Abu Muhammad al-Adnani, il propagandista dello Stato Islamico

La propaganda è l’elemento essenziale di ogni governo. Dove governo non ha connotazione politica, ma identifica l’organo di potere di una qualunque organizzazione: stati, imprese – nel loro caso è pubblicità –, religioni – nel loro caso è mera diffusione della verità rivelata.

La propaganda può orientare, (dis)informare, affascinare, confondere, attrarre proseliti. La propaganda può condurre all’odio o all’amore, a seconda dell’obiettivo di colui che ne fa utilizzo.

L’internazionale del terrorismo islamista, sin dall’epoca di Al-Qāʿida, ha popolarizzato e globalizzato la propria causa attraverso la produzione di contenuti accattivanti, talvolta scioccanti, intuendo le potenzialità di Internet già nei primi anni Novanta. Ma è stato il Daesh, o Stato Islamico, a portare la propaganda jihadista a livelli cinematografici e a farne un poderoso strumento di reclutamento.

Scrivere della propaganda del Daesh non è possibile senza fare tirare in ballo Abū Muḥammad al-ʿAdnānī, al secolo Ṭāhā Ṣubḥī Falāḥa, colui che durante la prima metà degli anni Dieci riuscì a rendere “cool” l’organizzazione terroristica presso ampie platee di giovani musulmani disadattati, arrabbiati e dimenticati delle periferie occidentali.

Abū Muḥammad al-ʿAdnānī, nome di guerra di Ṭāhā Ṣubḥī Falāḥa, nacque a Binniš, nel governatorato siriano di Idlib, nel 1977. Dei suoi primi vent’anni di vita è dato sapere poco, tanto che di lui continua persino a mancare una data di nascita corredata di giorno e mese.

I tentativi di ricostruzione biografica del fu influencer del Daesh, uno dei quali a firma del suo commilitone Turki al-Binali, parlano di al-ʿAdnānī come di un uomo cresciuto in una famiglia modesta, ultimo di sei figli, allevato sin dalla tenera età alla pratica dell’Islam e dal temperamento vulcanico.

Indisciplinato a scuola, che avrebbe abbandonato molto presto, al-ʿAdnānī sarebbe diventato particolarmente pio e zelante dopo la morte di un caro amico a causa di un incidente automobilistico. Lo zelo, per motivi mai chiariti, avrebbe spianato la strada alla radicalizzazione. Forse su spinta di qualche imam radicale. O forse un classico caso di autoradicalizzazione.

Nel 1998, appena ventunenne, la scomparsa improvvisa. Al-ʿAdnānī si allontana dalla natia Binniš, senza informare la famiglia sulle proprie intenzioni, per aderire alla nascente militanza islamista mediorientale. Si farà vivo anni dopo, nel 2003, nelle vesti di combattente leale al secondo terrorista più pericoloso dell’epoca: Abū Mus‘ab al-Zarqāwī.

Al-ʿAdnānī ricompare sulla scena negli anni della progressiva trasformazione di Jama’at al-Tawhid wal Jihad nello Stato Islamico, avvenuta in concomitanza con la discesa dell’Iraq nella guerra civile (e interreligiosa) nel dopo-invasione americana, ed è un uomo profondamente cambiato.

Fedelissimo di al-Zarqāwī, col quale ha prima operato in Siria e che poi ha seguito in Iraq, al-ʿAdnānī è il cavallo sul quale punta il futuro Stato Islamico. Ha dimostrato di essere impavido partecipando in prima linea alla seconda battaglia di Falluja, ferocemente combattuta tra la coalizione dei volenterosi e Al-Qa’ida in Iraq nel 2004. E ha tanta voglia di imparare, perciò gli viene affiancato un chierico di origini palestinesi, Abu Anas al-Shami, al quale viene dato l’incarico di formare colui che è destinato a diventare uno dei capi del Daesh.

