Il ruolo della Russia in Corea è quello di una potenza fondamentale ma silente. Sembra quasi in disparte a causa dello strapotere cinese e della forza degli Stati Uniti come potenza avversaria. Ma Mosca ha un peso molto importante. E Vladimir Putin sa perfettamente che può sfruttare gli antichi legami con Pyongyang per ottenere quanto desiderato. La sua strategia è complessa, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: rendere la Russia una potenza imprescindibile. La crisi in Corea del Nord è un banco di prova importantissimo. Anche perché – non va dimenticato – condivide con la Russia una piccola ma fondamentale striscia di confine.
Le relazioni diplomatiche tra la Corea del Nord e la Russia iniziano ai tempi dell’Unione Sovietica, con la fondazione della Repubblica popolare democratica di Corea nel 1948. Pyongyang entra subito a far parte del blocco comunista e riceve un fondamentale contributo economico e sostegno politico da parte di Mosca.
Con la guerra di Corea, la prima grande prova che salda l’alleanza: l’esercito popolare coreano viene aiutato dalle forze armate sovietiche. Le truppe dell’Urss aiutano l’esercito di Kim Il-sung nella lotta contro le forze del Sud e degli alleati occidentali. E con l’armistizio, il 38esimo parallelo diventa un confine non solo fra due Stati ma fra due mondi: quello comunista e quello legato agli Stati Uniti.
Le relazioni tra due Paesi sono continuate anche dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Ma all’inizio, almeno sotto Boris Eltsin, le cose non sembrano destinate a rimanere inalterate. Il presidente della neonata Federazione russa preferisce aprire alla Corea del Sud. E per molto tempo, i due Paesi sono divisi, anche se non separati del tutto.
L’elezione di Vladimir Putin e il suo avvento nella scena politica russa cambiano le relazioni fra Mosca e Pyongyang. Putin non ha mai amato la Corea del Nord. Ma, a differenza di Eltsin, ha sempre considerato la partita coreana un modo per ripristinare l’influenza russa, caduta in disgrazia con la fine dell’Urss.
Dai primi anni Duemila, i rapporti fra i funzionari dei due Paesi sono sempre più intensi. E in questo periodo inizia la difficile partita di Putin. Da una parte, assicura il supporto russo alle sanzioni internazionali volute in sede Onu per il programma missilistico e per quello nucleare. Dall’altra parte, continua a tessere la trama per ottenere un ruolo di primo piano nella penisola coreana e per ergersi a ruolo di garante della stabilità dell’Estremo oriente.
Nel 2006 la Russia appoggia la risoluzione 1695 del Consiglio di sicurezza che condanna il test missilistico nordcoreano. I rapporti si raffreddano ma nell’aprile del 2009, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov visita la Corea del Nord e firma un piano con Mun Jae Chol, presidente del Comitato coreano per le relazioni culturali. Nel 2009 però avviene un altro test, questa volta nucleare, che cambia di nuovo i parametri delle relazioni di Pyongyang con i suoi “alleati”. Così la Russia si unisce al blocco di nazioni che chiede nuove sanzioni alla Corea del Nord. Ma che inizia anche a ribadire il concetto di risoluzione multilaterale della crisi in Corea.
Una politica che la Russia segue anche con l’alternanza tra Putin e Dimitri Medvedev. Anzi, la presidenza di Medvedev coincide con un avvicinamento di Mosca alla Corea del Sud e al rafforzamento delle sanzioni imposte in sede internazionale. Ma c’è anche la volontà di Pyongyang di riavvicinarsi al Cremlino. La Russia si pone in piena linea di continuità con il resto del mondo. E lo stesso fa la Cina, desiderosa di intraprendere una nuova politica meno legata alle vecchie alleanze del passato.
La rielezione di Putin segna una continuità con questa politica di forte pressione nei confronti della Corea del Nord da parte della Russia. Ma è una politica che non nega il desiderio di arrivare a una fine di questa punizione globale nei confronti di Pyongyang. Per il Cremlino serve pace, ma soprattutto stabilità nell’area. Il confine orientale è minacciato dai test nucleari, ma anche da una possibile guerra tra Stati Uniti e Corea del Nord.
L’ascesa di Kim Jong-un dopo la morte di Kim Jong-il segna un nuovo cambiamento. Mosca e Pyongyang trovano nuovi punti di contatto. La Russia è ancorata al sistema delle sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza, ma fa asse con la Cina. E il nuovo leader nordcoreano fa capire di essere pronto a discutere una volta riconosciuto il suo Paese come un interlocutore all’interno della comunità internazionale. Del resto il petrolio russo fa gola a una nazione sotto embargo come quella nordcoreana.
Questa volontà di Kim Jong-un di essere riconosciuto come leader internazionale fornisce l’assista a Putin per estendere la sua influenza nella partita coreana. L’influenza cinese sulla Corea del Nord non può essere scalfita. A livello economico Pyongyang dipende da Pechino, ma la Russia può ritagliarsi uno spazio politico ed energetico molto importante.
Per la Russia di Putin, la questione coreana è essenziale per diversi motivi. Da un punto di vista strategico, è del tutto evidente che a Mosca interessi prettamente avere un Paese amico al suo confine. Un Paese in cui non rischia di avere una guerra nucleare, che non testi armi in grado di contaminare l’ambiente dell’Estremo oriente russo, ma soprattutto che garantisca i soldati americani lontani dal proprio territorio.
Dal punto di vista politico, per il Cremlino è fondamentale essere riconosciuto, come in altri contesti internazionali, quale garante dell’ordine e della stabilità in un’area di crisi. L’idea di Mosca è di diventare l’ago della bilancia come superpotenza in grado di dettare una linea condivisa con Pechino e avversa a Washington ma senza risultare del tutto alleata con il regime nordcoreano. La richiesta di sospensione dei test balistici e nucleari da parte del governo nordcoreano e la fine delle esercitazioni militare degli Stati Uniti va in questa direzione.
Nella crisi in Corea del Nord, la Russia ha anche un altro scopo: quello di evitare che Cina e Stati Uniti la isolino rendendola una partita a due. Putin ha anche questo di obiettivo, cioè inserirsi dimostrandosi essenziale. E trasformare la questione coreana in un problema multilaterale è un gioco che potrebbe anche non piacere ai due contendenti, cioè a Xi Jinping e Donald Trump. Ma è un gioco che piace alla Corea del Nord, tanto che Kim ha sempre ribadito di volere includere Putin nel dialogo.
La sfida di Putin è duplice e complessa. Vuole consolidare l’asse con la Cina, partner fondamentale nello scacchiere asiatico, ma nello stesso tempo vuole ottenere “quote di mercato” della crisi in Corea. Lo strapotere cinese non è infatti un bene per l’agenda politica russa. Soprattutto perché Mosca ha come obiettivo anche quello di consolidare i rapporti ocn la Corea del Sud e con il Giappone, mercati fondamentali per il gas e petrolio russo.