Psicologia, chi la conosce e la sa maneggiare ha le chiavi del cervello dell’Uomo. Non è un caso che i servizi segreti e le forze armate delle potenze più lungimiranti, del passato e del presente, abbiano avuto e abbiano degli interi dipartimenti dedicati alle cosiddette operazioni psicologiche (psyops).
Conoscere la mente umana equivale a poterla dominare. Dominarla significa convertire gli umani in automi, trasformare i loro spettri in poltergeist e i loro incubi in realtà. Non deve stupire, dunque, che alcune delle operazioni sovversive più di successo della storia recente abbiano avuto un lato psicologico piuttosto pronunciato – Ajax in Iran, PBSUCCESS in Guatemala, la detronizzazione di Salvador Allende in Cile.
I casi studio di Iran, Guatemala e Cile comprovano qualcosa: nessuno più degli Stati Uniti ha saputo militarizzare meglio la psicologia, una disciplina che, se adeguatamente utilizzata, può permettere a strateghi e ingegneri sociali di creare le condizioni per colpi di stato e guerre civili nei paesi più variegati e nei contesti storici, sociali ed economici più differenti. Edward Bernays insegna.
Cuba, spina nel fianco degli Stati Uniti dal lontano 1959, vanta un incredibile record di resistenza alle psyops. Psyops fallite a causa dell’avarizia degli Stati Uniti, che, accecati dalla fame di cambio di regime, nello stato insulare hanno a lungo dimenticato due delle regole più importanti della guerra: conosci il tuo nemico, studia il terreno di scontro. Due regole che, se valorizzate, avrebbero permesso agli Stati Uniti di evitare i fallimenti della baia dei Porci e della terrificante operazione Mongoose.
Cuba, la stella dei Caraibi, si era allontanata dall’orbita degli Stati Uniti nel 1959, anno della Rivoluzione e della fuga di Fulgencio Batista, e nel 1961, cioè in occasione dello sbarco fallimentare nella baia dei Porci, ne aveva deturpato gravemente l’immagine a livello internazionale.
La débâcle era costata un prezzo enorme agli Stati Uniti in termini di credibilità e reputazione, ma non ne avrebbe in nessun modo fermato l’agenda per Cuba. Che, in quanto localizzata a pochi chilometri da Florida, andava riportata nella sfera di influenza a stelle e strisce ad ogni costo.
Fu nel contesto della ricerca di una soluzione non militare alla “questione cubana” che nella navescuola di Langley, casa della Central Intelligence Agency, qualcuno pensò che fosse giunto il momento di ivi applicare un’arma collaudata con successo tra Iran e Guatemala qualche anno prima: la psicologia.
Il nuovo piano anti-Castro avrebbe assunto il nome di operazione Mongoose e nacque con un obiettivo: creare un clima rovente, da colpo di stato e da guerra civile, per mezzo di attentati, omicidi, incidenti e psyops. A portare avanti le gesta sarebbe stato un insieme di cellule, alcune composte da ufficiali statunitensi e altre formate da agenti provocatori, empi ma utili alleati – come i gangster di Cosa nostra americana – e quinte colonne – l’opposizione anticastrista.
La Casa Bianca, se interrogata su quella strana ed efferata catena di delitti, si sarebbe riparata dietro lo scudo della negazione plausibile. Un piano perfetto, almeno sulla carta.
L’operazione Mongoose fu autorizzata dalla presidenza Kennedy nel novembre 1961, attingendo ed ispirandosi ad un precedente piano in tre punti formulato dall’amministrazione Eisenhower nel 1960.
Il predecessore di JFK aveva immaginato di rovesciare Castro facendo leva su tre elementi: un’offensiva propagandistica su larga scala, un movimento armato composto da esuli, mercenari e quinte colonne, terrorismo. Stazioni radiofoniche operanti in Florida avrebbero dovuto raggiungere la popolazione cubana e stimolare la resistenza, che si riteneva ampia ma silenziata dalla repressione governativa – convinzione poi smentita dallo sbarco nella baia dei Porci. Un’armata finanziata e addestrata dagli Stati Uniti, il Fronte Rivoluzionario Democratico, avrebbe dovuto combattere il regime rivoluzionario. Il terrorismo come detonatore.
Il piano di Eisenhower, dopo un anno nel limbo, fu recuperato dal dimenticatoio all’indomani del clamoroso insuccesso sperimentato dagli Stati Uniti nella baia dei Porci. JFK era convinto, infatti, che la Casa Bianca avrebbe dovuto trovare una soluzione non militare e poco chiassosa al problema cubano, anche per non danneggiare ulteriormente la già sfigurata immagine della potenza-guida del Mondo libero.
