Sono sempre stati in lotta e da secoli il loro conflitto influenza anche le politiche dei Paesi che ne sono coinvolti. Perché le due denominazioni dell’islam, sciita e sunnita, non interessano soltanto l’aspetto spirituale, confessionale o religioso della vita dei fedeli, ma riguardano soprattutto le loro identità. Li divide tutto, tranne i cinque pilastri dell’islam, il Corano e il credo che vede in Allah l’unico Dio e Maometto il suo profeta. Per la maggior parte dei musulmani, la religione è un aspetto che abbraccia la gran parte della vita personale. Storicamente, a causa dello scontro tra le due correnti, si sono generate guerre, che hanno, a loro volta, influenzato gli assetti geopolitici dei diversi sistemi di potere. Con circa 1,8 miliardi di fedeli, ovvero il 23% della popolazione mondiale, l’islam rappresenta la seconda religione del mondo per consistenza numerica, dopo il cristianesimo, con un importante tasso di crescita. Esistono due Paesi di riferimento per i due gruppi religiosi: l’Arabia Saudita per il blocco sunnita (dove gli sciiti sono il 15%) e l’Iran per i musulmani sciiti (dove si ritiene che vi risiedano dal 4 all’8% dei sunniti).
L’anno della genesi del conflitto è il 632 d.C., data della morte del profeta Maometto. Alla scomparsa del fondatore della religione islamica, le tribù arabe che avevano iniziato a seguirlo scelsero di dividersi sulla questione di chi avrebbe dovuto mantenere e, di fatto, ereditare sia il potere religioso sia quello temporale. La maggioranza dei suoi seguaci decise di appoggiare Abu Bakr, amico del profeta e padre della moglie, Aisha. La minoranza, invece, pensò che il legittimo successore dovesse essere individuato tra i suoi consanguinei, sostenendo che il profeta avesse designato a succedergli Ali, cugino e genero. I primi presero il nome di sunniti (che oggi costituiscono l’80% dei fedeli nel mondo musulmano), gli altri divennero noti come sciiti, forma contratta dell’espressione “Shia Ali”, che in italiano significa “il partito di Ali”.
Ali riuscì a governare per un breve periodo come quarto califfo, titolo conferito ai successori di Maometto. Quando nel 656 d.C. si insediò, l’islam ebbe un’espansione importante, dall’Egitto alla Persia. Secondo i fedeli sciiti, Ali condusse una vita dedita alla preghiera e all’austerità, diventando così sia un’importante guida spirituale, sia oggetto di forte dissenso, che portò alla guerra civile, la “fitna“. Nel 661 Ali cercò di trovare un compromesso pacifico a questa ostilità, ma alcuni dei più radicali dei suoi seguaci Khargiti si sentirono traditi e lo assassinarono. Nello stesso momento, Muawiya, il capo dei suoi oppositori, prese il potere con il titolo di primo califfo omayyade. Morì poco dopo, lasciando il potere al figlio Yazid (lo stesso che fece assassinare il figlio di Ali, Hosein). Nel tempo, i seguaci di Abu Bakr, in maggioranza, riuscirono a imporsi. E fu da quel momento che gli sciiti si percepirono come minoranza.
In base ad alcune versioni fornite dagli alidi (un altro nome con cui si identifica la minoranza musulmana sciita), la divisione tra i due gruppi si concretizzò prima di questi conflitti, quando ancora Maometto era in vita. Per gli sciiti, infatti, i primi musulmani erano già entrati in conflitto con l’autorità temporale e sia Maometto sia Ali (il cugino) furono costretti a fuggire dalla Mecca per raggiungere Medina, dove i loro rapporti con il governo meccano si deteriorarono, fino ad arrivare a una vera e propria ostilità. Per il credo sciita, Maometto avrebbe contestato il modo di vivere e i costumi della città araba, esortando a una condotta più morale e rigorosa. Ma le autorità meccane si sarebbero scagliate contro le accuse del profeta e lo avrebbero perseguitato.
