Chi era Charles de Gaulle, l’ultimo grande di Francia

Militare e statista, Charles de Gaulle è stato nel corso del Novecento l’uomo-simbolo della Francia passata dalla Terza fino alla Quinta Repubblica, da nazione imperiale con volontà di potenza globali a Stato a vocazione continentale, dall’occupazione tedesca alla riscossa. Il simbolo della resistenza ai nazisti, della Liberazione, del potere non caduco e duraturo delle autorità più importanti di Francia. Ultimo grande riformatore delle leggi e della costituzione della Republique, il “Generale” per antonomasia ha condotto nella contemporaneità la Francia dopo i traumi del secondo conflitto mondiale, della disgregazione dell’Impero coloniale, della perdita dell’Algeria. E messo in piede un sistema che dura tutt’ora.

Charles de Gaulle fu, prima di tutto, un soldato, e lo fu dal suo ingresso nell’età matura sino all’ultimo giorno della sua vita, iniziata a Lille il 22 novembre 1890. Terzo di cinque figli nati da una famiglia profondamente cattolica e filo-nazionalista nel pieno del Dipartimento del Nord De Gaulle, formatosi come studente in un liceo gesuita, iniziò nel 1909 la sua carriera militare all’École spéciale militaire de Saint-Cyr, la prestigiosa accademia fondata da Napoleone Bonaparte nel 1802 per plasmare i quadri delle sue armate.

Terminata brillantemente la formazione, de Gaulle, che si era distinto per acume intellettuale, determinazione e coraggio e era stato ironicamente chiamato dai suoi compagni “il grande asparago” per la sua altezza fuori media (196 cm) nell’ottobre 1912 fu promosso sottotenente e assegnato al 33º reggimento di fanteria dell’Esercito Francese. 

Basato ad Arras, il reggimento era un’unità storica che aveva in passato ottenuto vittorie importanti a Austerliz, Wagrem e Borodino in età napoleonica e nel 1912 era comandato da un ambizioso colonnello cinquantaseienne, Philippe Petain, con la cui traiettoria personale quella di de Gaulle si sarebbe fatalmente legata. A detta dello stesso de Gaulle, proprio il futuro leader del regime di Vichy fu l’uomo che per primo gli insegnò le doti del comando.

Allo scoppio della Grande Guerra, due anni dopo, il 33° reggimento, ritenuto uno dei corpi combattenti migliori di Francia, fu inviato al fronte contro le forze tedesche. Il 15 agosto de Gaulle, comandante di plotone, ebbe il suo battesimo del fuoco sul fronte belga nella battaglia di Dinant, ove riportò una ferita alla caviglia.

Al contrario di Petain, che nella guerra si sarebbe più volte distinto come flagello delle truppe tedesche, de Gaulle riteneva pericolosa la tattica degli eserciti dell’Intesa di logorarsi nella guerra di trincea e di sacrificare migliaia di vite senza fini tattici o strategici chiari. Preferiva l’idea di una guerra di movimento fatta di colpi di mano e azioni sistemiche, che provava a mettere in atto guidando incursioni nella terra di nessuno, azioni a sopresa, ricognizioni volte a capire le forze messe in campo dall’esercito del Kaiser nei settori del fronte belga di sua competenza, guadangandosi la Croix de Guerre nel gennaio 1915 e una serie di promozioni culminate nella nomina a capitano nello stesso anno.

La Grande Guerra di de Gaulle finì però nel marzo 1916, quando fu preso prigioniero dai tedeschi nel terribile carnaio della battaglia di Verdun. Prigioniero per trentadue mesi in sei diversi campi in Germania, passò la maggior parte del tempo a studiare il tedesco e a discutere con altri ufficiali prigionieri delle lezioni apprese nel conflitto: a Ingolstadt, in particolare, incontrò il futuro maresciallo sovietico Michail Tuchačevski, fautore del superamento della guerra di trincea, delle operazioni manovrate, della motorizzazione degli eserciti.

