Tutto quello che c’è da sapere sul 5+1, il trattato sul nucleare iraniano

Il 14 luglio del 2015, Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Germania, Stati Unti, Ue ed Iran hanno siglato il trattato Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action) – più conosciuto come accordo “5+1” – volto ad assicurare che lo sviluppo nucleare iraniano sia solo ed esclusivamente effettuato per scopi pacifici. Trattato che è arrivato a due anni di distanza da quello precedente, siglato a Ginevra, chiamato Jpoa che “congelava” parzialmente parte del programma atomico di Teheran in cambio della diminuzione della morsa imposta dalle sanzioni internazionali.

Il 18 ottobre del 2015 ha segnato quello che viene chiamato “Adoption Day”, ovvero il giorno in cui, in base all’accordo “5+1”, le parti in causa hanno cominciato ad attuare tutti i preparativi necessari affinché si potesse giungere alla sua effettiva messa in atto con particolare attenzione alla risoluzione delle sanzioni internazionali.

Il 16 gennaio del 2016, dopo che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) ha verificato che l’Iran avesse preso tutte le misure volte a rispettare le clausole preliminari del trattato, il “5+1” è divenuto effettivamente operativo. Quel giorno è conosciuto ufficialmente come “Implementation Day” e rappresenta il termine effettivo delle sanzioni economiche e limitazioni commerciali che hanno strangolato l’Iran per un decennio elevate dall’Onu.

L’8 maggio del 2018, l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump comunicò che gli Usa si sarebbero ritirati dal JCPOA. La decisione venne intrapresa in base a motivazioni politiche: Washington ha definito il trattato fallace per via della sua natura temporanea e del fatto che mancasse ogni tipo di controllo sul programma di missili balistici dell’Iran.

Il trattato prevede che il programma nucleare iraniano sia esclusivamente volto a fini pacifici e segna un avanzamento fondamentale nei rapporti internazionali in merito a questa problematica. L’adempimento di questo accordo è visto come una pietra miliare per la pacificazione internazionale e stabilità regionale affermando che l’Iran non intenderà dotarsi di nessun tipo di armamento atomico, sia esso acquisito o costruito in proprio.
Il 5+1 permette altresì che l’Iran continui nella propria ricerca nucleare in ambito commerciale e scientifico incluse attività di arricchimento, ricerca e sviluppo contestualmente alla cessazione di tutte le sanzioni internazionali a cui è stata sottoposto il Paese.

Una commissione congiunta composta da E3/Eu+3 (Francia, Germania e Uk) e dall’Aiea è preposta a vigilare sull’attuazione delle clausole del trattato pur sempre nello spirito del rispetto reciproco e nel mantenimento della volontà di costruire nuove relazioni con l’Iran. Tale commissione si riunisce con scadenza biennale – o prima se necessario – per fare il punto sui progressi fatti dalle parti e per adottare eventuali misure eccezionali.

Il 5+1 ha come corpo centrale il raggiungimento di alcune limitazioni sulla produzione di uranio arricchito e sulle attività ad esso collegate oltre ad altre che riguardano specificamente il campo della ricerca e sviluppo (R&D – Research and Development). In particolare tutte le centrifughe – ovvero quegli strumenti atti ad arricchire l’uranio – di tipo Ir-1 dovranno essere dismesse nel giro di 10 anni e l’Iran potrà mantenere la propria capacità di arricchimento solo nel complesso di Natanz posto a circa 150 km a sud di Teheran. Durante questo periodo dovranno essere mantenute non oltre 5060 centrifughe. Parallelamente i test di sviluppo delle nuove centrifughe tipo Ir-6 e Ir-8 sarà possibile dopo un periodo di otto anni e mezzo con l’impegno a non separare altri tipi di isotopi.

Successivamente l’Iran potrà continuare le proprie attività correlate all’arricchimento dell’uranio per 15 anni – incluse attività di R&D – esclusivamente nel sito di Natanz mantenendo i livelli di arricchimento non superiori al 3,67%. Parallelamente dovrà cessare ogni tipo di attività in tal senso – incluso lo stoccaggio – nell’altro sito nucleare, quello di Fordow, che ad oggi, secondo alcune fonti tra cui quelle israeliane, sembrerebbe in fase di riattivazione. Secondo gli accordi Fordow deve essere riconvertito in un centro di ricerca scientifico per scopi pacifici, intendendo con questo che potranno essere effettuate ricerche nei campi della tecnologia e fisica nucleare.