Ma la vera rottura si concretizzò quando Hosein, figlio di Ali, venne ucciso nel cosiddetto massacro di Karbala (luogo che oggi si trova in Iraq) nel 680, dalle truppe di Yazid, il califfo sunnita al potere. Quell’evento, per i fedeli alidi, ha costituito il fatto centrale e decisivo che ha posto in Hosein la figura più importante. Il suo santuario nella città irachena è uno dei principali luoghi sacri dello sciismo. Gli alidi credono che a nominare Ali suo successore diretto sia stato proprio Maometto. Fin dal massacro di Hosein, quindi, gli sciiti hanno riflettuto sul significato della sua morte e del suo martirio, attribuendogli un forte valore simbolico. Tra le conseguenze di quell’episodio, un forte senso di risentimento e di frustrazione nei confronti dei sunniti. Per spiegare questo sentimento di rabbia e di umiliazione, l’esperto britannico Michel Axworthy aveva utilizzato questo esempio: era come se alla morte di Gesù, capo della cristianità fosse diventato Giuda Iscariota o chi lo aveva crocifisso. Gli alidi hanno sempre ritenuto la ribellione di Hosein (che aveva sfidato l’autorità di Yazid) un tentativo di purificazione dell’islam, per riportarlo all’onore delle origini.
L’ashura (in arabo عاشوراء) è per i fedeli sciiti l’anniversario che ricorda la morte di Hosein: ciò che contraddistingue questa ricorrenza religiosa, almeno per gli sciiti, è il clima di lutto tra i fedeli, evocato con vere e proprie manifestazioni di massa. Chiaramente questa festività non ha lo stesso significato per i fedeli sunniti. Nel mondo scitta ha, infatti, carattere marcatamente doloroso, mentre altrove assume aspetti meno severi (in Nord Africa, per esempio, è festeggiato con altri riti). Molti, invece, vedono nell’ashura la continuazione di antiche feste pre-islamiche (come quelle di inizio anno).
Dopo il massacro di Karbala, la dinastia omayyade continuò la sua reggenza e si espanse in nuovi territori. Tra i valori costitutivi della corrente sciita, molta dell’attenzione è rivolta agli oppressi e la tendenza a considerare la povertà e l’umiltà dei valori morali. I primi seguaci dello sciismo consideravano illegittimo il potere dei califfi omayyadi, percepiti come violenti usurpatori del potere. La speranza, per molti degli alidi, per secoli è stata quella di rovesciare l’equilibrio omayyade per riportare al potere i discendenti del profeta.
Secondo gli sciiti, i discendenti diretti di Ali e di Hosein erano gli imam. Mentre per i sunniti quella figura corrisponde soltanto a chi guida la preghiera, per gli alidi l’imam è il leader spirituale che esercita una funzione di guida politica e religiosa all’interno della comunità. Per loro rappresenta il delegato del profeta nella realtà, sia sotto il profilo temporale sia sotto quello religioso. La sua investitura proviene da dio, attraverso la mediazione del Profeta o dell’imam che lo ha preceduto e ricevendo la sua vocazione dall’alto, questa figura lega due mondi: quello visibile e quello invisibile (gli sciiti, infatti, credono nella walaya, l’autorità che deriva dall’intimità con Dio, che è prerogativa di Ali).
Nonostante la scissione, nei primi secoli lo scambio di idee e spiritualità diverse era libero e ampiamente tollerato. Ma gli alidi, da sempre, si sono considerati una minoranza perseguitata all’interno dei territori governati dai sunniti. Il sesto imam sciita, Jafar as-Sadiq, ideò una strategia controversa per sfuggire alle persecuzioni: la dottrina della taqiyeh permise, infatti, ai fedeli alidi di ripudiare il proprio credo ogni volta lo ritenessero necessario per la loro salvezza. Alla sua morte si verificò un altro scisma, ma questa volta tutto interno alla minoranza sciita. La corrente si divise in molte sette, ognuna delle quali dava un’interpretazione teologica diversa. Alla fine, i fedeli decisero di dare una sola spiegazione al vuoto di potere, pensando all’imam occulto. L’undicesimo imam aveva avuto un erede effettivo, ma era stato nascosto per evitare il massacro e per sfuggire alle persecuzioni. Questo dodicesimo capo (detentore della spiritualità sulla Terra) è teofania dell’imam celeste, ha quindi la funzione di far comprendere lo spirito della rivelazione, il segreto dell’origine, di ciò che è disceso, rendendolo comprensibile alla comunità di fedeli. Questo aggiunge alla corrente sciita un elemento messianico e millenarista, unito a un principio di instabilità e di dubbio, che contraddistingue la corrente. L’imam nascosto e coloro che aspettano il suo ritorno sono denominati “sciiti duodecimani“. Sono la maggior comunità alide e costituiscono il 90-95% dei fedeli in Iran.