Gli psico-strateghi della CIA avevano elaborato un piano all’apparenza perfetto, basato sulla conduzione di attentati, sabotaggi, omicidi e false flag sceneggiati e messi in atto in maniera tale da persuadere l’opinione pubblica cubana che esistesse una resistenza ampia al regime rivoluzionario e che fosse in corso una guerra civile.
Coerentemente con l’obiettivo di cui sopra, la CIA preparò un elenco di pregiati obiettivi militari, politici e simbolici da colpire, tra i quali le basi di Batabanó e Nueva Gerona, e di individui di alto profilo da eliminare, tra i quali lo stesso Fidel Castro.
Alcuni dei più grandi esperti di operazioni irregolari e asimmetriche dell’epoca furono chiamati a scrivere la sceneggiatura e la messinscena di Mongoose, tra i quali Edward Lansdale – con esperienza tra Filippine e Vietnam – e William King Harvey – soprannominato eloquentemente il James Bond americano.
La linea d’azione che avrebbero dovuto seguire gli agenti di Mongoose era chiara: creare incidenti apparentemente scollegati tra loro e compiere omicidi e sabotaggi in grado di gettare nel panico tanto la popolazione quanto il governo. Obiettivo: la diffusione di uno sconforto e di un’insicurezza tali da incoraggiare la società a chiedere, invocare e supportare un cambio di regime.
Le diverse cellule avrebbero agito in autonomia l’una dall’altra, dedicandosi a mansioni e missioni di natura diversa – dal rogo di campi di canna da zucchero al minamento di infrastrutture strategiche – e, spesso, rimanendo nell’ignoranza circa l’esistenza degli altri partecipanti.
Cosa nostra americana, tra le grandi vittime della caduta di Batista, accettò volentieri l’invito estesole dalla CIA. In palio, del resto, v’era la possibilità di riappropriarsi del patrimonio perduto con la Rivoluzione cubana. E siccome gli strateghi di Langley avevano intenzioni serie, avvicinarono il gangster più adatto al ruolo di generale di Mongoose: John Roselli, esponente di spicco dei Chicago Outfit e tra i costruttori di Hollywood e Las Vegas.
Roselli introdusse nella CIA due dei padroni di Miami, Sam Giancana e Santo Trafficante Jr, perché utili nel reclutamento di esuli cubani, nella raccolta di armi e nella possibile eliminazione di Castro. La storia del loro coinvolgimento è stata svelata dai cosiddetti Family Jewels nel 2007.
I primi nove mesi del 1962 sarebbero stati vissuti effettivamente con ansia da Castro, tanto che la storiografia ritiene che l’intervento sovietico nell’isola sia stato in parte motivato dalla paura che una guerra civile, o qualcosa di simile, fosse sul punto di scoppiare: sparatorie tra banditi apparsi dal nulla e forze dell’ordine, assalti a furgoni merci, campi dati alle fiamme, sabotaggi a depositi petroliferi, ferrovie e centrali elettriche.
La speranza-aspettativa della CIA era che Mongoose potesse culminare in un’insurrezione civile, genuina e su larga scala, entro ottobre dello stesso anno. Ma quel mese, invece, avrebbe avuto luogo la crisi dei missili.
Mongoose fallì per lo stesso motivo alla base dell’insuccesso dello sbarco nella baia dei Porci: la scarsa aderenza alla realtà. I cubani erano più che felici dello status quo, e cioè di vivere sotto un regime comunista, e lo avevano già dimostrato nell’aprile 1961.
Una delle regole basilari dell’arte della sovversione vuole che esista un bacino di consenso di rilievo nel teatro da destabilizzare, pena un’elevata probabilità di fallimento dell’operazione. Perché se è vero che le condizioni per un colpo di stato o una guerra civile si possono anche creare, lo è altrettanto che è illogico attendersi un risultato positivo ad un solo anno di distanza da una débâcle che ha evidenziato un vasto appoggio popolare per il governo in carica.
Mongoose non ebbe successo perché nelle stanze dei bottoni degli Stati Uniti, accecati dalla paura rossa, nessuno credeva che potesse esistere un regime comunista basato sul consenso. Ma la storia avrebbe dato torto a questa errata convinzione più volte: dalla pervicace resistenza dell’ordine castrista all’elezione di Allende.
La stessa CIA, nel marzo 1962, aveva deciso di ignorare un rapporto di intelligence formulato a partire dalla raccolta di informazioni raccolte da quinte colonne a L’Avana: la popolazione cubana era divisa tra fermi sostenitori di Castro e apatici adattatisi, volenti o nolenti, alla realtà rivoluzionaria. Una rivolta interna veniva ritenuta improbabile. Ciononostante, secondo la Commissione Church, Mongoose sarebbe continuata fino agli anni Settanta. Un perseverare costato al contribuente americano circa 50 milioni di dollari l’anno e terminato in un nulla di fatto: Castro è morto nel suo letto, alla veneranda età di novant’anni, il 25 novembre 2016.