Rientrato in Francia nel dicembre 1918, tra il 1919 e 1920 de Gaulle tornò subito al fronte e partecipò alla campagna di Polonia con il generale Maxime Weygand e prese parte alle operazioni militari condotte dal generale polacco Edward Rydz-Śmigły come istruttore e consigliere strategico. Questa esperienza gli valse una citazione da parte del ministero della Guerra francese e la Virtuti militari polacca, e lo portò indirettamente a scontrarsi proprio con quel Michail Tuchačevski le cui opinioni sul futuro della guerra de Gaulle aveva ascoltato con passione e interesse.

Tornato in patria, de Gaulle approfondì gli studi come docente associato a Saint-Cyr prima e come allievo dell’alta scuola dello Stato Maggiore, l’Ecole de Guerre, tra il 1922 e il 1924. In questa fase de Gaulle si scontrò spesso con i generali della vecchia guardia, perorò l’introduzione del carro armato come futuro mezzo decisivo per le battaglie, criticò l’eccessiva esposizione dei militari francesi all’idea di un predominio della fanteria in battaglia, ma fu più volte coperto dalla protezione di Petain, divenuto un vero e proprio eroe nazionale dopo la guerra.

Dal 1925 al 1928 De Gaulle fu il ghost-writer di Petain, di cui però disapprovò la scelta di imbarcarsi come comandante nella missione militare francese in Marocco, finendo per rompere con il maestro dopo che l’anziano maresciallo si rifiutò di garantire a De Gaulle crediti per la pubblicazione del saggio Le Soldat e di accettare il testo del futuro capo di Stato per l’elegia funebre al maresciallo Ferdinand Foch.

Promosso da capitano a colonnello, nel frattempo, de Gaulle aveva ottenuto una serie di incarichi da addestratore che lo portarono da Metz, al confine franco-tedesco, fino alla città germanica di Treviri e a Beirut, in Libano. Negli Anni Trenta aggiunse alla sua continua focalizzazione sulla guerra corazzata anche un tema fondamentale, quello del rafforzamento della professionalizzazione dell’esercito, per il quale si spese nelle sue esperienze allo Stato maggiore. Nel 1932 pubblicò “Il filo della spada”, una sorta di arte della guerra moderna, in cui sintetizza la sua complessa visione della leadership militare. “Al capo – si legge nel libro – non basta legare gli esecutori con un’obbedienza impersonale. È nelle loro anime ch’egli deve imprimere il suo marchio vitale. Colpire la volontà, impadronirsene, indurle a volgersi da se stesse verso il fine che egli si è stabilito, ingigantito e moltiplicare gli effetti della disciplina con una suggestione morale che superi il ragionamento, cristallizzare attorno a sé tutto quanto nelle anime esiste di fede, di speranza, di devozione latenti, tale è questo dominio”. Questa lezione sarebbe stata applicata da de Gaulle nel quadro della sfida decisiva della sua vita: la Seconda guerra mondiale.

Nel maggio 1940 le truppe corazzate tedesche di Erwin Rommel e Heinz Guderian penetrarono come coltelli nel burro nelle difese alleate schierate tra Francia e Belgio. La Germania attaccò la Francia a pochi mesi dalla dichiarazione di guerra avverando ai danni di Parigi la lezione perorata da de Gaulle per la difesa del Paese. Il grande sistema di difesa della Linea Maginot fu aggirato, risultando inutile. Le truppe francesi e britanniche risultarono accerchiate dalle puntate corazzate della Wehrmact, il fronte crollò e in poche settimane la Francia fu costretta alla resa. Promosso generale nel pieno della battaglia, de Gaulle tra fine maggio e inizio giugno si distinse come comandante di divisione, salvo poi essere richiamato a Parigi per motivi politici.  Il primo ministro Paul Reynaud lo nominò il 5 giugno 1940 sottosegretario alla Difesa con delega ai rapporti coi britannici. Quattro giorni dopo de Gaulle era a Londra a incontrare Winston Churchill per coordinare le ultime mosse per difendere la Francia non occupata, la sacca di Dunkerque, la possibilità di sfidare i nazisti.

