La conclusione del summit di Singapore tra Donald Trump e Kim Jong-un ha di fatto certificato come, nel processo risolutivo della crisi coreana, tra Corea del Nord e Stati Uniti il grande “vincitore” potrebbe essere, in ultima istanza, la Cina di Xi Jinping. Del resto, subito dopo la conclusione del summit Kim non ha tardato a recarsi a Pechino per incontrare il Segretario del Partito comunista cinese e dimostrare una ritrovata sintonia tra Pyongyang e Pechino che rilancia una relazione pluridecennale rivelatasi, negli ultimi tempi, decisamente problematica.
La nascita della Corea del Nord, dopo la disfatta giapponese nel secondo conflitto mondiale, e la costituzione della Repubblica popolare cinese al termine della guerra civile nel 1949 portò all’avanzata del comunismo in Estremo Oriente e alla formazione di un saldo rapporto tra i regimi di Mao Zedong e Kim Il-sung.
“L’Oriente è rosso”, recitava una canzone popolare cinese, e prima dell’apertura della faglia sino-sovietica la presenza dei regimi di Mao e Kim rendeva a pieno diritto vere queste parole. L’asse tra Cina e Corea del Nord fu dettato sin dall’inizio dalla comune visione ideologica ma anche da precise ragioni geopolitiche, che condizioneranno i rapporti tra Pechino e Pyongyang sino ai giorni nostri: per la Corea del Nord la Cina ha sempre rappresentato un nume tutelare e un fondamentale partner economico, per la Cina un satellite di primaria importanza e una barriera strategica notevole contro il dispositivo strategico statunitense in Corea del Sud e Giappone.
Proprio motivazioni strategiche indussero Mao, nel 1950, a lanciare l’Armata di Liberazione Popolare nel tritacarne della guerra di Corea a seguito dell’avanzata della coalizione a guida statunitense sino alle prossimità del fiume Yalu, demarcazione del confine tra l’Impero di Mezzo e la Corea del Nord. La “marea umana” cinese contribuì a stabilizzare il conflitto e, a costo di decine di migliaia di morti, prevenire la realizzazione del vero incubo strategico di Pechino: il dispiegamento di truppe e armi statunitensi sul diretto confine cinese.
La fase di intensa cooperazione tra i due Paesi, e di più genuina e stretta alleanza, ebbe però vita breve e coincise con la fase più cupa della Guerra Fredda, caratterizzata da una presa di posizione radicale da parte di Mao, contrario a qualsiasi accomodamento con l’Occidente.
Già dagli Anni Sessanta, tuttavia, le strade di Cina e Corea del Nord iniziarono a divergere sotto il profilo politico (sul piano economico, Pechino contribuirà allo sviluppo di Pyongyang sino ai primi Anni Settanta). Mentre Mao cercava nella fuga nell’utopia la soluzione ai problemi intrinseci del Paese, scatenando la durissima “rivoluzione culturale”, Kim Jong-un criticò duramente le scelte dell’alleato, definendo la rivoluzione culturale “una follia” e Mao “un vecchio folle uscito di senno”.
In questo periodo, infatti, Kim portò avanti lo sviluppo della sua personale politica ideologica basata sul consolidamento della Juche, la dottrina su cui convergono filosofia, economia e geopolitica che è considerata fondamentale per comprendere le direttrici d’azione del regime di Pyongyang. La Corea del Nord si consolidò come “Regno eremita”, e di fatto più che l’ideologia, nei decenni successivi, furono convenienza diplomatica e geopolitica a mantenere unite Pyongyang e Pechino, come dimostrato nel 1970, quando i due Paesi comunicarono all’Onu la loro presa di posizione favorevole all’annessione di Taiwan e Corea del Sud nella loro giurisdizione.
La corsa all’atomica di Pyongyang ha messo la Cina, negli scorsi due decenni, di fronte al dilemma tra la difesa di uno status quo che rischiava di avvicinare eccessivamente le sue posizioni a quelle di un alleato riluttante e scomodo e una svolta che avrebbe invece permesso di affermare una politica regionale di più ampio respiro.
Zhu Feng ha tracciato sul numero di Limes di settembre 2017 l’evoluzione dell’approccio cinese all’atomica nordcoreana. Dapprima, nel 2002, “la Cina è intervenuta attivamente per promuovere il dialogo”, ravvisando “la causa principale dell’ascesa nucleare di Pyongyang nell’odio profondo da questa nutrita per gli Usa”. Dopo i primi test nucleari e l’escalation verificatasi tra il 2006 e il 2009, la Cina “ha cominciato ad assumere una posizione intermedia per evitare che Seul e Washington facessero pressioni sul governo nordcoreano e per opporsi a qualsiasi soluzione militare”.
Infine, dopo l’ascesa di Xi Jinping, la Cina ha mosso con maggior decisione, aderendo alle sanzioni internazionali contro la Corea del Nord sin dal 2013. La nuova strategia ad ampio raggio della Cina rendeva necessaria la sua nuova prospettiva: tuttavia, l’adesione ferma di Pechino alle sanzioni internazionali proposte dagli Stati Uniti non ha mai coinciso con un’accondiscendenza acritica alle mosse di Washington, anzi. La Cina ha voluto consolidare la pressione su Pyongyang nel quadro di una strategia di più ampio respiro.
Obiettivo di fondo del governo di Pechino era ottenere una Corea del Nord più stabile e controllabile nuovamente nell’orbita cinese. Questo per evitare un collasso repentino del regime dei Kim, che avrebbe causato una catastrofe umanitaria proprio al confine con alcune tra le regioni più fragili economicamente del Paese e, nel frattempo, disinnescare la minaccia regionale attraverso un accordo che includesse anche Seul. Nel 2017, la vittoria di Moon Jae-in alle presidenziali sudcoreane ha portato al potere un leader dinamico, fautore della ricerca di un modus vivendi con Pechino e della pace con il Nord.
E proprio il processo di pace avviato da Moon Jae-in con la “tregua olimpica” dell’inverno scorso ha contribuito alla strategia cinese. Per trattare il suo reinserimento nella comunità internazionale Kim Jong-un ha dovuto fare affidamento su Xi Jinping, incontrandolo tre volte dopo anni di gelo diplomatico tra i due. L’incontro di Singapore, di fatto, ha avuto proprio Xi come convitato di pietra: come segnalato da Lorenzo Vita, infatti, dal meeting Trump-Kim “Xi ha ottenuto tre risultati fondamentali: la stabilizzazione della Corea, la fine delle esercitazioni militari Ulchi Freedom Guardian in Corea del Sud e una Corea del Nord in fase di denuclearizzazione”.
Una denuclearizzazione in cui la Cina continuerà ad avere un ruolo fondamentale e che potrebbe avvicinare ulteriormente Pechino e Pyongyang: la Cina, come contropartita, potrebbe chiedere a Kim un’accelerazione delle riforme economiche interne nella direzione indicate dal “socialismo con caratteristiche cinesi” e, nel caso in cui riuscisse a includere la Corea del Nord nei piani della “Nuova via della seta”, potrebbe aver definitivamente risolto l’insidia legata alla scivolosa alleanza col Regno Eremita.