La nascita della Cina moderna si fa coincidere con il primo ottobre 1949, anno di fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC). Da quel momento in poi, sotto la guida di Mao Zedong e dei suoi successori, il gigante asiatico avrebbe gradualmente superato il secolo delle umiliazioni e sarebbe tornato ad essere una potenza globale, proprio come ai tempi dell’Impero.
Dal punto di vista politico la Cina è una repubblica popolare dove il potere è esercitato dal Partito Comunista Cinese, vincitore della guerra civile contro i nazionalisti del Kuomintang e artefice della riunificazione nazionale dopo decenni di divisioni interne e sottomissione alle potenze straniere, tristi eventi verificatisi in seguito al crollo dell’Impero.
Oggi la RPC contende agli Stati Uniti – che nel frattempo ha iniziato a considerare l’ascesa di Pechino una minaccia da monitorare con la massima attenzione – la corona di prima potenza economica globale. E questo nonostante le ultime frenate della sua economia, dovute alle rigide misure anti Covid e alle tensioni internazionali. Giusto per elencare un dato, nel 2021 il pil cinese ha raggiunto i 17.700 miliardi di dollari, mentre l’economia americana valeva 23mila miliardi di dollari.
Forte di oltre 1,4 miliardi di abitanti (oltre 23 volte l’Italia e circa un quinto della popolazione mondiale) e di una superficie di circa 9.572.900 chilometri quadrati (32 volte l’Italia), la Cina è il Paese più popoloso al mondo nonché il quarto Stato più grande per estensione territoriale. Il suo paesaggio è diversificato e spazia dai deserti del Gobi e del Taklamakan nel nord, quanto le foreste subtropicali a sud, passando per steppe e foreste. L’antico nome della Cina era Zhongguo, che letteralmente può essere tradotto come “Regno di Mezzo” o “Terra di Mezzo”. Una possibile spiegazione di questo termine sostiene che le dinastie imperiali cinesi consideravano il loro Paese come Centro della civiltà, mentre gli altri popoli oltre Zhongguo erano equiparati a barbari o selvaggi. “Cina”, invece, potrebbe derivare dal portoghese “China”, che i primi esploratori portoghesi appresero da indiani e malesi, e che, a sua volta, potrebbe derivare dalla dinastia cinese Qin (221-206 a.C), sotto il cui dominio il Paese venne unificato.
Sostanzialmente, il governo cinese non riconosce alcuna religione di Stato e dunque la popolazione è da considerarsi atea. La Costituzione cinese sostiene che “i cittadini della Repubblica popolare cinese godono della libertà di credo religioso”. In ogni caso le concezioni religiose prevalenti nella RPC sono il confucianesimo (che in realtà è più una filosofia che non una religione tout court), il Buddhismo, il Taoismo, l’Islamismo e il Cristianesimo. Il 90% della popolazione è ritenuta atea. Il restante 10% abbraccia una delle religioni elencate.
In seguito alle riforme economiche avviate da Deng Xiaoping nel 1978, la Cina smise di essere un Paese del Terzo Mondo per imboccare la via della modernizzazione. Nel giro di qualche decennio la RPC divenne la terra promessa di aziende e multinazionali occidentali, attratte dall’immenso mercato locale e dalle favorevoli condizioni economiche garantite dal governo cinese. In breve, i principali indicatori economici cinesi trasformarono la nazione in una vera e propria potenza. La stessa che, dai primi anni Duemila in poi, ha dimostrato di essere in grado di spaventare gli Stati Uniti con la sua poderosa ascesa. Un’ascesa economica, certo, ma anche geopolitica e culturale.
La capitale della Cina è Pechino (Beijing). Si tratta del centro politico, decisionale, culturale, di comunicazione internazionale e di innovazione scientifica e tecnologica del Paese. Pechino, il cui nome significa “capitale del nord”, è la capitale nazionale più popolosa del mondo, con oltre 21 milioni di residenti in un’area amministrativa di 16.410,5 chilometri quadrati.
