Gengis Khan

Chi era Gengis Khan, il guerriero delle steppe

Per alcuni è stato uno dei più grandi condottieri mai esistiti. Per altri era invece un demone assetato di sangue e conquiste. Gengis Khan (1162-1227), fondatore dell’Impero mongolo, si trova probabilmente a metà strada tra i due estremi. Il suo mito ha dato origine a racconti, dicerie e leggende, mentre le sue capacità militari lo hanno trasformato in una sorta di guerriero senza tempo. Il suo personaggio, spesso descritto come violento e iracondo, si trova all’interno di libri, film e perfino cartoni animati. A distanza di secoli, il dibattito su chi era davvero il cavaliere delle steppe è ancora aperto.

Ricostruire la vita di Gengis Khan è un’impresa ardua. Bisogna infatti separare la cruda immagine con la quale molti hanno etichettato questo personaggio, dai fatti principali che ne hanno contraddistinto l’esistenza. Innanzitutto, il vero nome di Gengis Khan (un titolo onorifico di incerto significato), o meglio Cinggis Qan, era Temujin. I suoi primi anni di vita sono avvolti nella nebbia e ricchi di controversie, in quanto raccontati postumi.

La madre di Gengis Khan si chiamava Hoelun, e faceva parte della tribù dei Merkit. La donna si era appena sposata con Yeke-Ciledu, il fratello minore del capo della stessa tribù dei Merkit, quando fu rapita da Yesugei (o Yesugai) nel corso di una scorreria. Yesugei era il capo del clan Borjigin della tribù dei Kereiti. Già da questi primi cenni è facile intuire come, in questo periodo, la società mongola fosse estremamente frammentata e divisa in clan e tribù tra loro rivali. In ogni caso, Hoelun e Yesugei ebbero cinque figli: al primo diedero il nome di Temujin in onore di un capitano tartaro che il padre aveva catturato in una battaglia. Altre fonti ritengono che quel nome derivi invece da “tomor”, cioè “ferro”.

A quanto pare, Temujin sarebbe nato in mezzo alle montagne della provincia del Hentij, sul Deluun Boldog, il colle della malinconia non distante dal monte sacro Burhan Haldun, un luogo oggi non distante da Ulaan Baataar, capitale della Mongolia (c’è anche una seconda versione, secondo la quale Gengis Khan sarebbe nato vicino a Dadal). Le cronache cinesi indicano il 1162 come data di nascita del condottiero, mentre altri storici parlano di 1155 e 1167. Certo è che l’adolescenza di Temujin fu costellata di miserie e umiliazioni. A neanche dieci anni, rimase orfano di padre. In seguito fu cacciato, assieme alla madre, dal gruppo di nomadi che suo papà aveva capeggiato.

Gengis Khan crebbe tra lotte tribali, contese di famiglia e brigantaggio. È in un contesto del genere che il giovane riuscì ad affinare sempre di più il suo carattere orgoglioso, astuto e vendicativo. Gli eventi nefasti attraversati durante l’adolescenza plasmarono in lui sagacia, ambizione e coraggio. Crudeltà e magnanimità, riportano cronache dell’epoca, erano due facce della stessa medaglia. A poco più di 20 anni, e dopo aver stretto alcune alleanze tribali, Temujin ottenne la prima clamorosa vittoria.

A capo di 13 mila uomini sconfisse le imponenti forze della tribù rivale dei Tayiciud, gli stessi che qualche tempo prima lo avevano tenuto prigioniero. La vendetta di Temujin fu atroce. I capi furono bolliti vivi, mentre tutti gli altri, comprese donne e bambini, messi in ceppi. Il nome di Temujin divenne via via sempre più famoso, e le sue “orde” – mano a mano più corpose in seguito a vittorie e alleanze strategiche – più grandi che mai. Iniziò così la rapida scalata al potere di Gengis Khan.

Gengis Khan poteva ormai trattare da pari a pari con i più potenti condottieri nomadi. Si alleò così con il Van Qan dei Kereit e il guerriero Jamuqua. Si stava realizzando la profezia della madre di Temujin: “Non per nulla costui venne alla luce erompendo con violenza dal mio ventre, stringendo in mano un grumo di sangue rappreso. Egli è come un qablan, uccello che si getta contro le rocce; come il demone Manggus che inghiotte viva la preda; come il lupo che sbuca improvvisamente dalla bufera; come la tigre che non esita ad azzannare; come il mastino che si avventa”.

