Da preziosi alleati a nemici giurati: la storia dei rapporti fra Iran e Israele

Iran e Israele sembrano perennemente sull’orlo di una guerra. Soprattutto in questi ultimi mesi, da quando la guerra in Siria ha mostrato a tutti che il governo israeliano ha un solo obiettivo: allontanare le forze legate all’Iran dal confine. E, in ultima analisi, spezzare l’asse sciita che da Teheran arriva al Mediterraneo.

Ma è così scontato pensare a Iran e Israele come Stati effettivamente nemici? Negli ultimi anni sembra quasi impossibile non ritenerli due acerrimi rivali. Eppure, se durante l’era degli scià di rapporti erano positivi, anche subito dopo l’avvento dell’Ayatollah Khomeini, fra Tel Aviv e Teheran c’erano relazioni molto più strette di quanto si possa credere.

Senza dispute territoriali che li dividono, con una comunità ebraica storicamente ben inserita nel contesto persiano e con il nazionalismo pan-arabo come minaccia per entrambi, Iran e Israele, per decenni, sono stati alleati. Tanto che l’Iran, pur non condividendo il piano di partizione della Palestina, riconobbe Israele e intavolò ottime relazioni al pari della Turchia.

Per l’Iran per-rivoluzionario, Israele veniva percepito come un mezzo per ottenere la sponsorizzazione degli Stati Uniti. Gli Usa, impegnati con l’Unione sovietica per il controllo del Medio Oriente, avevano ottimi motivi per veicolare i loro interessi in Iran. E infatti, il contro-golpe dello scià per riprendere il controllo del Paese dopo Mossadeq fu organizzato proprio grazie all’intervento di Washington e di Londra.

Dal punto di vista di Israele, l’Iran si inseriva in una politica strategica teorizzata dal primo ministro David Ben-Gurion, nota come “dottrina della periferia”. Tale teoria consisteva nel fatto che Israele coltivasse relazioni diplomatiche con tutti gli Stati regionali non-arabi e con tutte le altre minoranze etniche.

Un rapporto divenuto così radicato, quello fra Iran e Israele, che addirittura due anni prima della rivoluzione islamica, Teheran e Tel Aviv collaborarono a un piano congiunto per lo sviluppo di un missile in grado di trasportare una testata nucleare. Era il progetto Fiore. Un progetto che oggi, con le accuse continue di Benjamin Netanyahu al programma nucleare di Teheran, appare lontano secoli.

Quando lo scià fu rovesciato dalla rivoluzione nel 1979, il rapporto con Israele fu una delle prime questioni trattate dal governo della Repubblica islamica. Per l’ayatollah, Israele era ormai infiltrato in molti settori dell’economia iraniana. Dopo tre settimane dal ritorno di Khomeini, l’Iran interruppe le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. La fine di un’amicizia? Sì, ma non troppo.

Fino alla metà degli anni Ottanta, Iran e Israele mantennero rapporti sotto banco. E il motivo era da ricercare nella terribile guerra tra Iran e Iraq. Per Israele, l’opportunità di armare i primi contro l’Iraq era irresistibile. Così, come ricorda il quotidiano israeliano Haaretz, tra il 1981 e il 1983, gli israeliani vendettero armi agli iraniani per circa 500 milioni di dollari. Un affare che si lega, in maniera più o meno chiara, allo scandalo Iran-Contras che coinvolse l’amministrazione di Ronald Reagan.

Con la caduta dell’Unione sovietica e la sconfitta di Saddam Hussein nel 1991, l’Iran ha una sola minaccia: gli Stati Uniti. Ora sì non più solo frutto della retorica. E sai comincia a parlare di Grande Satana, cioè l’America, e di Piccolo Satana, cioè Israele. Dall’altro lato, Israele comincia a capire che la potenza regionale che può sottrargli lo scettro del Medio Oriente, non è più l’Iraq, ma proprio l’Iran. Organizzato militarmente, economicamente forte, culturalmente solido e con ottime relazioni con tutta la comunità sciita mediorientale, il governo iraniano aveva una visione strategica assolutamente migliore e più lungimirante rispetto a qualunque altro Stato. E continua a possederla.

Così, se fino al 1987, Yitzhak Rabin definiva l’Iran “il migliore amico di Israele”, pochi anni dopo iniziò a parlarne come un “regime oscuro e assassino”. Nel 1996, Shimon Peres definì l’Iran “più pericoloso di Hitler”. E, dall’altro lato, la retorica anti-israeliana in Iran diventava sempre più dura. Una retorica il cui picco si è sicuramente raggiunto sotto la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad.

I rapporti ormai si erano deteriorati. Già prima dell’accordo sul nucleare del 2015, Netanyahu spingeva gli Stati Uniti ad attaccare i siti iraniani considerati legati al programma nucleare. E i sospetti sull’intelligence israeliana per aver frenato il programma atomico di Teheran sono ben noti.

Nel frattempo, con la scadenza del 12 maggio alle porte, cioè quando Donald Trump dovrà scegliere cosa fare dell’accordo sul nucleare, la guerra in Siria non ha fatto che alimentare ulteriormente la tensione fra i due Stati. Israele ha ripetutamente bombardato le basi ritenute centrali iraniane in territorio siriano. E ha ucciso comandanti e soldati di Teheran impegnati nella guerra al fianco dell’esercito siriano e del governo di Bashar al Assad. L’ultimo attacco ad Hama e Aleppo è ancora avvolto nel mistero. Ma quello alla base T-4 è cosa nota. E l’Iran ha giurato vendetta per i suoi caduti.

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