Lo sciismo (in particolare in Iran) ha al suo interno una vera e propria gerarchia amministrativa: composta da un ceto di amministratori e “specialisti” della spiritualità, l’organico della religione si rende disponibile come “mediatore” tra l’islam e i credenti. Per rendere accessibile la teologia imamita, gli alidi offrono un’interpretazione dei testi sacri alle fasce più umili della società. Il livello più basso della gerarchia è occupato di mullah, seguito dagli hijjatolleslam, che sono autorizzati a interpretare la legge islamica e hanno un ruolo determinante nella scelta dei teologi di massimo livello, gli ayatollah (che, letteralmente, significa “segni miracolosi di dio”). Al vertice, la gerarchia è orizzontale: nessuno degli ayatollah è superiore all’altro (se non per scienza teologica). Ogni credente ha il diritto e la libertà di scegliere quale tra gli ayatollah sia una “guida da seguire” (marja e-tadqlid). Negli anni Sessanta del XX secolo, in Iran, questa gerarchia venne messa in discussione dal più celebre degli ayatollah, Ruhollah Khomeini, e dal sociologo filosofo Ali Shariati (tra gli ideatori della rivoluzione islamica del 1979).
Rispetto alla comunità alide, quella sunnita basa gran parte della propria pratica religiosa sugli atti del profeta e sui suoi insegnamenti (chiamati “sunna“, da cui deriva il nome). Ciò che li differenzia dagli sciiti è anche il fatto che la minoranza incarna proprio negli ayatollah un riflesso di dio sulla Terra. Questo avrebbe indotto, nel tempo, i sunniti ad accusarli di eresia. Gli sciiti, invece, vorrebbero addebitare alla maggioranza l’avvio di sette estremiste come i puritani wahabiti, corrente ultraortodossa dell’islam (che trova la sua massima espressione nelle scelte politiche di Riad).
Ciò che divide i fedeli musulmani, soprattutto in Medio Oriente, sono elementi che hanno tratti più politici che spirituali. Ma la distinzione e i contrasti tre le due correnti non riflette, necessariamente, i confini nazionali. Per esempio, la Siria, dal 2011 al centro di una violentissima guerra civile, è un Paese dove il 71% della popolazione è sunnita. Il governo della famiglia Assad, però, è sciita (ed è sostenuto dall’Iran, a differenza dei ribelli che sono affiancati e foraggiati dai sauditi). La famiglia Assad, la cui “dinastia” si è consolidata a Damasco negli anni, appartiene al ramo sciita degli alauiti che, insieme ai drusi, rappresentano il 16% della minoranza dello stato. In Libano, Teheran sostiene, come è noto, Hezbollah, ma i Saud sono molto vicini alla famiglia Hariri, uno tra i più potenti clan sunniti del mondo arabo. Nello Yemen, anch’esso vittima di uno dei più feroci conflitti interni (e non solo) degli ultimi anni, la religione più praticata è l’islam sunnita, con un 65% di fedeli, mentre la minoranza corrisponde a un 35% (tra questi la maggioranza fa parte della corrente sciita zaydita, di cui fanno parte i ribelli Houthi). L’Iraq si divide da tempo tra un 60% di popolazione sciita e un 15-20% sunnita. Tra i curdi, che costituiscono circa il 20% degli abitanti, la maggioranza è sunnita. La “mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa per la Siria e finisce in Libano, nel tempo era ammirata da molti esponenti sunniti. Ma la guerra civile e i cambiamenti statali nella regione hanno provocato una frattura che sembra espandersi tra i governi sciiti e gli stati sunniti del Golfo Persico, come Arabia Saudita e Qatar. Oggi il 13% dei musulmani risiede in Indonesia, che è anche il paese islamico più popolato, il 25% nell’Asia meridionale, il 20% nel Vicino Oriente, in Maghreb e in Medio Oriente e il 15% nell’Africa sub-sahariana. La corrente dominante, quella dei sunniti, si espande molto più velocemente di quella sciita, arrivando persino nelle aree più lontane dell’Asia.