Tokyo, 1970: quando i giapponesi sognavano la rivoluzione comunista

È esistito un periodo, che i contemporanei hanno condannato all’imperituro oblìo, durante il quale il Giappone, terra dei samurai ed impero del Sole, ha sperimentato un’ondata di violenza politica senza precedenti, dando i natali ad una generazione di guerriglieri in hakama e kalashnikov che avrebbero seminato terrore da un capo all’altro dell’Eurasia.

Da Singapore a Istanbul, passando per Napoli e Lod, quei samurai rossi sarebbero stati in grado di portare la paura ovunque, persino negli Stati Uniti, guidati da un unico anelo: la rivoluzione comunista. Quei samurai, cresciuti più all’ombra di Lenin che all’ombra di Miyamoto Musashi, erano i temibili terroristi dell’Armata rossa giapponese.

Alcuni potrebbero dire che l’epopea dell’Armata Rossa Giapponese ha avuto inizio nel settembre 1969, quando una giovane antiamericana rispondente al nome di Fusako Shigenobu catturò l’attenzione della stampa con un’insolita dichiarazione di guerra agli Stati Uniti e al proprio governo, ma la verità è che la genesi è di gran lunga anteriore a quella data.

L’Armata Rossa Giapponese fu uno dei tanti volti della ribellione culturale del Giappone profondo contro l’americanizzazione coercitiva della società, della cultura e della politica cominciata nel secondo dopoguerra, con la satellizzazione dell’Impero del Sole da parte degli Stati Uniti.

Molti di coloro che nel 1969 avrebbero impugnato le armi, arruolandosi nell’esercito della Shigenobu, negli anni precedenti erano stati tesserati al Partito Comunista Giapponese, avevano militato nella Lega Comunista oppure, più semplicemente ed apartiticamente, avevano vissuto con rabbia e disaffezione il processo di denazificazione in salsa nipponica, partecipando attivamente a quella decade di tumulti popolari a carattere antiamericano passata alla storia come la “battaglia contro l’Anpo” (安保闘争).

Fu a quella galassia di nostalgici e patrioti, più antiamericani che filosovietici, e indubbiamente più anti-imperialisti che comunisti, che l’onna-bugeisha rossa avrebbe attinto, costituendo un piccolo ma agguerrito esercito che, a partire dal 1969, avrebbe sparso sangue da una parte all’altra dell’Eurasia nel nome della lotta all’imperialismo occidentale.

Il primo gesto eclatante dei terroristi della Shigenobu fu il dirottamento del volo 351 della Japan Airlines, avvenuto il 31 marzo 1970. Non si chiamavano ancora Armata Rossa Giapponese, ma Armata Rossa Unita, e quell’azione sarebbe valsa loro l’appellativo di samurai rossi perché, teatralmente, sequestrarono il velivolo armati di katane.

Teatralità e ultraviolenza, a partire da quel dirottamento, avrebbero connotato l’operato dei samurai rossi dentro e fuori il Giappone. Credevano nel potere destabilizzativo del cosiddetto terrore rivoluzionario, del resto, reputandolo l’unico strumento in grado di spaventare la borghesia al punto tale che avrebbe rinunciato alla lotta per l’autoconservazione.

La storia avrebbe dato loro torto, perché quel ricorso frequente alla brutalità non li avrebbe aiutati a vincere né la lotta contro Tokyo né quella contro Washington. Fintantoché furono in vita, però, quella primordiale ferinità, data da un odio viscerale genuinamente serbato nei confronti di tutto ciò ritenevano essere americano, li avrebbe condotti a perpetrare attentati e massacri dall’Asia orientale all’Europa occidentale.

Il novero delle gesta dei samurai rossi è lungo, anche perché l’esigenza dell’autofinanziamento li obbligava ad operare con assiduità, ma tra le più efferate e sensazionali figurano, risaltano e si ricordano le seguenti:

