Di lui circola una sola immagine, che praticamente nessuno riesce a collocare nel tempo e nello spazio: ritrae un uomo con pochi capelli, il viso arrossato, un po’ di barba e gli occhi verdi. Sembrerebbe una fotografia di anni fa, un po’ rovinata ai lati. Non si sa dove sia stata scattata, né da chi. Lo sguardo, così ordinario e anonimo, appartiene però ad Adbullah Qardash, che in molti chiamano soltanto “il professore”. Alla morte di Abu Bakr al-Baghdadi, è stato nominato suo successore e quindi (non senza difficoltà) califfo dell’autoproclamato Stato islamico. Il 21 gennaio 2019, il Guardian avrebbe confermato la sua identità come nuovo leader di Daesh, aggiungendo un altro tassello agli interrogativi legati ai suoi nomi. Secondo il quotidiano britannico, risponderebbe al nome completo di Amir Mohammed Abdul Rahman al-Mawli al-Salbi e, secondo alcune fonti di intelligence citate, avrebbe guidato le operazioni di schiavitù della minoranza yazida irachena.
Di lui non ci sono tracce, né si sa con certezza se sia ancora in vita o se sia stato ucciso nel raid che ha eliminato l’ex autoproclamato califfo. È parere di molti analisti ritenere che sia morto nelle ore successive al decesso del leader di Daesh. Ma, più importante della sua effettiva presa di potere, è la sua influenza, la sua vicinanza al capo del gruppo terrorista e la sua storia che, come quella di importanti gerarchi dell’Isis, parte dall’Iraq di Saddam Hussein.
Di Qardash, il cui volto è rimasto cristallizzato a quell’unico scatto diffuso in rete, si sanno poche cose. Come in una leggenda, di lui si dice sia un uomo spietato e brutale, tutti elementi che gli hanno fatto guadagnare l’appellativo di “distruttore”. In base alle pochissime informazioni che circolano su di lui e, in base a quanto riportato da Repubblica, Amaq (l’agenzia di stampa dello Stato islamico) avrebbe diffuso l’informazione secondo cui a scegliere il suo nome, per portare avanti la sua eredità criminale, sia stato direttamente Al-Baghdadi nell’agosto scorso, in un momento in cui forse anche il leader pensava già al futuro dell’organizzazione. Qardash è un ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein, nato a Tal Afar, nel nord dell’Iraq. Si è laureato al collegio di Scienze islamiche di Mosul e, una volta crollato il regime iracheno, è entrato prima in Al Qaeda e poi nel Califfato di Daesh. Di quest’ultimo ha scritto le leggi e ne ha scalato i vertici, più velocemente di altri. Gli analisti lo descrivono come un leader spietato e autoritario e quindi anche molto rispettato. Esperto in diritto islamico e in storia, Qardash era stato commissario religioso e giudice della sharia (la legge islamica) per Al Qaeda, prima di giurare fedeltà allo Stato islamico. Il primo a parlare di lui come successore di Al-Baghdadi è stata la rivista statunitense Newsweek, citando fonti anonime dell’intelligence irachena. Sempre secondo quanto riportato dal Guardian, sarebbe nato da una famiglia turkmena irachena nella città di Tal Afar.
Qardash, il cui nome significa “fratello”, è noto anche per avere diverse identità. Come quella di Hajji Abdullah al Afari. Questo appellativo, infatti, è stato utilizzato mentre era a capo degli affari islamici, una sorta di divisione religiosa dell’Isis. Con l’ex capo di Daesh, Al-Baghdadi, ha in comune diverse cose. Due, in particolare: il potere e gli anni in carcere, visto che tutti e due sono stati imprigionati, nel 2003, a Camp Bucca. Non un posto qualsiasi, perché l’ex carcere, che fu gestito dalle forze statunitensi a Umm Qasr durante la guerra in Iraq, non lontano da Bassora, è stato denominato poco tempo dopo come “accademia del jihad“, per via della presenza di numerosi futuri terroristi salafiti che si sarebbero conosciuti all’interno delle sue mura e lì avrebbero sviluppato le loro doti più spietate. Tra di loro ci sono anche Al-Baghdadi e Qardash, oltre a una buona parte dei vertici dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria.
In base alle poche informazioni che circolano sulla sua storia personale, Qardash proverrebbe dalla tribù dei Quraysh, antico ceppo arabo che si stanziò vicino alla Mecca e che si onora di appartenere alla stessa famiglia del profeta Maometto. Sarebbe proprio questo l’elemento che sarebbe stato sfruttato per consentirgli di elevarsi alla carica di Califfo, esattamente come fece Al-Baghdadi, investendo così la sua autorità “politica” a un’autorità (anche) religiosa e spirituale, oltre che militare. Ma su questo esiste un problema. Perché già nel caso di Al-Baghdadi, decine di ulema musulmani (gli esperti religiosi dell’islam sunnita) avevano contestato la sua autoproclamazione. Secondo un alto funzionario dell’ingelligence del ministero dell’Interno iracheno, citato dall’agenzia Nova, la nomina di Qardash ai vertici di Daesh non sarebbe stata facile, vista l’opposizione di altri leader dell’organizzazione, i quali avevano proposto anche altri nomi. Figure siriane o di altri Paesi arabi.
