Società segrete, ordini iniziatici, compagini magiche e circoli esoterici hanno rappresentato il volto oscuro della Belle Époque, condizionando un’intera generazione di intellettuali, ricercatori e politici ed esercitando un impatto culturale notevole e duraturo.
Le realtà che hanno composto il lato oscuro della Belle Époque sono state accomunate dal rifiuto verso il cristianesimo tradizionale, in particolare il cattolicesimo, e dalla volontà di riscrivere ex novo l’identità dell’Europa e dell’homo europaeus. Le loro tesi, a volte condivisibili, altre soltanto intriganti e altre ancora pericolosamente fanatiste, hanno inconsapevolmente preparato il terreno alla futura ascesa dell’ideologia nazista.
Raccontare del lato oscuro della Belle Époque è un esercizio storico impegnativo, perché concreto è il rischio di cadere nel cospirazionismo spicciolo, ma necessario, perché indispensabile al fine della comprensione del misticismo nazista – e non solo. Ed è un esercizio che impone di ripercorrere le storie dell’Ordo Templi Orientis di Carl Kellner, dell’Ordine ermetico dell’alba dorata e la biografia di Madame Blavatsky.
Elena Petrovna von Hahn, popolarmente nota come Madame Blavatsky, nacque a Ekaterinoslav, odierna Dnipro, il 12 agosto 1831. Di origini russo-tedesche, nelle sue vene scorreva sangue blu da parte materna – la madre apparteneva alla casata dei Dolgorukov, legata all’antica dinastia dei rurikidi.
L’infanzia della piccola Elena è segnata da frequenti trasferimenti all’interno dell’Impero russo per assecondare la carriera militare del padre. Kam”jans’ke. Odessa. San Pietroburgo. Astrachan’. Poltava. Saratov. Sei città in meno di dieci anni. La bambina cresce con la servitù di famiglia, abituata ad uno stile di vita nomadico e tra un’esperienza e l’altra impara l’inglese, a suonare il pianoforte e viene a contatto col buddhismo tibetano – attraverso i calmucchi.
Nel 1842, non ancora trentenne, la madre muore a causa di tubercolosi. La piccola Elena e i due fratelli vengono affidati alle cure del nonno materno, un politico con base a Saratov; un’esperienza destinata a incidere in maniera determinante nella vita della futura Madame Blavatsky. All’interno della nuova residenza dei bambini, eredità del bisnonno materno, il principe Pavel, era presente una biblioteca dedicata all’esoterismo e all’occultismo. Una volta scoperta, la piccola Elena avrebbe trascorso intere giornate a leggere quei libri.
Passato qualche anno, il nonno materno viene chiamato a Tbilisi per un lavoro e porta con sé i tre nipoti. Qui, ormai adolescente e sempre appassionata dall’esoterismo, la giovane Elena si metterà alla ricerca di massoni e proseguirà gli studi, da autodidatta, su occultismo e paranormale. Nel 1849, al compimento dei diciotto anni, il matrimonio col quarantottenne Nikifor Blavatsky e una successiva convivenza con lui a Erevan.
Ma la vita coniugale non fa per lei. Il divario anagrafico si fa sentire. Ha paura di consumare il matrimonio. Dopo qualche mese, pur non divorziando, Helena, nel frattempo divenuta Blavatsky, abbandona il tetto coniugale e, con l’aiuto dei nonni materni, raggiunge il padre a Odessa. Gli spiega che vorrebbe viaggiare, conoscere il mondo, cominciare una nuova vita. Otterrà un passaggio fino a Costantinopoli, anticamera dell’Asia, e denaro sufficiente a permetterle di fare la girovaga per i venti anni successivi. L’inizio del mito di Madame Blavatsky.
La vita di Madame Blavatsky tra il 1850 e il 1880 è un susseguirsi di avventure in giro per il mondo. Avventure raccontate da lei stessa, ma non suffragate da prove – se non la sua testimonianza –, che poco alla volta avrebbero condotto alla nascita della teosofia. Trent’anni di viaggi tra Europa, Africa e Asia, forse anche Latinoamerica, durante i quali la Blavatsky avrebbe incontrato capi massoni, guru, stregoni ed entità spirituali, giungendo ad ottenere la conoscenza antica.
Tutto avrebbe avuto inizio a Costantinopoli, nel 1850, con la conoscenza di un carbonaro italiano, noto con lo pseudonimo di Agardi Metrović, e della contessa polacca Sof’ja Potocka. Grazie a quest’ultima, che avrebbe fatto della Blavatsky un membro del proprio entourage, al Cairo avrebbe incontrato un mago copto, tal Paulos Metamon. Non si hanno altre fonti, a parte i resoconti di viaggio della Blavatsky, dell’effettiva esistenza di Metrović e Metamon.
Il 1851 è l’anno di un viaggio a Parigi, utilizzato per conoscere il mesmerismo e i primi praticanti dell’ipnosi, seguito da un soggiorno londinese, durante il quale sarebbe avvenuto un incontro fisico con un’entità spirituale apparsale da bambina: il maestro Morya. L’entità la illumina sui segreti dell’universo e le ordina di recarsi in Tibet, spiegandole che lì avrebbe trovato il suo destino. La teosofia prende lentamente forma.
