Chi è Kiril, il patriarca di Mosca

Tra le figure protagoniste dell’odierna storia russa dopo Vladimir Putin un solo uomo ha avuto sul Paese un’influenza paragonabile e tanto estesa, ovvero il Patriarca Kiril.

Sedicesimo patriarca di Mosca, primate di Russia e capo della Chiesa ortodossa nazionale Kiril si è formato religiosamente nella tarda Unione Sovietica e ha ereditato dal predecessore, Alessio II, il compito di condurre la sua organizzazione nel mondo globalizzato con una Russia che, sotto la guida dello “Zar” del Cremlino, viveva un profondo conflitto tra svolte politiche e modernità.

Accusato di essere il “cappellano del Cremlino” per il sostegno alla svolta politica dell’era putiniana e per le decisioni prese in campo geopolitico e di politica estera, Kiril ha condotto la Chiesa ortodossa russa ad essere uno dei polmoni con cui il Paese respira nell’era presente assieme all’autorità politica. Interpretandone connotati identitari, dinamiche sociali, rigidità e facendosi di essa espressione. A testimonianza di come, nell’Europa orientale, la storia della cristianità continui a camminare.

Kiril, al secolo Vladimir Mikhailovich Gundyayev, è nato a Leningrado, l’attuale San Pietroburgo nel 1946. Ha studiato fin da giovane nel mondo delle scienze religiose, conseguendo nel 1969 la laurea in Teologia all’Accademia Teologica di Leningrado dove il fratello Nikolaj è oggigiorno docente.

Completando nel frattempo il seminario, venne ordinato nei gradi della Chiesa ortodossa lo stesso anno il 9 aprile dal Metropolita Nicodemo col nome religioso con cui è attualmente noto, in onore del patrono della cristianità orientale.

Fin dall’inizio Kiril si è mostrato attivo su due fronti. Da un lato ha conosciuto una rapida ascesa nelle gerarchie della Chiesa ortodossa per la vicinanza a Nicodemo di cui è stato segretario personale e organizzatore a livello seminariale. Dall’altro si è consolidato come esperto teologico e dottrinale nel quadro di una Chiesa che si apriva all’ecumenismo riannodando i fili con la cristianità cattolica e, al contempo, combattendo per le menti e i cuori dei cittadini russi nel pieno della fase terminale della parabola dell’Unione Sovietica.

Nel 1971 ha iniziato una carriera “diplomatica” al Congresso Mondiale delle Chiese in seguito alla nomina ad arcimandritaEcumenista sul fronte esterno e conservatore su quello interno, Kiril ha da allora in avanti promosso questa precisa strategia doppia ma tutt’altro che incoerente, se pensiamo a come la volontà di tenere le posizioni dottrinali e quella di aumentare la proiezione diplomatica dell’ortodossia si fondessero nell’obiettivo di ricordare al mondo l’esistenza della più grande comunità cristiana della superpotenza comunista.

 

 

Dal sostegno alla campagna delle Chiese per il disarmo al dialogo con i cattolici, Kiril ha iniziato da “diplomatico” del Patriarcato una lunga ascesa poi riverberatasi nel suo cursus honorum episcopale.

Nel 1976 è stato nominato Vescovo di Vyborg, piccola città strappata dall’Urss alla Finlandia nel 1940 dopo la Guerra d’Inverno, e “proconsole” nell’importante Arcidiocesi di Leningrado, di cui fino al 1982 ha presieduto il Concilio Diocesano. Nel 1984 è stato elevato al titolo di Arcivescovo di Smolensk, aggiungendo la reggenza su Kaliningrad nel 1988. Dal 1975 al 1998 ha ricoperto, inoltre, l’importante carica di membro del Comitato Centrale del Consiglio Mondiale delle Chiese.

Nel 1991 ha ricevuto l’elevazione al ruolo di metropolita, ovvero di responsabile di un’intera provincia ecclesiastica. In quello stesso anno il tracollo dell’Unione Sovietica aprì la strada alla lunga traversata del deserto della Russia contemporanea, in cui gli Anni Novanta sarebbero stati un periodo di torbidi, travagli e stravolgimenti sociali.

