Il programma nucleare iraniano rappresenta, a tutt’oggi, il problema fondamentale della politica mediorientale (Tutto quello che c’è da sapere sul programma nucleare dell’Iran). Non esiste Paese che ha avuto una tale attenzione politica e mediatica per la nascita di un suo programma nazionale di sviluppo dell’energia atomica. E la pressione della comunità internazionale per giungere a un accordo – arrivato faticosamente nel 2015 – dimostra la volontà di tutti gli Stati di monitorare l’Iran. Con la differenza che alcuni lo vogliono controllare, altri, invece, annichilire.
La questione è semplice: l’Iran è l’unica potenza militare e politica in grado di assumere un ruolo di guida all’interno del Medio Oriente. Limitarne la sua capacità atomica, annichilendola, significa evitare che Teheran possa sedersi al tavolo delle potenze nucleari. Solo così, l’Occidente eviterà di assegnargli lo scettro della regione.
Il problema è dunque strategico e politico. Permettere all’Iran di avere l’atomica equivale a un regime-change del Medio Oriente. Finora è Israele l’unico Paese della regione a detenere un arsenale nucleare. Anche se formalmente, Tel Aviv non ne ha mai dichiarato il possesso. Una strategia tipica del governo israeliano che vuole incutere timore alle potenze regionali senza mostrare apertamente le sue carte.
Dare la possibilità a Teheran di avere un’arma nucleare imporrebbe al mondo un cambiamento di prospettiva. L’Iran ha tutto per essere una potenza regionale ed ha le capacità per assumere la leadership estendendo la sua influenza. Lo ha dimostrato in Iraq, lo fa da tempo in Libano. E in Yemen, attraverso gli Houti, lo sta confermando. Insomma, se Israele è una roccaforte supportata dall’Occidente, ma isolata fisicamente, l’Iran può convogliare una forza universale che, attraverso il mondo sciita, può andare dall’Afghanistan fino al Mediterraneo.
La guerra non è dunque ideologica, ma molto più pragmatica. Israele contrasta l’Iran non come nemico culturale, ma come nemico strategico. Ed è per questo che sta imponendo una sua politica dura e repressiva nei confronti degli Ayatollah. È il motivo per cui gli Stati Uniti, pur con alcune differenze strategiche, comprendono i rischi di un Iran nucleare.
Il sistema iraniano è forte, resiste, ed è in grado di crescere. Ha una visione strategica molto più profonda degli alleati regionali americani al di fuori di Israele. Il fatto che sia ancora legato al Qatar così come il fatto che abbia una crescente influenza sull’Oman, sono segnali inequivocabili di cosa sia l’Iran. La logica non è a breve termine, ma sul lungo periodo. Non è la repubblica islamica, ma è la rivisitazione in chiave moderna della strategia della Persia. E questo, per una nazione come Israele e per un alleato come gli Stati Uniti, è un incubo da evitare a ogni costo (Perché Israele non vuole che l’Iran abbia il nucleare).
Se per queste due potenze, l’Iran è un problema, figuriamoci per un Paese assolutamente inferiore in termini militari e strategici come è l’Arabia Saudita. La monarchia wahabita non può contare su un esercito, non ha capacità operative e la guerra in Yemen, dove ha provato a scardinare le roccaforti sciite, si sta rivelando un disastro umanitario ma anche un fallimento militare.
Mohammed bin Salman, principe tuttofare da qualche tempo scomparso dai radar, ha già mostrato al mondo le lacune del suo Paese. Che di certo non può competere con un esercito organizzato come quello iraniano. Un esercito cui si unisce la galassia di milizie sciite collegate a Teheran, frutto di rapporti politici, diplomatici e culturali del tutto inarrivabili per Riad.
A questa prospettiva, si aggiungono poi problemi di natura economica. Le sanzioni hanno reso impossibile agli europei investire in Iran, colpendo in maniera estremamente rilevante l’economia iraniana. Il danno alle aziende europee e l’incapacità di Teheran di attrarre investimenti internazionali hanno creato un circuito nefasto che ha pesantemente indebolito le infrastrutture iraniane. Basti pensare all’aeronautica civile, dove la francese Airbus già era pronta a vendere decine di mezzi alle compagnie iraniane. E le sanzioni volute dagli Stati Uniti – le più dure di sempre come sostenuto da Mike Pompeo – servono anche a questo.
Un Iran forte economicamente si traduce in un Iran forte politicamente. Un Iran forte politicamente, unito a un Iran con l’atomica, diventerebbe, inevitabilmente, un problema per i suoi avversari. La sfida dunque è molto più pragmatica. E gli interessi del tutto divergenti.
Lo si può vedere anche adesso. La Russia, la Cina, l’Unione europea hanno tutte tre motivi per continuare a trattare con l’Iran. Per la Russia, è il rafforzamento di un asse nato ai tempi della Guerra Fredda dopo la rivoluzione di Khomeini. Significa rafforzare una partnership fondamentale, anche solo a livello economico, visto che si traduce nel rafforzamento dei corridoi verso sud e l’Oceano indiano (Tutto quello che c’è da sapere sul 5+1).
Per la Cina, l’Iran è passaggio obbligato della Nuova Via della Seta. Per arrivare al Medio Oriente, Pechino ha bisogno di attraversare il territorio iraniano. Sono due mondi diversi, uno, un Paese comunista, l’altro un governo basato sulla fede. Ma hanno interessi convergenti, economici e politici, soprattutto nello sfidare gli Stati Uniti. E in Afghanistan, sono utili a vicenda.
Per l’Europa, l’Iran è un banco di prova. Significa mostrare di avere peso politico. Non essere subalterni ai desiderata di Washington. I governi europei vantano da decenni rapporti proficui con quelli iraniani. A prescindere dalle sue caratteristiche. L’Italia per prima. Avere un Medio Oriente stabile e un Iran complessivamente alleato sarebbe utile a tutti (Le relazioni tra Iran e Italia).