Il nazismo e Adolf Hitler hanno esercitato un fascino ed un impatto notevoli sull’immaginario collettivo a stelle e strisce. E non poteva essere altrimenti, visto che gli Stati Uniti degli anni Trenta stavano venendo travolti dalla seconda onda del Ku Klux Klan, erano un ambiente fertile per la proliferazione della giudeofobia ed erano permeabili alle idee e alle ideologie razzialistiche in ragione dell’egemonia politico-culturale del suprematismo WASP e del sistema segregazionistico.
Vari furono i grandi imprenditori, i politici e i personaggi pubblici che prestarono l’orecchio, e a volte persino il cuore, a quello che Alfred Rosenberg aveva definito il Mito del ventesimo secolo. Celebre è il caso del pioniere dell’automobilismo Henry Ford, autore de L’ebreo internazionale e destinatario dell’Ordine dell’Aquila tedesca per i servigi resi al Terzo Reich. E altrettanto noto è il caso di Charles Lindbergh, l’aviatore più adulato dagli americani, che sognò di unire in un matrimonio politico Franklin Delano Roosevelt e il Führer.
Charles Augustus Lindbergh nacque a Detroit il 4 febbraio 1902. Figlio di due svedesi appartenenti alla classe alta – il padre un avvocato, la madre una professoressa –, Lindergh fu allevato alla coltivazione di due passioni sin dalla tenera età: la politica e l’esercito.
Il padre, che all’epoca della Grande guerra aveva lottato per mantenere gli Stati Uniti neutrali, era comunque un patriota: isolazionista, sì, ma patriota. E Lindbergh, una volta adulto, avrebbe tradotto quel patriottismo in arruolamento nelle forze armate, più precisamente nell’aviazione.
Dotato di un talento naturale in materia di pilotaggio di aerei, Lindbergh avrebbe ottenuto il grado di capitano in soli due anni: nel 1924 l’ammissione al corso di pilota dell’aviazione militare, nel 1926 il prestigioso riconoscimento. Un anno dopo aver ottenuto il grado di pilota, tra il 20 e il 21 maggio 1927, Lindbergh avrebbe scritto e fatto la storia a bordo del proprio monoplano leggero: lo Spirit of Saint Louis.
Su quel monoplano, al di là di ogni aspettativa e previsione, il giovane Lindbergh avrebbe compiuto un’impresa storica: la prima traversata transatlantica in aereo, in solitaria e senza fare scalo. Non è dato sapere perché volle imbarcarsi in una simile follia, forse per la gloria o forse perché incitato dai piani alti, ma è noto ciò che accadde durante e dopo la traversata. Nel durante, il pilota ebbe l’appoggio della loggia massonica alla quale era affiliato e della quale mostrò la bandiera in volo. Nel dopo, invece, il pilota ottenne la Dinstinguished Flying Cross dall’allora presidente Calvin Coolidge.
Il talentuoso pilota, il migliore della sua generazione, era, forse, stato scelto dalla Casa Bianca per portare avanti un’incredibile operazione pubblicitaria, di proiezione di potere morbido oltreconfine. Lo stesso anno della traversata, inoltre, fu eletto Uomo dell’anno dal Time.

Nel 1932, all’acme della popolarità, Lindbergh fu sconvolto da una tragedia che lo avrebbe cambiato profondamente: il rapimento (con successiva uccisione) del figlio Charles August. Fu il primo caso di scomparsa di persona ad avere eco internazionale.
Sparito nei pressi di casa il 1 marzo, il piccolo Charles August fu ritrovato senza vita due mesi dopo, il 12 maggio, in una località del New Jersey. Per quel barbaro omicidio fu condannato alla sedia elettrica un noto pregiudicato, Bruno Hauptmann, che, però, si proclamò innocente sino all’ultimo. Gli stessi Lindbergh, del resto, non sembrarono mai totalmente convinti dell’effettiva colpevolezza di Hauptmann.
I Lindbergh, ancor prima che Hauptmann venisse giustiziato, decisero di trasferirsi momentaneamente in Europa per allontanarsi dalle luci dei riflettori, perché bisognosi di tutto meno che delle attenzioni ossessive dei giornalisti d’assalto. E fu precisamente qui, in concomitanza con l’ascesa del nazifascismo nel Vecchio Continente, che il disincantato e depresso pilota avrebbe trovato una via di fuga dalla realtà: il nazismo.
