziata ai primordi degli anni Ottanta da qualche parte tra Beirut e Kabul, con l’impatto culturale degli attentati di Hezbollah alla coalizione internazionale intervenuta nella guerra civile libanese e con l’empia alleanza in chiave antisovietica siglata da Stati Uniti e loro alleati con l’Internazionale jihadista.

Capire le origini degli attentati dell’11/9 senza conoscere l’operazione Ciclone, ventre inconsapevole di futuri Frankenstein, non è possibile. Capirne le ragioni senza parlare di Iraq, Libano e questione israelo-palestinese, nemmeno. Capire il modus operandi scelto, il dirottamento aereo, non avendo ricordo né del progetto Bojinka né dell’EgyptAir 990, neanche.

Non sono soltanto l’operazione Ciclone – mamma ignara di Al Qaida – e l’EgyptAir 990 – musa ispiratrice di Osama bin Laden –, però, gli eventi da estrarre dal cassetto dei ricordi dimenticati se l’11/9 si vuol comprendere. La storia da rispolverare, invero, è quella della cellula di Amburgo.

Diciannove terroristi. Quattro obiettivi. Un potente movente. Un carismatico cervello. Una sola occasione per colpire. Un solo giorno per agire: l’11 settembre 2001. Una città al di la sopra di ogni sospetto per pianificare gli attentati terroristici che avrebbero cambiato per sempre la traiettoria del Duemila: Amburgo.

La storia della cellula di Amburgo è la storia di quattro studenti universitari di origini arabe, l’egiziano Mohamed Atta, il marocchino Said Bahaji, lo yemenita Ramzī bin al-Shibḥ e l’emiratino Marwan al-Shehhi, che si ritrovano a condividere un appartamento su Marienstraße sul finire degli anni Novanta. Non si conoscono, sono ad Amburgo per motivi differenti – Atta per la pianificazione urbana, Bahaji per l’ingegneria elettrica, al-Shehhi per l’ingegneria navale, mentre bin al-Shibh era un errante alla ricerca di occupazione –, ma le esperienze sociali – difficoltà nel relazionamento coi tedeschi – e la politica – l’astio verso le politiche mediorientali dell’Occidente – li accomunano.

Il quartetto si riunisce ogni finesettimana per discutere di religione e politica. Non sono particolarmente credenti e chi lo è, come Atta, non nasconde di aver praticato più per ragioni familiari e per pressioni sociali che per reale convinzione. L’esperienza amburghese cambierà tutto. Perché i loro dibattiti domestici avrebbero portato alla nascita di un legame profondo. E perché la lontananza da casa li avrebbe incoraggiati a tornare all’Islam e a cercare luoghi di ritrovo per musulmani.



Nel 1999, mentre le prestazioni universitarie iniziano a risentire del loro crescente disinteresse verso gli studi, i quattro di Amburgo sono diventati dei frequentatori assidui della moschea Taiba, un crocevia di terroristi ed un centro di radicalizzazione all’epoca ignorato dai servizi segreti di Berlino, e le loro potenzialità sono state ampiamente comprese da Al Qaida.

Nel 1999, su incitamento di un uomo che non è mai stato identificato – tal Khalid al-Masri –, il quartetto è stato messo in contatto coi rappresentanti di Osama bin Laden in Germania e ha già iniziato a sognare ad occhi aperti il martirio nella guerra santa. Vorrebbero combattere e morire in Cecenia, ispirati dalle gesta di Šamil Basaev, Ibn al-Khaṭṭāb e Abu al-Walid, ma il signore del jihadismo ha altri piani in serbo per loro.

Nel 1999, a due anni dall’11/9, Amburgo, ed in particolare la casa del quartetto, è un carrobbio di predicatori estremisti, trafficanti di armi, narco-terroristi, uomini dai mille alias e addestratori dell’Internazionale jihadista. Il quartetto, nel frattempo, è diventato una cellula, della quale Atta è il capo che ha già compiuto dei viaggi all’estero, forse in Afghanistan, e che è composta da altri universitari, tra i quali Ziad Jarrah, studente di ingegneria aerospaziale, e Zakariya Essabar, studente di tecnologia medica.

1999, due anni all’11/9. La voce della cellula di Amburgo è giunta sulle alture del Paropamiso. La dirigenza qaedista vorrebbe conoscere coloro che sono stati scelti per dare vita all’erede di Bojinka, una super-trama terroristica sventata nel 1995 dalle autorità filippine, e ne organizza il viaggio nei meandri dell’Asia centromeridionale.