L’Iran deve mantenere le proprie riserve di uranio arricchito – nella forma di esafluoruro di uranio (UF6) o equivalenti – entro i 300 kg e la quantità in eccesso deve essere venduta secondo i prezzi di mercato e consegnata, in cambio del minerale grezzo (che di solito è l’uraninite o ossido di uranio) ad acquirenti internazionali secondo le norme che regolano il commercio di tale risorsa. Tutto il restante uranio arricchito nelle percentuali che vanno dal 5 al 20% deve essere convertito in combustibile per il reattore Trr (Teheran Research Reactor).

Per quanto riguarda il reattore ad acqua pesante di Arak – capace di produrre esplosivo atomico – è previsto dal 5+1 che venga riconvertito affinché possa utilizzare esclusivamente uranio al 3,67%, e quindi cessare la produzione di plutonio, e tutto il combustibile esaurito proveniente dalla struttura dovrà essere spedita all’estero per tutta la durata della vita del reattore. Sempre per quanto riguarda le centrali ad acqua pesante è stato stabilito che l’Iran non dovrà più costruirne per un periodo di 15 anni, né dovrà immagazzinare acqua pesante.

Sempre per un periodo di 15 anni Teheran non dovrà effettuare alcun tentativo di riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, o costruire una struttura atta a tale scopo, o comunque effettuare attività di R&D in questo senso.

Parallelamente alle clausole prettamente tecniche ne sono previste altre di “trasparenza” per permettere il controllo della regolare messa in atto del trattato 5+1. In questo senso l’Iran deve permettere all’Aiea di monitorare in modo permanente i progressi della “denuclearizzazione militare” con la sorveglianza di tutte le attività legate all’arricchimento – e quindi l’attività delle centrifughe – per un periodo di 20 anni.

L’Iran si deve adeguare integralmente alla “Roadmap for Clarification of Past and Present Outstanding Issues”  concordata con l’Aiea che contiene le indicazioni riguardanti le problematiche connesse alle attività nucleari presenti e passate.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, simultaneamente alla verifica del rispetto delle clausole del 5+1 operata dall’Aiea, pone termine a tutte le risoluzioni (sette dal 2016 al 2015) che hanno sottoposto l’Iran al regime di sanzioni economiche e commerciali e lo stesso vale per l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America.

Le sanzioni coprono diversi aspetti della vita economica e commerciale del Paese. Tra di essere si ricordano provvedimenti volti a bloccare il trasferimento di fondi, le attività bancarie, cessare il supporto per il commercio con l’Iran, l’embargo su petrolio e gas e sui prodotti petroliferi e petrolchimici iraniani, gli investimenti nell’industria oil&gas, l’esportazione di equipaggiamenti e tecnologie navali, l’accesso a porti e aeroporti. Tutte le sanzioni, come già anticipato, dovranno essere eliminate entro 8 anni dall’Adoption Day oppure quando l’Aiea avrà certificato l’avvenuto rispetto di tutte le clausole del trattato da parte iraniana.

Nel 5+1 è prevista una clausola che tutela l’Iran da possibili misure restrittive che possano impedire o ritardare la risoluzione delle sanzioni. Infatti se Teheran, in qualsiasi momento dall’Implementation Day, ritiene che i Paesi dell’E3/EU+3 stiano rallentando o ostacolino la cessazione delle sanzioni, può appellarsi ai partecipanti il Jcpoa affinché venga risolto il problema tramite adeguate misure. L’Ue e gli Usa infatti sono vincolati dal trattato affinché non reimpongano ulteriori misure sanzionatorie.

È interessante notare che, nel 5+1, viene esplicitamente detto che Ue, Usa e Iran debbano adempiere agli obblighi del trattato in “un’atmosfera costruttiva e in buona fede, basandosi sul mutuo rispetto e astenendosi da ogni azione non in linea con lo spirito e gli intenti del Jcpoa che possa minarne la riuscita”.

Sempre nell’accordo si legge che, parallelamente al cessare delle sanzioni e allo smantellamento delle infrastrutture atte alla produzione di esplosivi atomici, l’Ue deve avviare progetti congiunti con l’Iran per lo sviluppo di tecnologie volte all’uso pacifico del nucleare, come la costruzione di centrali, reattori di ricerca, fabbricazione del carburante, programmi avanzati di R&D ad esempio riguardanti la fusione e costruire un centro regionale di medicina nucleare al più alto livello di sviluppo comprendendo l’addestramento di personale, implementare gli standard di sicurezza e di protezione ambientale.

