Quello che il teologo della supremazia ariana Alfred Rosenberg aveva denominato il Mito del XX secolo, cioè l’ideologia nazista, è durato il tempo di una generazione, nascendo e morendo con Adolf Hitler, ma molti dei suoi seguaci, come è noto, ebbero la meglio sulla caccia all’uomo senza confini degli Alleati, dei giudici di Norimberga, dei vendicatori del Mossad e dei caccia-nazisti amatoriali.
Furono moltissimi, difatti, i nazisti che, sopravvissuti alla caduta del Reich che sarebbe dovuto durare mille anni, acquistarono una nuova identità e cominciarono una nuova vita altrove, lontano dal Vecchio Continente. Alcuni trovarono protezione tra Nord Africa e Medio Oriente, come Johann von Leers, ma la maggior parte di loro – tra i novemila e i dodicimila – scelse come rifugio le Americhe Latine. E tra coloro che ripartirono da zero al di là dell’Atlantico, reinventandosi dei mercenari al soldo del miglior offerente, vi fu l’Erwin Rommel dei cieli: il leggendario pilota Hans Rudel.
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Hans-Ulrich Rudel nacque il 2 luglio 1916 in quel di Konradswaldau, un villaggio all’epoca tedesco ma oggi localizzato in Polonia.
Allevato ad un’educazione rigida e religiosa – il padre era un ministro luterano –, Rudel crebbe con una passione: lo sport, il culto per il corpo. Dopo aver terminato gli studi presso il Ginnasio di Lauban, oggi nota come Lubań ed in territorio polacco, Rudel entrò a far parte di un’organizzazione all’interno della quale poter mescolare sport e patriottismo: la Gioventù Hitleriana.
Dopo un breve periodo trascorso nel Reichsarbeitsdienst, l’agenzia governativa adibita a contenere la disoccupazione, Rudel sarebbe entrato nella Luftwaffe, ricevendo addestramento da pilota di aerei da ricognizione, e da essa non sarebbe più uscito.
Rudel trascorse i primi due anni della Seconda guerra mondiale a svolgere missioni di ricognizione presso nei fronti prossimi alla Germania, come la Polonia, ma nel 1941, complice l’apertura del teatro sovietico, fu addestrato a pilotare il gioiello dell’aeronautica militare nazista: il bombardiere Junkers Ju 87, altresì noto come Stuka.
Preparato al pilotaggio degli Stuka in tempi record, Rudel fu trasferito inizialmente nei Baltici. E qui, il 21 settembre 1941, portò a compimento la prima grande impresa di una carriera in ascesa: l’affondamento (in solitaria) della nave da guerra sovietica Marat, sprofondata negli abissi delle acque baltiche con più di 300 soldati a bordo.
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Lo Stuka più temuto dai nemici del Terzo Reich, con Rudel alla guida ed Erwin Hentschel all’artiglieria, dal 1941 al 1944 avrebbe combattuto in lungo e in largo l’Europa, compiendo approssimativamente 1.400 missioni, alcune delle quali durante la battaglia di Stalingrado, e diventando motivo di orgoglio in patria.
Rudel e Hentschel sarebbero stati premiati con delle medaglie al merito per i loro servigi, mentre i filmati dei loro attacchi letalmente chirurgici, quasi sempre terminati con esito positivo, sarebbero stati impiegati dal Ministero della propaganda per sollevare il morale alle truppe e alla popolazione.
Entro la fine della guerra, spostato di volta in volta nei fronti dove si sentiva maggiormente la necessità del Rommel dei cieli, Rudel sarebbe riuscito a raggiungere e poi superare la soglia delle 2.500 missioni di combattimento, vantando, tra i vari record la distruzione di:
- Oltre 500 carri armati;
- Oltre 800 veicoli militari di vario tipo;
- Oltre 150 postazioni militari di tipo anticarro e antiaerea;
- Più di 70 mezzi da sbarco;
Fu una delle ultime persone a vedere Hitler in vita, avendolo incontrato il 19 aprile 1945, cioè undici giorni prima del suicidio. Il faccia a faccia, evidentemente, lo convinse della sorte inevitabile del conflitto. Da Berlino, difatti, sarebbe volato a Praga per consegnarsi alle forze armate americane, che, a loro volta, lo consegnarono ai sovietici.
Nel 1948, reduce da un periodo di internamento, Rudel avrebbe deciso di seguire le orme di molti ex commilitoni: ricominciare una nuova vita al di là dell’Atlantico, nelle Americhe Latine. Per farlo, Rudel si sarebbe recato in Italia, più precisamente alla corte di Alois Hudal, ottenendo una nuova identità: Emilio Meier.
