Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (classe 1978) è in carica dal 2019, quando ha vinto le elezioni al ballottaggio con il 73% dei voti sconfiggendo il rivale Petro Poroshenko, leader uscente (dal 2014 al 2019) e oligarca nel settore della manifattura, agricoltura e finanza nonché sovvenzionatore della proteste di piazza che prendono il nome di Euromaidan del 2014, sostenute anche attraverso il suo canale televisivo “5 Kanal TV”.
Nonostante questo, Poroshenko all’inizio di aprile del 2014 ha affermato che il livello di sostegno popolare all’idea dell’adesione dell’Ucraina alla Nato era troppo basso per essere inserito nell’agenda politica di governo, pertanto da escludere “per non rovinare il Paese”. Con l’insurrezione nel Donbass sostenuta dalla Russia in atto, la perdita della Crimea e la corruzione endemica che minava la fiducia del pubblico nel governo, Poroshenko ha visto il suo consenso (di certo non importante avendo vinto le elezioni con il 54,7% dei voti) assottigliarsi nonostante il tentativo, a dire il vero modesto, di attuare riforme.
In questo contesto arriva una serie televisiva, “Servitore del popolo”, che riscuote grande successo di pubblico, e il protagonista, un insegnante di storia che lotta contro la corruzione diventando presidente dell’Ucraina, assurge a leader ideale della popolazione ucraina. Quel professore era Volodymyr Zelensky.
L’attuale presidente ucraino ha saputo abilmente sfruttare questa fama per costruirsi la sua carriera politica, e la vittoria nelle elezioni gli è arrivata per via del suo programma anti-corruzione e grazie alla popolarità guadagnata con la serie televisiva.
Il 31 marzo 2019, a sorpresa, Zelensky ha ottenuto oltre il 30% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali, e Poroshenko è arrivato secondo con il 16%. Zelensky si presenta al popolo come un leader che cerca anche la pacificazione: nel suo discorso inaugurale ha usato un misto di russo e ucraino per chiedere l’unità nazionale.
La sua popolarità però cala abbastanza rapidamente: a dicembre 2020 solo il 30% della popolazione lo sostiene per via dell’indecisione nell’affrontare la corruzione e per l’incapacità sostanziale di porre termine al conflitto intestino, nonostante alcuni provvedimenti liberticidi, come la chiusura di tre canali televisivi filorussi dell’oligarca Viktor Medvedchuk – personaggio vicino al presidente Vladimir Putin – a febbraio 2021. Sempre a tal proposito, un rapporto delle Nazioni Unite afferma che “di particolare preoccupazione è la mancanza di responsabilità per minacce e violenze nei confronti di difensori dei diritti umani, operatori dei media e individui che esprimono opinioni online o tentano di partecipare all’elaborazione delle politiche. L’OHCHR ha documentato 29 incidenti contro giornalisti, professionisti dei media, blogger e individui che esprimevano opinioni critiche nei confronti del governo o delle narrazioni tradizionali. Nel 2020-2021, sono stati presi di mira giornalisti investigativi e operatori dei media che si occupavano di argomenti politici come la corruzione e l’attuazione delle restrizioni del Covid-19”.
A far crollare la popolarità di Zelensky in quel periodo ha concorso anche uno scandalo legato ai Pandora Papers in cui è emerso che il leader ucraino possedeva un piccolo “tesoro” in conti bancari offshore, creando imbarazzo nelle presidenza che, pochi mesi prima – a novembre 2021 – aveva promulgato leggi finalizzate a esautorare il potere degli oligarchi ucraini. A quel punto, agli occhi della popolazione, Volodymyr Zelensky è apparso come un qualsiasi altro magnate corrotto ucraino.
Questa situazione è radicalmente cambiata con l’invasione russa cominciata il 24 febbraio 2022. Il leader di Kiev ha saputo costruirsi da subito un’immagine di “presidente al fronte” tanto che già a marzo 2022 il suo consenso era risalito all’80%.
Questa popolarità è destinata a perdurare? Zelensky saprà capitalizzarla in vista di nuove elezioni in tempo di pace?
In tutte le società, la popolazione che si trova ad affrontare la minaccia della guerra tende ad avere una maggiore preferenza per un governo autoritario.
Attualmente il leader ucraino viene visto, proprio in forza dell’immagine che si è costruito, come altamente competente e molto caloroso, ma solo moderatamente dominante suggerendo che forse gli ucraini vedono Zelensky come interprete di un giusto equilibrio di tratti di leader per questi tempi estremamente difficili.