Arrestato dalla coalizione internazionale nel 2005, alla quale fornisce un alias (Yasser Khalaf Hussein Nazal al-Rawi), al-ʿAdnānī viene trasferito a Camp Bucca, carcere gestito dall’esercito statunitense, dove fa la conoscenza di Abu Bakr al-Baghdadi. Tra i due si formerà un legame che soltanto la morte sarà in grado di spezzare. Rivedrà la libertà soltanto cinque anni dopo, nel 2010, non dimentico delle promesse ricevute da, e fatte a, al-Baghdadi.

Il Medio Oriente del 2010 è molto diverso da quello che al-ʿAdnānī si è lasciato dietro nel 2005. L’Iraq è un pantano all’interno nel quale va espandendosi l’Iran. La Siria è in fibrillazione. Le primavere arabe stanno sconvolgendo ordini politici decennali. Il Daesh, ora guidato da al-Baghdadi, è pronto a cogliere orazianamente l’attimo.

Dell’organizzazione terroristica che vuole farsi Stato, dando compimento al proprio nome, al-ʿAdnānī viene nominato capo del suo servizio di intelligence e titolare degli organismi di propaganda. È colui che dà indicazioni agli addetti della divisione media su come confezionare i video propagandistici, come quello dello sconvolgente rogo del pilota giordano Muʿādh al-Kasāsbeh. È colui che scrive i libri di testo sui quali vengono formati i combattenti e che indottrinano chi vive nei territori del Daesh. Ed è, soprattutto, l’oratore del Daesh.

Se al-ʿAdnānī non fosse esistito, il Daesh avrebbe dovuto inventarlo. Perché fu quest’uomo, prodigio dell’oratoria, a scrivere i più importanti discorsi propagandistici dell’organizzazione. Discorsi pubblicizzati in più lingue, dall’inglese al russo, che giocarono un ruolo chiave nel rapire decine di migliaia di giovani musulmani di tutto il mondo, persuadendoli a recarsi nel Siraq per arruolarsi nello Stato Islamico. Discorsi rimasti nella storia della propaganda jihadista, che, sicuramente, i suoi posteri studieranno e copieranno.

Al-ʿAdnānī fu l’autore di oltre venti discorsi propagandistici tra il 2012 e il 2016, il più importante dei quali era e resta “In verità, il tuo Signore è sempre vigile“, pubblicato il 22 settembre 2014, che viene considerato il precursore della stagione di terrorismo che di lì a poco avrebbe travolto l’Europa, in particolare la Francia. Un invito ad attaccare gli occidentali nelle loro dimore, con qualunque arma, che in molti raccolsero.

Ritenuto ampiamente da ricercatori e scienziati sociali come colui che ha reso “cool” il jihadismo, facilitandone l’ingresso nelle subculture giovanili e musicali di diversi paesi occidentali, al-ʿAdnānī è in cima alle kill list di Stati Uniti e Russia nel 2016. I suoi discorsi sono pericolosi, perché ogniqualvolta parla qualcuno agisce. Il suo genio è fondamentale per al-Baghdadi, che ha aiutato a trasformare il Daesh nell’organizzazione terroristica più rivoluzionaria della storia del jihadismo. Dev’essere fermato a ogni costo.

La sua corsa finisce nell’agosto 2016, nei pressi di Aleppo, forse ad al-Bab. Ignota, ancora oggi, la paternità del raid che lo ha eliminato, giacché l’hanno rivendicata sia Mosca sia Washington e la verità non è mai emersa. Al-ʿAdnānī era un obiettivo troppo importante per i russi perché lo reclamassero gli americani, e viceversa.

L’eredità materiale e immateriale di al-ʿAdnānī è rimasta, sopravvivendogli e sopravvivendo al Daesh. I suoi libri formativi, da tempo, sono entrati ufficialmente nell’armamentario di Al-Qāʿida. I suoi discorsi continuano a risuonare nei circoli jihadisti. E tutto ciò che lo riguarda, dai libri ai discorsi, prospera e si propaga in Asia centrale, dall’Uzbekistan all’Afghanistan, dove il Daesh si è spostato dopo aver perduto il Medio Oriente e da dove spera, forse, un giorno, di ripartire alla conquista del mondo.

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