  • 30 maggio 1972: il massacro dell’aeroporto di Lod (Israele). Tre terroristi colpirono quello che oggi è l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv con fucili d’assalto e granate, uccidendo ventisei persone e ferendone ottanta. Riuscirono a superare le misure di sorveglianza del Mossad, che era a conoscenza di un preparativo di attacco all’aeroporto da parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), perché, molto semplicemente, nessuno si aspettava che a commettere una strage filopalestinese fossero dei giapponesi. Sembra che, inoltre, il modus operandi dei terroristi giapponesi abbia esercitato un certo impatto sull’allora emergente galassia jihadista, dato che uno di loro, terminato l’eccidio e restio a farsi catturare, si suicidò con una cintura esplosiva.
  • 20 luglio 1973: il dirottamento del volo 404 della Japan Airlines.
  • 31 gennaio 1974: il sabotaggio della raffineria petrolifera della Shell di Pulau Bukom (Singapore). Negli stessi istanti, in Kuwait, gli alleati del FPLP facevano irruzione nell’ambasciata giapponese, condizionando la liberazione degli ostaggi al pagamento di un riscatto e alla libera fuga. Una doppia azione concordata nei minimi dettagli e conclusasi con il lieto fine per entrambe le squadre.
  • 13 settembre 1974: l’assalto all’ambasciata francese a L’Aia (Paesi Bassi). I terroristi, dopo cinque giorni di trattative e un ostaggio assassinato, ottennero il rilascio di un commilitone, Yatsuka Furuya, trecentomila dollari in contanti ed un aereo per fuggire in sicurezza dall’Europa. Si recarono in Siria.
  • 5 agosto 1975: l’attacco al grattacielo dell’AIA Group di Kuala Lumpur (Malesia). L’edificio, sede di diverse ambasciate straniere, fu preso d’assalto per chiedere la liberazione di cinque commilitoni in stato di carcerazione ed un aereo con il quale scappare. Raggiunsero entrambi gli obiettivi, dirigendosi in Libia.
  • 11 agosto 1976: l’attentato all’aeroporto di Istanbul-Atatürk. Un commando misto, composto da samurai rossi e uomini del FPLP, uccise quattro persone e ne ferì venti.
  • 28 settembre 1977: il dirottamento del volo 472 della Japan Airlines. I samurai rossi ottennero la scarcerazione di sei commilitoni e, stando a delle indiscrezioni mai confermate, l’esorbitante cifra di sei milioni di dollari dai negoziatori del governo giapponese.
  • 4 dicembre 1977: il dirottamento del volo 653 del Malaysian Airline System. Per ragioni mai chiarite, data la mancanza di collaboratori con la giustizia e di indagini esaustive, i terroristi ebbero un problema durante la presa del velivolo, forse una grave rivolta dei passeggeri, che ne causò lo schianto. Morirono tutti gli occupanti: cento, tra passeggeri e personale.
  • 1986-1988: biennio di rapidi e improvvisi attacchi con mortaio contro le ambasciate di nazioni occidentali in giro per il mondo, da Jakarta a Roma.
  • 12 aprile 1988: Yu Kikumura viene arrestato sulla New Jersey Tumpike a bordo di un’automobile carica di esplosivo di tipo tubo bomba. Avrebbe dovuto compiere un attentato a Manhattan nel giorno del secondo anniversario dell’operazione El Dorado Canyon.
  • 14 aprile 1988: attentato al circolo ricreativo delle forze armate degli Stati Uniti di Napoli. Compiuto a mezzo di autobomba nel secondo anniversario dell’operazione El Dorado Canyon, l’attacco provocò cinque morti e quindici feriti.

La vena internazionalistica dell’Armata Rossa Giapponese avrebbe causato il tracollo dell’organizzazione, portandola ad essere braccata dalle polizie e dai servizi segreti di tutto l’Occidente. Uccisi nel corso di interventi mirati, oppure arrestati e condannati a vita, uno ad uno i samurai rossi sarebbero stati eliminati dalla circolazione.

Decapitata intelligentemente la dirigenza, da arresti ed omicidi, l’organizzazione terroristica non sarebbe stata in grado di sopravvivere nelle mani dei neofiti. Anche perché i pochi superstiti tra gli “anziani”, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, impauriti dalla prospettiva dell’ergastolo, o peggio della sparizione, avrebbero cominciato a darsi alla macchia, rinunciando ad ogni tipo di attività terroristica e cambiando identità:

  • Yukiko Ekida, compagna di lotta della Shigenobu sin dal giorno uno, trovò riparo in Romania, dove fu rintracciata nel 1995 e quindi deportata in patria per scontare una condanna a vent’anni di carcere.
  • Yoshimi Tanaka, del dirottamento del volo 351 della Japan Airlines, trovò rifugio in Cambogia, dalla quale, però, fu estradato in Giappone nel 1996 e qui condannato a dodici anni.
  • Moriaki Wakabayashi, del dirottamento del volo 351 della Japan Airlines, sembra che viva in Corea del Nord.
  • Kozo Okamoto, l’unico sopravvissuto del massacro dell’aeroporto di Lod, vive in Libano, dal quale ha ottenuto l’asilo politico nel 1999.
  • Hiroshi Sensui, militante della prima ora, fu scovato nelle Filippine nel 1988.
  • Kunio Bando, uno dei cervelli dell’Armata, è stato avvistato nelle Filippine nel 2000 e, da allora, di lui si è persa ogni traccia.
  • Kazue Yoshimura, tra gli assaltatori dell’ambasciata francese a L’Aia, fu rintracciata a Lima (Perù) nel 1996.

E per quanto riguarda Fusako Shigenobu, l’onna-bugeisha rossa che diede inizio a tutto, fu arrestata l’8 novembre 2000, dopo aver messo piede in Giappone con un passaporto falso, fu condannata a vent’anni di reclusione sei anni dopo, al termine di uno dei processi più lungi della storia del Giappone. Sebbene il suo rilascio fosse previsto fra il 2026 e il 2027, cioè al superamento della fatidica soglia degli 80 anni, la Shigenobu è stata scarcerata il 28 maggio 2022. Emblematiche le sue prime parole: “Mi scuso“.

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