Kiril li visse da pontiere dell’ortodossia, promuovendo opere assistenziali e di carità negli anni del tracollo economico e dopo il default del 1998, parlando più volte in programmi televisivi e pubblicando libri sull’importanza dell’ortodossia nella storia russa. La sua opera andò a sostegno dell’attività di Alessio II (in carica dal 1990 al 2009), primo patriarca attivo nell’era post-sovietica, che provò a ricucire il trauma della dissoluzione dell’Unione Sovietica alzando all’onore degli altari i martiri vittime per la propria fede delle persecuzioni sovietiche ma non puntando a demonizzare il comunismo come male assoluto. Come Giovanni Paolo II, Alessio II capì che la minaccia principale alla spiritualità contemporanea venivano dal relativismo culturale, dalla mentalità consumistica, dalla globalizzazione neoliberista. Provò a calare nella realtà russa dei suoi tempi queste lezioni anche grazie all’operato di Kiril, che tra le altre cose mantenne dritta la barra del timone del dialogo con Roma.

Alla morte di Alessio, nel 2009 Kiril fu eletto Patriarca di Mosca e primate di Russia, diventando la guida spirituale della seconda istituzione cristiana dopo la Chiesa cattolica. A Roma la sua ascesa fu colta con grande attenzione e trepidazione: Papa Benedetto XVI voleva proseguire la strada dell’ecumenismo e con l’enciclica Caritas in Veritate apparve ben disposto al dialogo con gli ortodossi. Nico Spuntoni in Vaticano e Russia nell’era Ratzinger ha scritto che l’ascesa di Kiril “ha posto Roma e il mondo cristiano di fronte a una personalità di rilievo, che si è qualificata come un interlocutore dotato di una visione articolata del presente e del futuro del cristianesimo, con cui condividere la consapevolezza della necessità della rivivificazione del rapporto tra cristianesimo ed Europa”.

Kiril dialogò a tutto campo con la Chiesa cattolica e seppe costruire una forte realizione con Benedetto XVI, per quanto mai culminata in un incontro se non con il suo successore, Francesco, con cui Kiril si vide nello storico faccia a faccia all’aeroporto di L’Avana del febbraio 2016.

Alle dimissioni di Ratzinger Kiril scrisse: “in un momento in cui l’ideologia del permissivismo e del relativismo morale, cerca di sloggiare dalla vita delle persone i valori morali, Voi avete coraggiosamente alzato la voce in difesa degli ideali del Vangelo, l’alta dignità dell’uomo e la sua vocazione alla libertà dal peccato. […] Negli anni del vostro ministero il rapporto tra le nostre Chiese ha ricevuto un impulso positivo, per la testimonianza comune di Cristo crocifisso e risorto nel mondo moderno”. In queste parole ci fu il seme gettato che portò alla fase più alta del dialogo tra cattolicesimo e ortodossia dallo scisma del 1054 in avanti.

Al contempo, Kiril in patria doveva fare i conti con il “fattore Putin”. L’ascesa inesorabile ai vertici dello Stato dello “Zar” del Cremlino portò in un certo senso un sistema cesaropapista al potere. Putin ha capito l’importanza politica e simbolica dell’idea storica della Santa Madre Russia, Kiril sul fronte interno ha suffragato la visione politica del governo aprendo alla critica agli eccessi del modello occidentale, a una visione sociale estremamente conservatrice, alla definizione di “miracolo diI Dio” per la rinascita economica del Paese dopo il caos degli Anni Novanta.

All’estero questo ha portato a considerare l’ibridazione graduale tra trono e altare come l’attestazione di un appiattimento di Kiril su Putin, tanto da portare al suo soprannome di “cappellano del Cremlino”. Questo non è vero fino in fondo: nel 2014, ad esempio, Kiril si rifiutò di incorporare nella Chiesa ortodossa russa le diocesi crimeane. Col passare degli anni, però, le logiche del conflitto hanno prevalso e Kiril ha sempre di più dato l’impressione di fornire un esplicito sostegno religioso alle mosse del Cremlino. Nulla però ha fatto scalpore quanto le uscite del solitamente moderato e attento Kiril nel 2022. Nei giorni dell’invasione russa dell’Ucraina Kiril ha definito “terribili” le sofferenze subite dai cittadini del Donbass e parlato di “forze del Male” in riferimento agli avversari di Mosca.

La guerra ha avuto, del resto, anche ragioni religiose: nel 2018-2019 il Patriarcato di Mosca ha subito il distacco della Chiesa ucraina, “scismatica” secondo il governo russo. L’irriducibilità della contesa russo-ucraina sta anche in questo problema che affonda le radici nella storia. Come la radicalizzazione di una figura storicamente ben più posata come Kiril testimonia apertamente, anche trovare una soluzione sarà molto complesso in quest’ottica.

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