L’incontro con Morya strega la Blavatsky, che, dal 1851 in avanti, proverà in tutti i modi a raggiungere il Tibet. Ma non subito. Nel 1851 si imbarca per le Americhe, che avrebbe attraversato dal Québec alle Ande, per poi dirigersi alla volta dell’India britannica. Non sa come faccia, ma Morya le scrive periodicamente delle lettere, che le fa recapitare puntualmente nei luoghi in cui lei si trova, fornendole suggerimenti sul dà farsi.
Arrivata a Mumbai, qui raccoglie testi induisti e fa la conoscenza di guru locali, ma il tentativo di entrare in Tibet sarà bloccato dalle autorità britanniche. Affranta, decide di fare ritorno in Europa, a Londra, ma il clima russofobico imperante – era scoppiata la guerra di Crimea – la spinge a salpare alla volta degli Stati Uniti. Dagli Stati Uniti si reca in Giappone, dal Giappone all’India britannica e, infine, nel 1856, l’ingresso in Tibet con l’aiuto di uno sciamano tataro.
Gli anni successivi sono un susseguirsi di viaggi in lungo e in largo l’Europa, dove reincontrerà e si riconcilierà con suo marito Nikifor e dove proseguirà gli studi sull’occulto. In Italia l’avvicinamento alla spiritualità della carboneria. In Romania lo studio della cabala. E nel frattempo, mettendo in pratica le conoscenze trasmessele dagli “antichi saggi”, il presunto sviluppo di abilità soprannaturali, tra le quali la bilocazione, la canalizzazione, la chiaroveggenza, la psicocinesi e la telepatia.
Tra il 1868 e il 1870 il viaggio della vita – anch’esso oggetto di aspro dibattito –: un ritiro spirituale a Shigatse, la città santa del buddhismo tibetano, all’interno dell’inaccessibile monastero di Tashilhunpo. Due anni trascorsi in compagnia di Morya e di un suo amico, Koot Hoomi, a studiare testi sacri mai letti da persona occidentale, a potenziare le proprie abilità paranormali e ad apprendere una lingua sconosciuta: il senzar.
Nel 1875, su consiglio di Morya e altri saggi occulti, la Blavatsky fonda a New York la Società Teosofica. L’obiettivo è raccogliere le conoscenze accumulate negli anni di viaggi e di metterle a disposizione di coloro che vogliono raggiungere l’illuminazione e toccare la sapienza perenne. La teosofia, basata su dei testi firmati dalla Blavatsky – tra cui La dottrina segreta e Iside svelata –, insegna che esisterebbero degli esseri cosmici guidati dalla volontà di purificare l’umanità – facenti parte della Grande fratellanza bianca – ed è una combinazione di credenze sull’origine dell’universo e dell’essere umano di estrazione induista ed ebraica.
Madame Blavatsky morì nel 1891, dopo aver dedicato gli ultimi sedici anni di vita alla popolarizzazione e alla complessificazione dell’impianto dottrinale della teosofia, riuscendo ad attrarre l’interesse di buoni salotti, aristocratici e massoni di Europa e Stati Uniti. Come René Guenon portò il misticismo islamico in Europa, aprendo la porte alle prime conversioni, così alla Blavatsky va il credito per le prime conversioni di occidentali al buddhismo. Il cofondatore della Società teosofica, l’americano Henry Steel Olcott, sarebbe infatti diventato il primo occidentale convertito al buddhismo nel 1880.
La teosofia, la sintesi perfetta della scienza, della religione e della filosofia, ha avuto un notevole impatto culturale sulla Belle Époque e sull’epoca a lei successiva, cioè il periodo interbellico, influenzando l’intero sottobosco occultistico-esoterico dell’Europa germanica e anglosassone. Dalla cosmogonia della teosofia fu ispirato Rudolf Steiner, il teorico dell’antroposofia. E dalla visione sulle razze della teosofia, in particolare dal passaggio sugli ariani, furono ammaliati Guido von List, il caposcuola di quell’ariosofia il cui seno nutrì una serie di movimenti precorritori del nazismo, e il movimento völkisch.
Madame Blavatsky riuscì nella mirabile impresa di popolarizzare idee esoteriche nell’età del positivismo, portando buddhismo e induismo al centro dell’interesse degli orientalisti europei e americani. La teosofia avrebbe attirato l’interesse dei cultori dell’occultismo come degli scienziati interessati alla sapienza orientale.
La teosofia è sopravvissuta alla sua fondatrice e alle tante accuse che le sono state fatte, dalla veridicità dei resoconti di viaggio al possesso di abilità soprannaturali, ed è diventata uno dei cardini dell’esoterismo occidentale. Oggetto di interesse di insospettabili – da Thomas Edison ad Albert Einstein – e musa ispiratrice di nuovi movimenti religiosi – come il New Age –, la teosofia ha influenzato correnti artistiche, lirica, scrittori e continua ad essere uno degli oggetti di dibattito preferiti dei teorici del complotto.