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Tutti i casi di peste nel mondo

Sembrava tutto sotto controllo. E invece in Madagascar qualcosa pare non funzionare. Il grande paese africano sta affrontando una delle situazioni più delicate della sua storia recente. Una nuova epidemia di peste. La morte nera, che risveglia gli incubi della grande pestilenza del trecento e della piaga di manzoniana memoria, è tornata a capire violentemente. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, tra il primo agosto e il 17 novembre di quest’anno sono stati registrati 2.267 casi di contagio e 195 vittime. La maggioranza di questi, il 76%, riguarda la peste polmonare mentre solo il 14% quella bubbonica.

Il morbo può presentarsi in diversi modi. Il primo, il più letale, è quello della peste polmonare che ha un periodo di incubazione tra gli uno e sette giorni e che comporta febbre e collasso dei polmoni fino alla morte. Questo tipo di peste è l’unico che può essere trasmesso con un contatto tra persona e persona, attraverso le gocce di saliva che si muovono per via aerea. Un altro tipo di male è la peste bubbonica. Il periodo di incubazione è un po’ più lungo, da uno a 12 giorni. Si manifesta con febbre e dolori e porta al rigonfiamento dei linfonodi.

Se non viene curata velocemente porta alla morte dei tessuti con conseguente necrosi della pelle dando l’effetto che ne ha battezzato il nome, con le estremità del corpo che diventano nere. Quest’ultima, più vistosa, è comunque la più semplice da curare mentre quella polmonare può portare a complicazione soprattutto se nel decorso compare anche la setticemia. La malattia viene trasmessa dal batterio Yersinia pestis. Generalmente il ciclo del contatto che era stato individuato dalla scienza medica storica riguardava un passaggio dai topi agli uomini attraverso la puntura di una pulce infetta. Ma oggi i nuovi casi registrati intorno al mondo suggeriscono dei pattern diversi. Negli Usa ad esempio i contagi sono avvenuti in aree rurali per colpa di cani della prateria e scoiattoli. In Africa invece gli episodi hanno riguardato l’invasione da parte degli uomini di ambienti selvaggi, ma non solo. Alcuni casi in Libia hanno riguardato il consumo di carne infetta di cammello e capra, mentre in altri Paese episodi simili hanno riguardato la carne infetta di porcellini d’India.

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In anni recenti gli scienziati hanno cercato di verificare se nella diffusione del morbo centrino anche i cambiamenti climatici. In questo senso l’epidemia di animali selvatici in Kazakhstan è stata associata all’aumento delle temperature in primavera e all’estate piovosa. Una serie di carotaggi hanno anche mostrato come negli anni delle grandi pestilenze la situazione climatica fosse simile a quella odierna.

Alcuni scienziati hanno ipotizzato che a spingere i recenti focolai sia stato il fenomeno climatico de El Niño registrato nel 2016. Particolarmente violento da essere chiamato “Godzilla” El Niño avrebbe innescato un aumento della popolazione di ratti nelle aree rurali innescando l’inizio dell’epidemia. Questa spiegazione è stata collegata anche alla pandemia del virus Zika registrata nelle omeriche. Secondo altri esperti a modificare la popolazione dei roditori in Madagascar è stato anche l’impatto del ciclone Enawo che ha flagellato l’isola con piogge e alluvioni.

Accanto all’epidemia che sta colpendo l’isola africana ci sono anche altre zone. Secondo gli ultimi dati aggiornati del Oms (che ad eccezione del Madagascar non vanno oltre il 2015), l’altro grande Paese che è stato colpito dal morbo è stata la Repubblica democratica del Congo. Tra il 2010 e il 2015 nel Nord-Est del paese sono stati registrati 586 casi per 67 vittime. Colpiti, seppur in misura minore, anche l’Uganda (72 casi e 12 morti) e la Tanzania. In Asia invece la situazione è più contenuta. Con pochissimi casi e 10 vittime. Nelle Americhe pur con delle zone pericolose in Brasile i casi sono stati individuati in Bolivia e Perù. Ma la situazione è delicata anche negli Usa.

Negli Stati Uniti a preoccupare sono in particolare gli stati del Sud-Ovest. Come New Mexico e Arizona. Nell’estate di questiono nella Contea di Santa Fe sono stati registrati tre contagi fortunatamente risolti. Ma secondo i dati del Centers for Disease Contro and Prevention negli ultimi anni c’è stata una leggere recrudescenza. Nel 2015 ad esempio sono stati registrati 16 casi con 4 decessi. I numeri sembrano piccoli ma per un paese occidentale risultano comunque preoccupanti.

A ottobre l’Oms aveva predicato calma sostenendo che il focolaio in Madagascar non destasse particolare preoccupazione. In realtà le vicine Seychelles hanno implementato i divieti di viaggio con i vicini per proteggere l’economia locale basata sul turismo. La paura è quella di ottenere un effetto uguale a quanto successo a Surat, in India nel 1994. In quell’occasione un piccolo focolaio scatenò il panico con conseguenze catastrofiche nel turismo e nel commercio al punto che il danno stimato di una centinaia di casi fu di oltre 2 miliardi di dollari. Per cercare di evitare un panico simile a quello visto durante l’epidemia di ebola nell’Africa centrale l’Oms ha lavorato con tutti i paesi vicini per migliorare la preparazione nel caso si accendano nuovi focolai di contagio. Si va da un controllo stringente negli aeroporti e porti, all’aumento delle dosi di antibiotici allo sviluppo di piani di intervento. Purtroppo è impossibile eradicare completamente il morbo.

La malattia è talmente diffusa tra gli animali che il controllo va ben al di là delle capacità umane, come dimostra il caso americano. Le epidemie solitamente vengono gestite da squadre specifiche che bonificano le case degli infestati e che identificano i contagiati agendo rapidamente con cocktail di farmaci e antibiotici. L’unica vera svolta nella lotta alla peste richiederebbe un approccio preventivo che abbia la capacità di identificare le aree a rischio attraverso un censimento degli animali anche attraverso l’identificazione dei mutamenti nella fauna dovuti ai cambiamenti climatici. Ma questo richiederebbe una dose massiccia di investimenti nella ricerca anche alla luce di quanto detto in precedenza, cioè che vengono scoperti sempre nuovi modi attraverso i quali passa il contagio.

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