Diventò un visitatore assiduo della Germania, nella quale si recò più volte tra il 1936 e il 1939, cominciando a scrivere e parlare pubblicamente, chiaramente in termini positivi, di Adolf Hitler e dell’esperimento nazista. Fiutando l’opportunità di avere tra le mani un personaggio pubblico, e tremendamente influente, il Führer insignì Lindbergh della Croce di Servizio dell’Ordine dell’Aquila tedesca all’alba della Seconda guerra mondiale.
Rincasato nel 1939, perché chiamato in servizio attivo nell’aviazione militare, Lindbergh si sarebbe trasformato in un attivista anti-interventista: nel più celebre dell’epoca. Divenuto il portavoce del più importante gruppo di pressione isolazionistico di quegli anni, l’America First Committee, Lindbergh cominciò a parlare tra piazze e università a decisori politici, studenti e gente comune della necessità di restare fuori dal conflitto, del bisogno di riconoscere il pericolo per la sicurezza nazionale costituito da una presunta “lobby ebraica” e dell’imperativo di riconoscere il nuovo ordine europeo, di scendere a patti con Berlino.
Lindbergh trovò supporto in sua moglie, la scrittrice di successo Anne Spencer Morrow, che nel 1940 diede alle stampe il manifesto del nazismo americano: The Wave of the Future. Un’opera che, negli anni a venire, avrebbe esercitato una notevole influenza su personaggi come George Lincoln Rockwell.
Gli Stati Uniti si sarebbero dovuti alleati con la Germania nazista, sosteneva l’aviatore, in funzione anticomunista e antiebraica. Perché sovietici ed ebrei, secondo Lindbergh (e secondo Hitler), erano i veri nemici della pace mondiale. Idee pericolose, estrapolate letteralmente dal Mein Kampf, che Lindbergh poté esprimere liberamente ovunque, da costa a costa, parlando sul palco di università come Yale.
Ad un certo punto, all’alba di Pearl Harbour, il caso Lindbergh finì sulla scrivania dell’allora presidente Franklin Delano Roosevelt. Le capacità di persuasione dell’aviatore, però, nulla poterono per smuovere l’inamovibile Roosevelt: i nazisti erano i nemici, sebbene la guerra tra le due potenze non fosse ancora scoppiata, e nessuna alleanza avrebbe potuto essere siglata con loro.
Nel dopo-Pearl Harbour, complice l’ondata di patriottismo che investì gli Stati Uniti, Lindbergh si conformò alla linea della presidenza Roosevelt. Inizialmente, causa la memoria fresca del suo attivismo politico unidirezionale, non fu arruolato nell’aviazione, perché ritenuto un possibile agente nazista, ma gli fu permesso di addestrare i piloti e di erogare consulenze agli sviluppatori di aerei. Con l’avanzare della guerra, però, sarebbe stato infine reclutato e inviato a combattere i giapponesi nel Pacifico.
I flirt con il nazismo non avrebbero intaccato in nessun modo la popolarità di Lindbergh. Era una leggenda vivente, al di là delle sue discutibili convinzioni politiche, e tale sarebbe rimasto dall’immediato dopoguerra alla morte.
Continuò a servire nelle forze armate, dapprima partecipando allo sviluppo dei caccia per la United Aircraft e dipoi ricoprendo il ruolo di generale di brigata nella riserva dell’aviazione militare a partire dell’amministrazione Eisenhower, sullo sfondo dell’erogazione di consulenze a giganti dei cieli come la Pan American World Airways.
Ebbe un nuovo picco di popolarità negli anni Cinquanta, nel corso dell’era Eisenhower, a seguito della pubblicazione di un libro di memorie, intitolato The Spirit of St. Louis, che gli valse il Pulitzer per la biografia e autobiografia. Non era la notorietà, comunque, che andava cercando. Perché di lì a breve, difatti, avrebbe abbandonato l’entroterra in direzione delle più solitarie Hawaii. E qui, a Kipahulu, il 26 agosto 1974, morì per un linfoma.