Il viaggio in Asia centromeridionale, con capolinea i campi di addestramento qaedisti a Kandahar, sarà il battesimo del fuoco per gli aspiranti jihadisti di Amburgo. Kandahar è dove avrebbero ricevuto formazione di livello militare, ed è anche dove avrebbero ricevuto ciascuno un preciso compito. Di ritorno in Germania, in conformità con gli ordini pervenuti, gli studenti getteranno le fondamenta dell’opera magna del terrorismo islamista: l’11/9.



Di nuovo in Germania, ufficialmente investiti dell’onere di dare compimento al più ambizioso progetto terroristico mai progettato da un’organizzazione jihadista, la casa degli studenti diventerà una sorta di ricettacolo di terroristi. Le indagini sull’11/9 avrebbero accertato la fermata nella dimora di Amburgo di ventinove persone, tra le quali Khalid Shaikh Mohammed, Abdelghani Mzoudi e Mounir el-Motassadeq, nel periodo precedente al trasferimento della cellula negli Stati Uniti.

Il via vai nella casa di Amburgo, nel frattempo spostata ad Harburg, non sfugge all’attenzione degli investigatori tedeschi. Ma il monitoraggio dell’appartamento non produrrà nulla di significativo: è troppo tardi. Gli inquilini hanno cessato da tempo di parlare di antiamericanismo e antisionismo, perché i loro discorsi ruotano soltanto attorno un presunto American dream: l’irrefrenabile voglia di trasferirsi negli Stati Uniti, per imparare a pilotare gli aerei, nel più breve tempo possibile. Ed è lì, negli Stati Uniti, che traslocheranno quasi tutti nel corso del 2000.

Giugno 2000. L’Hamburger Zelle, con le sole eccezioni di Essabar e bin al-Shibh – ai quali l’immigrazione ha rifiutato di rilasciare il visto –, è arrivata negli Stati Uniti e ha iniziato a frequentare dei corsi intensivi per il pilotaggio di aerei civili. Ogni loro spesa, dal vitto all’alloggio, è coperta da una sorta di conto corrente senza limiti di prelievo gestito da uno dei finanzieri di Al Qaida: Ammar al-Baluchi.

Atta, Jarrah e al-Shehhi sono in continuo contatto, si scambiano opinioni, alternano momenti di condivisione e giornate in solitaria. Non devono destare sospetti. Atta, il leader della cellula, è il migliore del trio: entro luglio i primi voli in autonomia, entro gennaio l’inizio delle prove per il pilotaggio di aerei per il trasporto passeggeri a corto e medio raggio. 



Entro la metà del 2001, mentre Atta, Jarrah e al-Shehhi si preparano all’appuntamento col martirio, Essabar e bin al-Shibh coordinano e facilitano le comunicazioni tra gli Stati Uniti e l’Afghanistan. Bahaji, invece, sta preparando i bagagli per darsi alla macchia. Atta e bin al-Shibh avranno modo di reincontrarsi a luglio, in Spagna, durante un appuntamento fissato per informare il primo di quelli che saranno gli obiettivi degli attentatori: Campidoglio, Pentagono e Torri gemelle.

11 settembre. I voli che devono dirottare Atta e al-Shehhi partono dall’aeroporto internazionale generale Edward Lawrence Logan di Boston, ma ad orari diversi. Incontrarsi è impossibile: l’ultimo saluto avviene via telefono. Qualche ora più tardi, a cavallo tra le 8 e le 9, i dirottamenti che avrebbero portato al collasso delle Torri gemelle e alla morte di oltre 2.700 persone. Jarrah, a bordo dell’United Airlines Flight 93, sarebbe stato invece sopraffatto dalla rivolta dei passeggeri.

La fuga dei restanti elementi della cellula di Amburgo, con l’eccezione di Bahaji, non sarebbe durata a lungo. Bin al-Shibh, il primo a cadere, fu tratto in arresto a Karachi in concomitanza coi dirottamenti aerei dell’11/9 e da allora non ha più rivisto la libertà. Essabar, fuggito in fretta e furia dalla Germania, avrebbe trovato la morte in Afghanistan a fine 2001. Bahaji, invece, partì alla volta di Karachi alla vigilia degli attentati e di lui è stato trovato soltanto il passaporto, durante un blitz dell’antiterrorismo pakistano nel Waziristan meridionale del 2009, ma sulla sua sorte regna il mistero.

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