Se il conflitto continuerà a lungo e la preferenza per la leadership dominante aumenta durante i periodi di guerra, ci si potrebbe chiedere se l’Ucraina virerà verso l’autoritarismo.
In realtà, uno studio sociologico, dimostra che gli ucraini, nonostante apprezzino tratti autoritari per via della guerra in corso, preferiscono un leader più liberale e competente rispetto a uno dominante per i tempi di pace. Inoltre, la ricerca psicologica e antropologica mostra che il risentimento contro la leadership autoritaria è comune nelle società umane, tranne che in una crisi acuta.
Quindi, quando la pace tornerà, molto probabilmente gli ucraini ricalibreranno le loro preferenze di leadership senza dimenticarsi della necessità di combattere la corruzione e il potere degli oligarchi, che comunque questo conflitto ha notevolmente ridimensionato.
Molto difficilmente, comunque, e proprio per le necessità contingenti, Zelensky sarà sostituito durante il conflitto: Kiev mostrerebbe un segnale di debolezza infausto per la condotta della guerra, e comunque il presidente risulta essere molto popolare anche tra le truppe.
Alcuni oligarchi ucraini potrebbero comunque avere qualche possibilità di costruirsi una carriera politica post-conflitto.
Tra di essi citiamo Viktor Pinchuk che dall’inizio dell’invasione ha esortato le nazioni occidentali a rafforzare il loro sostegno militare e ha criticato alcuni Paesi, come la Germania, per gli iniziali tentennamenti riguardanti l’invio di armamenti. Alla fine di settembre, l’oligarca aveva speso più di 45 milioni di dollari per sostenere l’esercito e i civili ucraini, attraverso la sua fondazione di beneficenza e nelle prime settimane di guerra, quando le truppe russe si stavano avvicinando a Kiev, aveva alloggiato paramedici nella sua lussuosa villa alla periferia della capitale ucraina. Da notare che l’impero commerciale di Pinchuk è quello che ha sofferto meno delle conseguenze del conflitto. Questi fattori potrebbero essere chiave nell’eventuale sua decisione di intraprendere una carriera politica, in particolare il sostegno attivo ai militari ucraini può facilmente rappresentare un’arma propagandistica efficace in tal senso.
Allo stesso modo l’ex presidente Poroshenko potrebbe tornare al potere: oltre ad aver favorito le politiche nazionalistiche quando era presidente, ha anche indossato abiti militari e ha organizzato gruppi di volontari per aiutare nello sforzo bellico. Le società di Poroshenko hanno poi speso più di 46 milioni di dollari per sostenere le forze armate, e ha consegnato veicoli blindati acquistati in Italia e in Gran Bretagna, pickup a quattro ruote motrici, giubbotti antiproiettile, caschi, carburante e altro ancora.
L’outsider più promettente potrebbe essere Dmytro Razumkov, ex presidente della Verkhovna Rada. Nel 2019 Razumkov è stato una delle figure chiave che hanno portato al potere Zelensky e il suo partito, diventandone ben presto il leader ufficiale. Le strade di Zelensky e Razumkov hanno cominciato a divergere quando quest’ultimo si è schierato in difesa della costituzione – anche quando era in discussione la lotta contro gli oligarchi – e delle “promesse presidenziali del 2019” sino ad arrivare al suo siluramento. Razumkov ha sfruttato quest’occasione come base per una futura campagna politica, sottolineando di essere rimasto fedele alle promesse del 2019 mentre Zelensky le aveva dimenticate.
L’immagine politica di Zelensky all’estero appare indistruttibile, ma la maldestra giustificazione dei conti offshore, la cacciata di Razumkov, l’ulteriore stretta liberticida con la messa al bando di libri di testo in russo e altri provvedimenti simili, nonché la possibile percezione che il leader non sia capace di raccogliere tutto il sostegno internazionale possibile per il buon esito del conflitto, potrebbero facilmente decretarne la fine una volta che sarà nuovamente possibile ricorrere ai seggi.
Del resto, un’immagine autoritaria non paga in tempi di pace – questo non vale solo per le democrazie occidentali – anche al netto dei sentimenti nazionalistici che si sono radicati ulteriormente in Ucraina grazie all’invasione russa, in quanto evocherebbe spettri di un passato sovietico non troppo lontano.