Se una delle parti ritiene che una o più clausole del trattato non siano state rispettate può, in qualsiasi momento e dopo un iter burocratico della durata di circa un mese che vede il parere di una commissione nominata ad hoc (la Joint Commission), ritirarsi dallo stesso – in parte o in toto – previa notifica al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che deve deliberare e considerare se continuare a non imporre le sanzioni.

Dopo l’impementazione iniziale, nel maggio del 2018 è arrivata la pesante retromarcia americana. La Casa Bianca è stata anche molto critica nei confronti delle azioni dell’Iran in Siria e altrove nella regione, come nello Yemen, che sono state definite un “comportamento maligno”. Gli Stati Uniti pertanto ripresero la via delle sanzioni internazionali a Teheran innescando un processo degenerativo del trattato secondo le sue stesse clausole: a maggio del 2019 gli Ayatollah avevano comunicato che il Paese si sarebbe ritirato parzialmente dall’accordo sul nucleare se non fossero state mantenute le garanzie sulla cessazione della sanzioni internazionali da parte delle potenze firmatarie che sono ancora rimaste sotto l’egida del trattato.

Allora, il Presidente della Repubblica Islamica, Hassan Rouhani, disse in un discorso alla televisione di Stato che se Francia, Germania, Regno Unito, Cina e Russia non si fossero attivate per cercare di proteggere il settore petrolifero e bancario dell’Iran dalle sanzioni emesse dagli Usa, divenute effettive il 5 novembre scorso e decise esattamente un anno fa, l’Iran avrebbe intrapreso il percorso di abbandono dell’accordo secondo. A settembre del 2019 le massime autorità iraniane avevano fatto sapere che, stante la situazione venutasi a creare, l’Iran avrebbe abbandonato “ogni limite alla ricerca e allo sviluppo” del suo potenziale nucleare: la decisione è stata presa proprio in forza dello stesso trattato, che prevede, al paragrafo 36, la cessazione dello stesso a seguito di 16 mesi continui di violazione da parte di una delle parti contraenti.

Più o meno nello stesso periodo, tra maggio e settembre, Teheran aveva fatto sapere che non avrebbe mantenuto l’arricchimento dell’uranio al 3,67% – come da JCPOA – e avrebbe completato il reattore ad acqua pesante di Arak. Un annuncio che aveva destato molta preoccupazione nella comunità internazionale perché il sito di Arak è quello ritenuto il più adatto per l’estrazione di plutonio arricchito dal combustibile esaurito, ovvero per la fabbricazione di un ordigno nucleare.

A settembre 2020, l’Iran aveva fatto sapere di aver messo in funzione 60 centrifughe avanzate IR-6 nel sito nucleare di Natanz. Questo tipo di centrifughe può produrre uranio arricchito a una velocità 10 volte superiore al modello IR-1 di prima generazione. Successivamente, a inizio dicembre dello stesso anno, è stato pubblicato un rapporto confidenziale dell’Aiea (Agenzia Internazionale Energia Atomica) in cui si affermava che Teheran stava per installare una serie di nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio (tipo IR-2m) sempre nell’impianto sotterraneo di Natanz, apparentemente costruito per resistere ai bombardamenti aerei.

Queste centrifughe sono andate ad aggiungersi alle oltre 5060 del tipo IR-1 già presenti nell’impianto costruito per ospitarne sino a 50mila. Sempre nello stesso periodo, e come risposta immediata all’uccisione dello scienziato atomico iraniano Moshen Fakhrizadeh, Teheran aveva annunciato l’arricchimento dell’uranio ad una percentuale superiore e la contestuale prossima espulsione degli ispettori internazionali se gli Stati Uniti non avessero tolto le sanzioni internazionali.

L’Iran ha comunicato, a inizio del 2021, di voler arricchire l’uranio fino al 20% di purezza, un livello che era stato raggiunto prima dell’accordo del 2015, nel suo sito di Fordo sepolto all’interno di una montagna. Si tratta di un livello di arricchimento ben lontano per ottenere esplosivo nucleare, per il quale serve uranio arricchito almeno al 90%, ma quella percentuale è sufficiente per ottenere una cosiddetta “bomba sporca”, ovvero un ordigno atomico che esplodendo non genera gli effetti di calore e onda d’urto come quelli di una bomba atomica classica, ma che è in grado di contaminare con materiale radioattivo una vasta area, sempre a seconda delle condizioni ambientali presenti (vento, precipitazioni).

