Quello che Alfred Rosenberg, tra i più grandi teoreti della Herrenrasse, aveva ribattezzato il Mito del ventesimo secolo è nato e morto con Adolf Hitler, ma (decine di) migliaia dei suoi seguaci, come è noto, sarebbero riusciti a scappare dalle grinfie degli Alleati, dal tribunale di Norimberga e dai cacciatori di nazisti di Simon Wiesenthal e del Mossad.
La maggior parte di quei fuggitivi avrebbe gustato il sapore di un nuovo inizio tra America Latina e mondo arabo, ivi trovando una seconda casa grazie all’aiuto dei falsari di Alois Hudal e della criptica Organizzazione Odessa. Fuggitivi come Johann von Leers, ad esempio, il propagandista di Joseph Goebbels che, durante la guerra fredda, si sarebbe reinventato ideologo dell’antioccidentalismo nell’Egitto nasseriano. E fuggitivi come Martin Bormann, il “segretario di Hitler” svanito nelle fasi più concitate della cattura di Berlino e “riapparso” misteriosamente trent’anni dopo.
Martin Ludwig Bormann nasce il 17 giugno 1900 a Wegeleben. Cresciuto senza l’affetto del padre, morto nel 1903, Bormann riceve un’educazione rigida e religiosa dalla madre, venendo introdotto al luteranesimo sin dall’infanzia.
Più adatto all’azione che ai banchi di scuola, Bormann avrebbe interrotto gli studi superiori in scienze agrarie nel 1918, sul finire della Grande Guerra, per arruolarsi nel 55esimo reggimento di artiglieria da campagna. Trascorre l’immediato dopoguerra alternando esperienze di associazionismo in organizzazioni per veterani, dalle quali avrebbe mutuato la giudeofobia, ed esperienze lavorative di alto livello nel settore immobiliare.
Nel 1924, poi, la svolta: Bormann viene condannato ad un anno di reclusione per aver aiutato l’amico (e futuro nazista) Rudolf Höss ad uccidere Walther Kadow, un ex commilitone sul cui conto gravava l’accusa infamante di aver venduto ai francesi Albert Leo Schlageter, il capofila di un movimento di resistenza contro l’occupazione della Ruhr – poi condannato a morte per le sue attività.
Il carcere, ad ogni modo, non avrebbe fatto altro che radicalizzare ulteriormente Bormann, trasformandolo da un violento nostalgico dell’era guglielmina ad uno dei più convinti sostenitori di quel movimento per la rinascita della Germania che avrebbe assunto il nome di nazionalsocialismo.
Bormann si iscrive al Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori nel 1927, quando sull’esperimento di Hitler aleggiava ancora molta incertezza. La sua scalata ai vertici della piramide nazista sarebbe stata relativamente breve, complici la sua inventiva e la sua proattività. Dopo aver trascorso un breve periodo a curare il settimanale del partito (Der Nationalsozialist), infatti, Bormann si sarebbe distinto per la dedizione al lavoro e per alcune creazioni personali, come un innovativo fondo di auto-aiuto per i tesserati (Hilfskasse der NSDAP) e l’organizzazione automobilistica dei nazionalsocialisti (Nationalsozialistisches Kraftfahrkorps).
Nel 1933, all’indomani dell’ascesa al potere di Hitler, Bormann sarebbe stato ricompensato egregiamente per il lavoro svolto nei sei anni precedenti, venendo promosso a capo dell’ufficio di Rudolf Hess, il numero due del neonato governo. A partire dall’anno successivo, avendo evidentemente soddisfatto le aspettative di Hess, Bormann sarebbe entrato a far parte della cerchia ristretta ed esclusiva del Führer – e non ne sarebbe più uscito.
Facendo leva sulle competenze sviluppate e sulle conoscenze acquisite negli anni dell’imprenditoria immobiliare, Bormann avrebbe ottenuto un numero crescente di ruoli, funzioni e poteri. A partire dal 1935, ad esempio, sarebbe stato incaricato da Hitler in persona di curare l’acquisto dei terreni e degli edifici da riconvertire ad uso e consumo del Partito. Luoghi sui quali, poi, avrebbe messo mano l’architetto del Führer: Albert Speer.
Sullo sfondo del ruolo di segretariato e delle attività svolte per conto di Hitler, Bormann sarebbe stato anche uno dei capifila del gruppo di pressione anticristiano del Partito nazista. Pochi altri, a parte Rosenberg, Himmler e Hans Kerrl, si sarebbero contraddistinti per delle posizioni cristofobiche ai livelli di Bormann, che al “cristianesimo positivo” patrocinato dal Partito avrebbe preferito o un culto dell’Uomo o un ritorno al paganesimo germanico.
Per i servigi resi alla causa nazista, all’alba della Seconda guerra mondiale, Bormann sarebbe stato investito del titolo di Vecchio Guerriero (Alter Kämpfer) da Heinrich Himmler, mentre di Hitler sarebbe divenuto portavoce, tesoriere, factotum e custode di memorie – a lui si deve, invero, la pubblicazione nel dopoguerra del semisconosciuto Hitler’s Table Talk.
Nel 1941, all’indomani del volo magico di Hess verso l’Inghilterra, Bormann sarebbe divenuto il numero due del Terzo Reich. Un tuttofare coinvolto nella gestione di politica interna, strategia militare, relazioni internazionali, nonché nell’amministrazione della macchina nazista, e rispondente unicamente ad una persona: Hitler.