Dopo che il 16 giugno 1940, a seguito del deterioramento della partita militare, l’84enne Petain fu chiamato a formare il governo destinato a trattare la pace coi tedeschi de Gaulle volò a Londra e il giorno successivo lanciò un caloroso appello via radio trasmesso dalla Bbc invitando tutti i francesi nelle colonie, nell’impero e fuori dai confini raggiungibili dalla Germania a resistere ai nazisti annunciando la nascita del movimento della Francia Libera.

Partito con un movimento non riconoscibile in alcun governo nazionale, formalmente fuorilegge (uno Stato francese esisteva, ed era quello che a fine giugno avrebbe firmato l’armistizio con la Germania) e minoritario, de Gaulle a partire dal 1940 si presentò al mondo come l’anti-Petain. Dopo che Petain si ritirò a Vichy a guidare, con poteri semidittatoriali, la parte non occupata della Francia, focalizzandosi sull’idea di una Francia che avrebbe dovuto ritirarsi dal mondo, vivere nella neutralità e non rischiare ulteriormente, de Gaulle iniziò a controbattere con l’idea di una Republique libera, democratica, inclusiva, capace di proiettarsi come potenza nel mondo. E passo dopo passo, partendo dall’Africa e dall’Oriente riuscì a far passare con la Francia Libera molte truppe stanziate in aree coloniali.

Carismatico e magnetico, de Gaulle divenne un punto di riferimento sia per i militari francesi che per gli esponenti della Resistenza. Riuscì a giocare con forza il ruolo di punto di riferimento per questi mondi anche davanti agli Alleati, superando le resistenze di Churchill (che nutriva dubbi sulla sua capacità di guidare la Francia) e di Roosevelt (che lo detestava) grazie a un gioco di sponda notevole col dittatore sovietico Stalin.

De Gaulle ottenne dagli americani la possibilità di trasferire all’amministrazione diretta della Francia Libera i territori conquistati dopo il D-Day, evitando di soggiacere al governo militare anglo-americano, e a partire dal 1943 seguì da Algeri la preparazione allo sbarco in Normandia. Nel 1944 sulla scia delle truppe alleate de Gaulle ottenne una crescente capacità di controllo sulla Francia e, quando il 14 giugno 1944 ritoccò nuovamente dopo quattro anni il suolo patrio, proclamò Bayeux capitale provvisoria. Il 25 agosto 1944, sulla scia della 2° Divisione corazzata di Philippe Leclerc, de Gaulle fece finalmente ritorno a Parigi, insediandosi come capo dello Stato.

Il contributo francese alla Liberazione contribuì a rendere de Gaulle uno dei protagonisti del conflitto e Parigi una delle vincitrici della guerra. Il Generale partecipò alla spartizione della Germania in zone occupate dopo la vittoria sui nazisti nel 1945 ma subito dopo il conflitto, nel 1946, cedette improvvisamente tutte le cariche politiche di fronte al naufragio della coalizione di unità nazionale estesa a moderati, socialisti e comunisti. Fautore di un potere presidenziale forte, de Gaulle si trovò in frizione con la politica dei partiti. La Quarta Repubblica nacque fragile e fu funestata dalla rotta in Indocina e dalla durissima crisi d’Algeria. De Gaulle si ritirò dal 1946 al 1958 lontano da ogni incarico politico nella piccola cittadina di Colombey-les-deux-eglises, vicino Lilla. La sua lunga “traversata del deserto” sarebbe stata interrotta solo quando la Francia lo chiamò di nuovo come salvatore.

Nel 1958 la Quarta Repubblica era allo sfascio, in Algeria crescevano le tensioni e gli scontri tra i filo-francesi Pied Noirs e il Fronte di Liberazione Nazionale e si potenziava la resistenza di coloro che erano restii ad abbandonare una colonia annessa da tempo al territorio metropolitano francese.