Il processo di arricchimento è proseguito, attivando nuove centrifughe, e a fine febbraio 2023 l’Aiea comunicava che sempre presso il sito di Fordo sono stati individuati segnali del raggiungimento dell’83,7% di uranio arricchito, sebbene Teheran abbia sempre negato di voler raggiungere livelli tali da poter fabbricare un ordigno atomico, affermando che il massimo valore raggiunto non abbia mai superato il 60% di purezza.

Il cambio di amministrazione alla Casa Bianca aveva aperto spiragli di speranza per la ripresa dei colloqui tra Iran e Stati Uniti e per il ritorno in vigore del JCPOA. A settembre 2020, alla vigilia delle elezioni presidenziali Usa, Joe Biden aveva pubblicamente affermato che avrebbe offerto a Teheran “un percorso credibile per tornare alla diplomazia” se l’Iran fosse tornato a rispettare rigorosamente l’accordo nucleare, che avrebbe fatto da punto di partenza per negoziati successivi.

Negoziati che, effettivamente, sono cominciati tra le parti a Vienna a partire dal 2021, quindi a pochi mesi dall’insediamento della nuova amministrazione a sottolineare quanto il dossier sul nucleare iraniano sia centrale per la politica statunitense. I negoziati, che vedono anche la presenza di Russia e Cina, non hanno però portato ad alcun tipo di risultato nonostante la Casa Bianca avesse nominato capo delegazione Robert Malley, che fu tra i fautori del JCPOA sotto la presidenza Obama. A complicare la situazione c’è la guerra asimmetrica e per procura che, da anni, si sta combattendo tra Teheran, Tel Aviv e la stessa Washington in Siria, dove le milizie filoiraniane supportate direttamente dalle Irgc (le Guardie della Rivoluzione o Pasdaran) stanno non solo combattendo in supporto dell’esercito del governo di Damasco, ma anche intessendo una rete di alleanze – con Hezbollah ad esempio – per consolidare la sfera di influenza iraniana nella regione, nel quadro di quella che è stata definita “Mezzaluna Sciita”, ovvero un arco di Medio Oriente che va dall’Iran al Libano passando per Iraq e Siria, che dovrebbe ricadere, nei piani degli Ayatollah, sotto il controllo più o meno diretto iraniano. I raid aerei statunitensi su posizioni occupate dalle milizie filorianiane dimostrano, ancora una volta, che dietro l’apertura statunitense per il ritorno in vigore del trattato sul nucleare (o l’eventuale stipula di uno nuovo), la volontà è ancora quella di contenere e ridimensionare l’espansione dell’influenza iraniana in tutta la regione.

Questa tensione ha portato l’Iran a decidere di non negoziare direttamente coi delegati statunitensi, a meno che non vengano rimosse le sanzioni internazionali, pertanto gli altri Paesi (Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito) hanno fatto da tramite. A gennaio del 2023 gli Stati Uniti hanno inviato messaggi all’Iran chiedendo che i colloqui continuino e a marzo il capo della sorveglianza nucleare delle Nazioni Unite, Rafael Grossi, aveva affermato di aver avuto incontri “costruttivi” con funzionari iraniani a Teheran. In quella occasione, Teheran aveva reso noto che “siamo giunti a un accordo per definire la nostra cooperazione nel quadro delle salvaguardie” sull’attività nucleare sottolineando che “la finestra per un accordo sui negoziati per revocare le sanzioni è ancora aperta, ma questa finestra non sarà aperta per sempre”. Durante la visita in Iran, Grossi ha spinto per avere “più accesso al sito [di Fordo], più ispezioni”. L’Iran, però, potrebbe fissare una scadenza legale per i colloqui che sono ancora di fatto in stallo, come riferito dal ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian alla fine di marzo 2023. Secondo Amir-Abdollahian, alcune fazioni del parlamento iraniano stanno spingendo per proposte e leggi che potrebbero rendere “più difficile” il lavoro del governo nel proseguire i colloqui pertanto la finestra delle trattative per tornare al JCPOA non rimarrà aperta per sempre. Da quando si è tornati al tavolo della trattativa, infatti, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno imposto molti cicli di sanzioni aggiuntive all’Iran per via della repressione delle proteste interne e per il sostegno militare alla Russia. Risulta tuttavia che i colloqui tecnici con l’AIEA continuano e Teheran prevede di mantenere la cooperazione con l’Osservatorio nucleare globale.