A un certo punto i rapporti tra Temujin e i suoi due alleati si guastarono. Le truppe, prima unite, si divisero. Gengis Khan riuscì ad avere la meglio sia su Van Qan che su Jamuqua. Nel 1206, anno della Pantera, il condottiero asiatico era convinto di aver rimesso sulla retta via le tribù dell’Asia Orientale. A quel punto i mongoli, fieri del loro giovane capo, lo proclamarono sovrano.

Temujin fu abile a costruire un impero tanto grande quanto solido. I popoli conquistati furono organizzati secondo un’impostazione politico-militare gerarchizzata. Ciascuna tribù godeva di una certa indipendenza, ma tutte le tribù erano sottomesse alla famiglia imperiale, cioè quella di Gengis Khan, considerata sacra perché derivata da Tengric, divinità suprema dei mongoli e Dio del cielo.

Le armate mongole potevano contare su arcieri a cavallo, attaccavano in maniera furtiva ed erano in grado di compiere manovre tanto complesse quanto perfettamente coordinate. I nemici erano intimoriti da una simile simmetria, e anche questo giocava a favore dei mongoli. In generale, l’esercito di Gengis Khan seguiva un sistema vagamente simile a quello adottato dagli Unni. L’esercito era suddiviso in unità di 10, 100, 1000 e 10000 soldati. Altra caratteristica: Temujin si affidava solo ed esclusivamente ad un principio di merito. Non contava la stirpe dalla quale provenivano i cavalieri, ma le loro capacità militari e la loro fedeltà.

Il nuovo re dei mongoli poteva ormai mirare assai più lontano dei confini di una Mongolia unita, dove tribù mongole e turche fornivano a Gengis Khan un miriade di cavalieri che all’epoca non conosceva rivali. Fu così che, una dietro l’altra, caddero un pezzo della Manciuria, i poderosi Jurchen della Mongolia e il regno di Hsi-Hsia. Nel 1215, come ha scritto Fosco Maraini, le truppe di Gengis Khan invasero la Cina a sud della Grande Muraglia e conquistarono Pechino.

A ovest, invece, le temibili orde di Temujin invasero il Kazakhstan e il Khwaremz, mentre furono conquistate varie città, tra cui Bukhara e Samarcanda. I circa 20mila cavalieri di Gengis Khan travolgevano tutto ciò che incontravano sul loro cammino. Dovettero alzare bandiera bianca i georgiani (1221) e persino i principi della Russia meridionale a Kalka (1223).

Nel corso delle sue numerose conquiste, Gengis Khan mise in atto una politica della paura diffusa mediante l’adozione della violenza. Attenzione: questa strategia non aveva niente a che fare con una semplice furia sanguinaria, quanto piuttosto con uno strumento pensato appositamente per assoggettare i nemici. Tanto più una tribù rivale opponeva resistenza, e tanto più crudele era l’atteggiamento dei mongoli. A quel punto, chi riusciva a scampare all’invasione nemica – i mongoli lasciavano solitamente fuggire qualcuno di proposito – portava con sé un messaggio ben preciso: era impossibile (e inutile) resistere ai mongoli.

Non si conoscono i dettagli certi della morte di Gengis Khan. Pare sia morto agonizzante a causa di un trauma riportato dopo esser caduto da cavallo, durante una battuta di caccia. Altri esperti ritengono che Temujin sia morto per le fatiche accumulate in uno scontro con la tribù dei Tanguti o per alcune ferite riportate.

A metà del 1227, in piena agonia, Gengis Khan confermò il terzo figlio Ogodei come suo successore. Morì in quello stesso anno lasciando un impero che si estendeva dal Tibet al Mar Caspio, dalla Siberia al Kashmir toccando perfino il Mar del Giappone.

Sotto il regno di Ogodei, i mongoli proseguirono verso ovest arrivando nel cuore dei Paesi Baltici, attraversarono Polonia e Boemia e toccarono i confini del Friuli, della Dalmazia e dell’Albania. Si fermarono e si ritirarono improvvisamente alla notizia della morte del loro capo. In ogni caso, l’impero mongolo divenne il più esteso della storia sotto il governo del nipote di Gengis Khan, Mongke Khan. Il XIV secolo vide tuttavia il graduale tracollo della potenza mongola nell’Asia centrale e orientale.

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