Quando ad Algeri, nel maggio 1958, i generali Raoul Salan e Jacques Massu guidarono un putsch militare chiedendo una transizione di potere a favore di un’autorità più rappresentativa e gruppi di paracadutisti vennero lanciati in Corsica e nel territorio metropolitano i partiti politici della Quarta Repubblica si liquefarono. Con poche, notabili eccezioni (François Mitterrand, Pierre Mendès France, Alain Savary e l’intero Partito Comunista) i leader politici ed economici in coro si unirono per richiamare l’unico uomo capace di incarnare l’unità nazionale nel quadro del sistema-Paese francese: Charles de Gaulle.

Il 68enne generale fu nominato primo ministro da Rene Coty e accettò dietro l’impegno delle forze politiche che sostenevano il suo governo di sicurezza e unità nazionale a promulgare una nuova costituzione.

Vero e proprio “regista” della sua stesura fu il geniale legislatore e eminenza grigia del gollismo, Michel Debré, che nel 1945 aveva coordinato la formazione dell’Ecole nationale de Administration, fucina dell’elite francese.

Con la scrittura della costituzione della Quinta Repubblica Debré creò un sistema semipresidenziale che dava al Presidente i poteri di un vero e proprio “monarca repubblicano”. Debré provò a conciliare in un unico corpus giuridico l’eredità delle grandi tradizioni politiche della Francia: da un lato, il principio monarchico, sostanziato nell’autorità sovrana di un presidente “gioviano” nelle sue prerogative e nel suo rapporto con gli altri apparati; dall’altro, il principio giacobino centralista fondato sull’irradiamento del potere pubblico in tutto il Paese.

La costituzione fu approvata a ottobre con una schiacciante maggioranza e nel gennaio 1959 entrò in vigore, con de Gaulle come primo presidente. Il capo dello Stato sarebbe stato eletto nel 1965 con il voto diretto della popolazione francese introdotto nel 1962 battendo al ballottaggio un suo futuro erede, François Mitterrand.

Capo dello Stato per dieci anni, de Gaulle trasformò radicalmente la Francia alla testa della presidenza amministrata dal suo partito, l’Unione per una Nuova Repubblica.

Tra il 1958 e il 1962 de Gaulle chiuse la partita coloniale con pragmatismo e realismo. All’Algeria fu concesso un percorso guidato verso l’indipendenza, mentre la Francia lasciava gradualmente il resto dell’impero coloniale africano mantenendo, in cambio, un controllo indiretto attraverso la moneta, i commerci e il governo delle élite locali.

Sul fronte interno all’Europa, de Gaulle promosse una politica di grandeur rilanciando il complesso militare-industriale nazionale, promuovendo l’entrata della Francia nel club delle potenze atomiche, siglando l’intesa con la Germania di Konrad Adenauer nel 1963, opponendosi strenuamente all’ingresso britannico nella Comunità economica europea.

“C’è un patto di duemila anni tra la grandezza della Francia e la libertà del mondo”, amava ripetere de Gaulle. E mentre Mitterrrand e gli oppositori di sinistra denunciavano uno stile di governo ritenuto plebiscitario e cesaristico, una sorta di “colpo di Stato permanente” il Generale promuoveva una politica fatta di grandi investimenti strategici nell’economia, colbertismo di Stato, ideologia conservatrice sul fronte sociale.

Centrale in de Gaulle fu l’impegno volto a mantenere intatta e stabile la sovranità della Francia e l’indipendenza della propria politica estera, che il Generale tradusse in diverse decisioni che destarono scalpore nell’epoca tesa della Guerra Fredda.