Ribattezzato l’eminenza marrone, in riferimento al cardinale Richelieu, Bormann avrebbe accresciuto i propri poteri di pari passo con il progredire della guerra. Poteri che avrebbe utilizzato per vari scopi, sebbene uno fosse considerato più importante degli altri: l’accelerazione dell’implementazione della cosiddetta Soluzione finale (Endlösung).
Eliminazione degli ebrei a parte, Bormann avrebbe passato l’ultimo biennio a mettere la firma su ordini di annientamento indirizzati alle popolazioni slave, dai polacchi agli ucraini, e, negli ultimi mesi di guerra, sarebbe stato dietro alla creazione della Milizia del Popolo (Volkssturm) – un disperato tentativo di rallentare la marcia sovietica su Berlino.
Alle ore ventitré del primo maggio 1945, nel buio e nella frenesia di una Berlino sotto il fuoco nemico, Bormann, il medico Ludwig Stumpfegger e Artur Axmann, capo della Gioventù Hitleriana, abbandonano il Führerbunker con l’obiettivo di fuggire dalla città e, possibilmente, dalla Germania.
All’altezza del fiume Sprea, i tre, nel frattempo raggiunti da altri nazisti in fuga, vengono attaccati dai sovietici. Auxmann e pochi altri sarebbero riusciti ad attraversare quel fiume, mentre di Bormann, a partire da quel momento, si sarebbe perduta ogni traccia. I sovietici, infatti, avrebbero recuperato vari corpi, tranne quello del vice di Hitler, sancendo l’inizio di una saga durata fino agli anni Settanta.
Auxmann era convinto che Bormann fosse morto quella notte, sotto il fuoco sovietico, e avrebbe ripetuto tale versione fino alla morte. Altri, però, serbando dubbi sulla bontà della testimonianza di Auxmann – uno stratagemma per aiutare il compagno a rifarsi una vita altrove, in totale sicurezza? –, avrebbero cominciato a cercarlo in tutto il mondo.
Dato per morto da Auxmann, Bormann fu ritenuto vivo, vegeto e in fuga da una lunga serie di attori, tra i quali il Tribunale di Norimberga – che, difatti, istruì a suo carico un processo in absentia –, Simon Wiesenthal – che lo cercò in America Latina –, la Central Intelligence Agency, il governo della Germania Ovest – che nel 1964 pose su di lui una taglia di 100mila marchi – e Reinhard Gehlen – ufficiale nazista, poi reinventatosi un fedelissimo dell’atlantismo, secondo il quale Bormann sarebbe stato una spia sovietica e la notte della sparizione, molto semplicemente, sarebbe partito per Mosca.
Su Bormann cala il sipario con il passare degli anni, anche perché l’incedere della Guerra fredda spinge gli Stati a destinare uomini, mezzi e risorse ad altri fini, ma nel 1972, incredibilmente, succede qualcosa di inaspettato: degli operai al lavoro in un cantiere di Berlino Ovest trovano dei resti umani. La mente degli inquirenti torna indietro di nove anni, quando un tale di nome Albert Krumnow dichiarò alla polizia di aver seppellito due corpi nei pressi dello stesso posto, l’8 maggio 1945, su ordine dei sovietici.
Gli esami condotti dai medici forensi avrebbero risolto un arcano durato quasi trent’anni, identificando quelle ossa come appartenenti a Bormann e Stumpfegger. Il numero due del Terzo Reich non era mai fuggito: era sempre rimasto a Berlino. Bormann viene dichiarato ufficialmente morto e il governo della Germania Ovest ritira la taglia. Mistero risolto. No.
Al termine della guerra fredda, il Paraguay rese di pubblico dominio gli archivi del terrore relativi agli anni bui della dittatura militare di Alfredo Stroessner. E quegli archivi avrebbero riaperto la questione Bormann, gettando nuove ombre su quel ritrovamento apparentemente fortuito e, soprattutto, sul suo effettivo destino nel dopoguerra. Perché secondo quegli archivi, compilati con scrupolo e dovizia di particolari, Bormann avrebbe vissuto ad Asunción fino alla morte, avvenuta nel 1959 a causa di un cancro. Qualcuno, in pratica, ne avrebbe traslato la salma in Germania in gran segreto, orchestrandone lo scenico rinvenimento, allo scopo di insabbiare la verità.
L’apertura degli archivi del terrore avrebbe raggelato l’opinione pubblica tedesca, e non soltanto per aver riscritto ex novo il fato del nazista più ricercato del pianeta. Secondo gli agenti di Stroessner, invero, i servizi segreti della Germania Ovest sarebbero stati a conoscenza della nuova vita del fuggitivo.
La tesi paraguayana, per quanto suffragata da evidenze documentali, continua a godere di poco riconoscimento da parte della storiografia tradizionale. Chi la sostiene, invero, viene tacciato rapidamente di fare dietrologia, di alimentare un cospirazionismo disutile alla ricerca storica. Chi accusa, però, dimentica, ignora, non conosce, o peggio sottovaluta, l’importanza di un elemento-chiave all’interno della storia del ritrovamento: la presenza di un’argilla ferruginosa, tipica di sedimentazioni riscontrabili principalmente nelle terre paraguayane, sulle ossa di Bormann, il nazista fantasma che sarebbe riuscito a burlare i suoi nemici anche dopo la morte.