In base a quanto riportato da diverse analisi, la leadership di Qardash non sarebbe completamente al sicuro. Questo perché l’ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein non è considerato l’unico potenziale successore del defunto Califfo. Secondo quanto spiegato da Remy Mahzam, ricercatore al centro internazionale di ricerca per la violenza politica e il terrorismo all’università di Singapore, le sfide per Qardash sarebbero molte e tutte diverse. Come quella di affrontare una leadership spaccata in tante cellule, con identità diverse tra loro, per confini geografici e tradizioni culturali. Secondo lo studioso, le varie fazioni emerse nelle ultime settimane fra i capi tunisini, sauditi e iracheni potrebbero anche rifiutare la sua visione della struttura terroristica. Per definizione, poi, Daesh non è come Al Qaeda, dove la struttura piramidale del potere ne costituiva l’essenza.
È parere di molti credere che Qardash sia la stessa persona che porta il nome di Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi. Le immagini del suo volto corrispondono alla stessa persona, così come il fatto di essere stato nominato il successore di Al-Baghdadi poco dopo il suo decesso. Simile il passato e la provenienza geografica, così come il carattere duro ed efferato. In un audio della durata di circa sette minuti e diffuso da Al Furqan, un altro degli organi di propaganda del gruppo jihadista, il portavoce avrebbe invitato alla vendetta “contro infedeli e apostati” per la morte dell’autoproclamato Califfo e avrebbe spiegato che il successore, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi, sarebbe stato nominato dal consiglio della Shura dello Stato islamico. Nella prima parte di audio verrebbe confermata la morte di Al-Baghdadi e dell’ex portavoce al Muhajir. Poi, subito dopo, l’appello che invita “tutti i mujaheddin” a giurare fedeltà al nuovo Califfo. Secondo la versione diffusa dal portavoce, Al-Qurayshi sarebbe un veterano del jihad, che in passato aveva combattuto contro gli Stati Uniti (definiti i protettori “della croce”). Di lui si dice che sia un vero conoscitore delle guerre americane e che sia “consapevole della sua astuzia”. “Non rallegratevi”, direbbe poi il messaggio registrato, “perché il nuovo califfo vi farà soffrire più del predecessore e quello che vi è stato inflitto da Al-Baghdadi, in confronto, avrà un sapore dolce”.
Eppure, in base a quanto riportato da Avvenire, secondo Robert Baer, ex operativo della Cia e grande esperto di terrorismo, lo Stato islamico ora sarebbe alla ricerca di un successore “più efficace e pragmatico, più razionale”, perché “le atrocità compiute da Al-Baghdadi hanno reso Daesh inaccettabile per la stragrande maggioranza dei musulmani, anche per chi si allinea su posizioni più radicali”. E oggi, alla morte del suo leader, l’organizzazione sente la necessità di rinascere e non più soltanto sopravvivere (soprattutto dopo le diverse sconfitte sul campo). E se i capi del jihad muoiono, cambiano e scompaiono, l’ideologia resta. Fu leggermente diverso per Al Qaeda, che per riorganizzarsi alla morte del suo capo indiscusso, Osama bin Laden, impiegò diversi anni. E tuttora sembra non essersi ancora ripresa.
Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 2022 un’azione delle forze militari Usa scova il nascondiglio di Al Qurayshi. La notizia del blitz è resa nota dal Pentagono il mattino seguente. Il leader dell’Isis, in particolare, viene trovato nella località di Atimah, nel nord ovest della Siria. Si tratta di una zona non lontana dal confine con la Turchia e dal villaggio di Berisha, lì dove nell’ottobre 2019 viene ucciso Abu Bakr Al Baghdadi. Avuta la certezza dell’identità di Al Qurayshi, le forze militari, su ordine del presidente Joe Biden, entrano nell’ultimo bunker del terrorista. Messo alle strette, il capo dell’Isis decide di farsi esplodere assieme alla sua famiglia. La deflagrazione uccide all’istante Al Qurayshi, la moglie e i suoi figli.
Poco dopo da Washington è lo stesso Biden a rendere noti i dettagli. Arriva la conferma della morte del miliziano jihadista e viene lanciato un monito a tutti i terroristi: “Vi scoveremo”, dichiara il presidente Usa. Secondo fonti riportate dalla Cnn, l’operazione risulta pianificata da mesi in quanto già da tempo l’intelligence erano sulle tracce dell’erede di Al Baghdadi. Il via libera definitivo è arrivato dalla Casa Bianca la sera del primo febbraio. Biden ha dato il disco verde dopo le ultime informazioni ricevute, in un’apposita riunione, dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin e dal generale Mark Milley, il capo degli Stati Maggiori riuniti. Nel blitz nessun militare americano risulta ferito. Le vittime, secondo il Pentagono, sono tutte attribuibili all’esplosione provocata dal suicidio di Al Qurayshi. La sua morte determina un nuovo vuoto di potere all’interno dell’Isis.