La visita storica di De Gaulle a Mosca nel 1966 segnò in tal senso uno dei massimi trionfi di una politica originale che portò la Francia a essere la prima tra le nazioni occidentali a ricucire i propri rapporti con l’Unione Sovietica nonché, in seguito, a riconoscere il governo della Cina comunista (1964) snobbata ai tempi dal resto delle nazioni della Nato. Un anno dopo l’apertura a Pechino, de Gaulle ritirò la Francia dal comando integrato della Nato, iniziò una durissima critica alla guerra in Vietnam e in campo economico criticò il cosiddetto “esorbitante privilegio”, la natura dominante del dollaro in campo valutario.

Primo grande alfiere del multipolarismo, De Gaulle non rinnegò la vicinanza preminente di Parigi al campo occidentale ma allo stesso tempo non accettò mai la logica imperante della deferente e incondizionata omologazione delle nazioni europee ai dettami degli Usa e fu sempre un acceso sostenitore dell’idea di un’Europa indipendente (a guida francese) che sapesse mantenere la propria autonoma influenza a livello internazionale, prendendo coscienza tanto del substrato comune sociale e storico tra i diversi paesi quanto delle fisiologiche differenze che le varie nazioni presentavano.

De Gaulle, insomma, pensava a un’Europa libera che sapesse essere l’Europa delle nazioni, della quale anche la Russia avrebbe dovuto essere considerata come parte integrante. Non a caso anche Vladimir Putin ha più volte ripreso nei suoi discorsi questo concetto riguardante il Vecchio Continente compreso tra “Lisbona e Vladivostok” tanto caro al Generale.

Nel quadro della polemica con gli Usa nel 1967 de Gaulle dichiarò l’embargo contro Israele per la guerra dei sei giorni fulmineamente condotta (e vinta) contro l’Egitto, la Siria e la Giordania; tuttavia le più gravi problematiche per il Generale sarebbero venute dal fronte interno.

Conservatore e figlio di un’altra epoca, de Gaulle criticava le richieste dei gruppi giovanili e gli appelli libertari dominanti nei movimenti studenteschi e nelle università. L’esplosione del Maggio francese del 1968 lo colse completamente impreparato. Di fronte alle proteste dei giovani e alle manifestazioni con centinaia di migliaia di persone, erroneamente de Gaulle temette che nei giovani vi fosse una malcelata volontà di conquista illegale del potere o di slittamento del Paese verso la guerra civile. Il Generale  inizialmente prese la decisione di allontanarsi da Parigi per incontrare a Baden Baden il suo antico alleato Jacques Massu, comandante delle forze francesi in Germania mentre a Parigi il primo ministro Georges Pompidou riuscì a padroneggiare la situazione. Al rientro di de Gaulle dalla sua visita sul Reno un milione di sostenitori del gollismo sfilò per Parigi mentre dopo aver sciolto l’Assemblea nazionale le forze conservatrici vicine al presidente stravinsero le elezioni del giugno 1968, con il partito gollista che ottiene 294 seggi su 487 e una maggioranza presidenziale di 394 deputati.

Ma de Gaulle era oramai divenuto figura divisiva. Non più simbolo dell’unità nazionale, aveva in fin dei conti logorato la sua leadership. Un anno dopo una banale questione, un referendum sul futuro assetto del Senato francese, fu con la sconfitta della tesi governativa il grimaldello con cui la posizione di potere di de Gaulle si deteriorò. A 79 anni il presidente passò la mano decidendo di dimettersi in maniera altrettanto sorprendente di come aveva fatto 23 anni prima. Fu il canto del cigno: un anno dopo, il 9 novembre 1970, de Gaulle morì nella sua casa a Colombey, ove si era ritirato in seguito alle dimissioni. Nell’annunciare la sua morte in televisione, il nuovo presidente della Repubblica Georges Pompidou pronunciò la frase: «La France est veuve» (” La Francia è vedova”). A testimonianza del legame inscindibile tra il padre della Quinta Repubblica e la Francia odierna. Tra il soldato divenuto liberatore e capo di Stato e la nuova fase della storia del Paese. Tra de Gaulle e l’eterna rincorsa tra identità e storia che guida la Francia verso l’inesauribile sete di grandeur.

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