Con quel nome, Meier, la leggenda degli Stuka sarebbe riuscita a volare da Roma a Buenos Aires, ivi stabilendosi nel 1948 e rimanendovi tutta la vita. Qui, ad ogni modo, chi di dovere sapeva chi aveva davanti: soltanto la gente comune lo ignorava.
Di nuovo, seguendo le orme degli ex colleghi, Rudel avrebbe capitalizzato la propria fama e attinto al proprio bagaglio esperienziale per amicarsi il potere e assicurarsi protezione. In Argentina avrebbe erogato consulenze sull’aviazione all’allora presidente Juan Perón, facendo lo stesso nel Paraguay del dittatore Alfredo Stroessner.
Mai redento, anzi furioso con l’apparato militare per aver determinato la caduta di Hitler, Rudel, una volta acquisita una certa stabilità, avrebbe fondato una rete di aiuto per i ricercati da Norimberga e dal Mossad: la Kameradenwerk. Tra coloro che Rudel riuscì ad aiutare, con la possibile complicità dei regimi fascisteggianti del cono sud, si ricordano l’ex Gestapo Kurt Christmann e l’ex spia August Siebrecht.
Legato a Josef Mengele e Walter Rauff, coi quali era solito incontrarsi dentro e fuori l’Argentina, Rudel sarebbe stato in contatto con un altro grande ricercato: Adolf Eichmann. Tra una consulenza ai governi e un incontro segreto con gli altri sopravvissuti al Terzo Reich, Rudel trovò il tempo di diventare uno scrittore e un opinionista, dando alle stampe libri e mettendo la firma su articoli sulla Seconda guerra mondiale.
La pubblicazione delle proprie memorie, Pilota di Stuka, avrebbe trasformato Rudel in una celebrità. Il libro, difatti, sarebbe divenuto il caso editoriale del 1952, andando in ristampa più volte e venendo tradotto in diverse lingue. La popolarità, oltre a renderlo un voto conosciuto anche da chi prima ne aveva ignorato il passato, lo avrebbe portato al centro dell’internazionale neonazista. L’ideologa neonazista Savitri Devi, ad esempio, nel dopo-pubblicazione si recò a Buenos Aires per incontrarlo.
Nel dopo-pubblicazione di Pilota di Stuka, curiosamente, Rudel provò a cavalcare l’onda della notorietà nel più teatrale dei modi: candidarsi alle elezioni federali del 1953 alla testa di un partito neonazista, Deutsche Reichspartei.
Rudel era interessato tanto alla fama quanto al mercenariato. La fama per l’autogratificazione, il mercenariato per il denaro. Raccomandato da Perón e Stroessner, Rudel avrebbe trascorso gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta recandosi da parte a parte del cono sud, in quanto richiesto come consulente militare, politico e industriale dai regimi militari che andavano instaurandosi: dal Brasile dei gorillas al Cile pinochetista.
Secondo lo storico Peter Hammerschmidt, che ha indagato a fondo la seconda vita di Rudel in America Latina, non sarebbero mancati, anzi sarebbero stati tanti, i contatti coi servizi segreti dell’Occidente, in particolare di Germania Ovest e Stati Uniti. Spionaggio, ma non solo: anche servizi di intermediazione e partite di armi.
Rudel trascorse un ventennio, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, viaggiando tra Germania Ovest e America Latina. Con l’avanzare dell’età, però, scelse di passare più tempo nella prima e meno nella seconda. Questione di stanchezza, ma anche di stabilità economica oramai raggiunta.
In Germania Ovest, tra uno scandalo e l’altro – quando per le simpatie raccolte tra i militari in servizio alla ricerca di autografi e quando per le interviste incendiarie –, Rudel sarebbe rimasto un personaggio popolare ma enigmatico fino alla fine dei suoi giorni. Popolare perché sempre presente sui giornali, in prima linea ai grandi eventi sportivi, alla ricerca costante delle telecamere. Enigmatico perché associato a Gladio e implicato in trame invisibili con gli ex colleghi scampati a Norimberga e al Mossad.
Morì a Rosenheim il 18 dicembre 1982, colpito da un infarto fulminante, risultando capace di destare scandalo anche post-mortem. Perché il giorno della sepoltura, oltre alle varie sanzioni comminate dalla polizia ai partecipanti per la messa in mostra di simbologia nazista, due Phantom F-4 della Bundeswehr si palesarono nel cielo, volando ad un’altitudine stranamente bassa e passando sopra le teste dei presenti. Un tacito omaggio al Pilota di Stuka secondo un’infuriata sinistra radicale, una semplice coincidenza secondo un’indagine coordinata dal Ministero della difesa. Rudel, un enigma fino alla fine, anzi, persino dopo la fine.