La Cina è una repubblica popolare. Viene definita dalla Costituzione del 1982 come uno “Stato socialista sotto la dittatura democratica popolare diretta dalla classe operaia e basata sull’alleanza degli operai e dei contadini”. Il potere è nelle mani del Partito Comunista Cinese (PCC). Il governo ha sede a Pechino ed esercita la propria sovranità su 22 province, cinque regioni autonome (Guangxi, Mongolia interna, Ningxia, Xinjiang e il Tibet), quattro municipalità direttamente controllate e due regioni amministrative speciali, Hong Kong e Macao, in parte autonome.
La carica più importante del Paese è quella di segretario generale del PCC. Attualmente Xi Jinping ricopre tale carica, assieme a quelle di presidente della RPC e della Commissione Militare Centrale. Dettro altrimenti, Xi controlla il Partito, l’apparato statale e quello militare. Oltre alla figura del presidente troviamo una serie di organi decisionali rilevanti, a partire dal Politburo e, soprattutto, dal Comitato permanente del Politburo, il cuore pulsante del PCC che raccoglie gli alti funzionari più importanti del Paese.

L’attuale presidente della Cina è Xi Jinping, che ricopre questo ruolo dal 14 marzo 2013. Le sue parole d’ordine sono due: sogno cinese e Nuova Via della Seta. Con il primo termine ha creato una narrazione che, allo stesso tempo, indica la resurrezione della nazione cinese dopo anni di delusioni e il conseguente miglioramento delle condizioni economiche dei suoi cittadini. Il secondo si riferisce invece al mastodontico progetto infrastrutturale allestito per unire la Cina all’Eurasia e all’Africa. Con ogni probabilità Xi otterrà un inedito terzo mandato presidenziale.
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha recentemente spinto la Russia ad avvicinarsi ancora di più alla Cina. I due Paesi hanno stretto una partnership economico-commerciale incentrata sulla vendita di risorse energetiche russe, come gas e petrolio, e sulla collaborazione in molteplici ambiti. Pechino ha tuttavia più volte ripetuto di considerare Mosca un partner non un alleato, smarcandosi dalla questione ucraina ed evitando così di essere coinvolta nel conflitto.
Cina e Russia vantano intese siglate nel campo dell’oil and gas dal valore di 117,5 miliardi di dollari, oltre ad un interscambio complessivo, nel 2021, di 146,8 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il petrolio, il gigante russo Rosneft, guidato da Igor Sechin, ha firmato un accordo con la compagnia cinese CNPC per fornire 100 milioni di tonnellate di oro nero attraverso il Kazakhstan da qui ai prossimi dieci anni, estendendo, di fatto, un’intesa esistente.

Arriviamo così al secondo accordo, quello riguardante il gas. Il colosso russo Gazprom si è impegnato a trasmettere ai cinesi di CNPC 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas attraverso una rotta dell’Estremo oriente russo, prevedendo di aumentare le esportazioni di gas verso la Cina fino ad arrivare a 48 miliardi di metri cubi annui.
Simili affermazioni potrebbero infatti sottintendere la decisione di costruire un secondo gasdotto dedicato alle esigenze di Pechino, capace di accompagnare il già esistente Power of Siberia. Ricordiamo che la Russia invia già gas alla Cina tramite il suddetto Power of Siberia, che ha iniziato a pompare rifornimenti di gas naturale liquefatto nel 2019, e che, nel solo 2021, ha esportato oltre la Muraglia 16,5 miliardi di metri cubi tra gas e gas liquido.
Attualmente tra Cina e Stati Uniti la tensione è alle stelle. Da quando Xi Jinping è salito al potere e Pechino ha certificato la sua ascesa globale, Washington ha iniziato a percepire il Dragone come una minaccia sistemica. E pensare che, tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, i leader statunitensi ritenevano che la RPC, grazie alle riforme economiche al commercio con l’Occidente, abbandonasse la politica socialista per abbracciare la democrazia. Così non è avvenuto, e anzi, il governo cinese ha rafforzato la credenza nel suo “socialismo con caratteristiche cinese” perseguendo questa strada con orgoglio.
A sdoganare definitivamente la “minaccia cinese” è stato Donald Trump che, durante la sua presidenza, ha avviato una sanguinosa guerra commerciale contro la Cina. Joe Biden ha aggiunto agli screzi commerciali anche gli aspetti valoriali (difesa della democrazia) e geopolitici (su tutti il futuro di Taiwan). Con il risultato che oggi i rapporti tra Cina e Stati Uniti sono ai minimi termini, nonostante, dati economici alla mano, l’uno resti ancora tecnicamente indispensabile per l’altro.

Dopo la riunificazione di quella che consideriamo la Cina moderna ad opera del Grande Timoniere Mao, i nazionalisti furono sconfitti e costretti a ritirarsi nell’isola di Taiwan. Qui, nel 1949, mentre i comunisti fondarono la Cina socialista, i nazionalisti del partito Kuomintang dettero vita alla Repubblica di Cina. Da quel momento in poi il mondo si ritrova davanti a due Stati che affermano di rappresentare il popolo cinese.
Taiwan oggi è riconosciuta come nazione autonoma e indipendente dai seguenti Stati: Belize, Vaticano, Guatemala, Haiti, Honduras, Isole Marshall, Nauru, Palau, Paraguay, Sint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Tuvali ed eSwatini. La Cina, al contrario, considera Taiwan una provincia ribelle che presto o tardi dovrà essere riunificata in tutto e per tutto alla madrepatria.
Tra il dicembre 2019 e l’inizio di gennaio 2020 la Cina è scossa dall’epidemia di un virus sconosciuto: il Sars-CoV-2. A fine gennaio Xi Jinping parla per la prima volta della battaglia che il Dragone dovrà combattere contro un “demone” invisibile.
La Cina è stato il primo Paese al mondo a dover fare i conti con il nuovo coronavirus ed è stato anche il primo a sconfiggerlo (o, per lo meno, a stabilizzare la situazione). Gran parte del merito è andato al presidentissimo Xi. Nella narrazione ufficiale, il suo “modello cinese” ha liberato Wuhan da un terribile flagello, mentre la decisione di inviare aiuti sanitari al resto del mondo – in difficoltà a causa della stessa pandemia che qualche mese prima aveva messo in ginocchio Pechino – ha contribuito a rafforzare legami diplomatici con partner strategici.
Applicando alla lettera una lista di leggi più o meno ferree, la Cina è riuscita a mettere sotto controllo la minaccia nell’arco di un paio di mesi. Quali leggi? La riduzione al minimo dell’interazione sociale, il blocco degli spostamenti, il controllo minuzioso delle uscite, la sospensione degli eventi pubblici e la necessità di prendere costanti precauzioni di igiene personale. A distanza di due anni dallo scoppio della pandemia, e nonostante un inevitabile rallentamento economico, la Cina continua ad adottare la sua rigida politica denominata Zero Covid.
Il progetto più importante varato da Xi Jinping è la Belt and Road Initiative, meglio nota come la Nuova Via della Seta. Questa iniziativa è stata introdotta per migliorare i collegamenti commerciali della Cina con i paesi dell’Eurasia e dell’Africa. Il Dragone si affida a due percorsi per estendere i suoi tentacoli nel resto del mondo: la Via della Seta terrestre, che si snoda attraverso l’Asia centrale prima di toccare l’Europa, e la Via della Seta marittima, che si estende in mare aperto. La Cina sviluppa le infrastrutture di trasporto, come strade e ferrovie, e in cambio intende promuovere il proprio ruolo nelle relazioni commerciali globali.
