Chi è Moon Jae-in, il leader di Seul che lavora per la pace in Corea

Nel corso degli ultimi mesi il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha acquisito un ruolo sempre più centrale nella definizione delle trattative volte a stabilizzare la grave crisi apertasi in seguito all’escalation atomica e missilistica della Corea del Nord. Lanciando la sua “offensiva di pace” a partire dalle Olimpiadi di Pyeongchang, aperte dalle immagini fortemente evocative della delegazione unita coreana, Moon Jae-in ha imposto un notevole cambio di marcia a una distensione ritenuta ben al di là da venire solo pochi mesi fa, quando erano le minacce verbali che Kim Jong-un e Donald Trump si scambiavano vicendevolmente a dominare la scena.

Di fatto, Moon Jae-in sta portando avanti nel migliore dei modi l’agenda che ha convinto il popolo sudcoreano a eleggerlo nel maggio 2017, poco dopo l’impeachment della sua controversa predecessore Park Geun-hye. Un’agenda per la cui attuazione sta scommettendo tutto il capitale politico a disposizione: Moon traccia un percorso di rottura col recente passato che supera per ampiezza la  Sunshine policy  di inizio millennio e ha come obiettivo ultimo il Santo Graal di qualsiasi decisore politico sudcoreano: la conclusione di un trattato di pace stabile con Pyongyang e l’avvio di un processo di mutuo riconoscimento che getti le basi per l’ipotesi di una riunificazione, perlomeno “morale”, della penisola.

Figlio di due profughi passati dalla Corea del Nord al Sud nel corso della guerra dei primi anni Cinquanta Moon, classe 1953, si è fatto le ossa nel corso degli anni della dittatura militare degli anni Ottanta, lavorando come avvocato per i diritti umani a favore di giornalisti, politici e funzionari perseguitati per reati di opinione o dissidenza a fianco del suo grande amico e futuro capo di Stato Roo Moo-hyun.

La lotta per i diritti umani rappresentò lo sbocco naturale per uno studente di talento come Moon Jae-in, laureatosi a pieni voti nel 1980 ma impossibilitato a praticare la carriera forense a causa delle posizioni critiche contro il regime di Park Chung-hee, dittatore e padre della donna a cui è succeduto alla Casa Blu.

Nel corso dell’amministrazione Roo, durata dal 2003 al 2008, Moon ebbe modo di ricoprire il suo primo incarico istituzionale come capo dello staff del presidente. La presidenza di Roo Moo-hyun è ricordata come una delle più controverse della storia del Paese: se da un lato nel corso del quinquennio in considerazione la Corea del Sud entrò tra le prime dieci economie del pianeta e superò la pietra miliare dei 20mila dollari di reddito pro capite, dall’altro Roo non riuscì mai a entrare in piena sintonia col suo popolo, precipitando nei consensi per uno stile di leadership incerto e per lo sgonfiamento precoce della crescita della produzione interna.

Sul piano internazionale, Moon Jae-in lavorò al rafforzamento del dialogo intercoreano  culminato nell’incontro tra Roo e Kim Jong-il del 2007, fatto che sancì un duro colpo alle relazioni tra Seul e i suoi principali alleati, Stati Uniti e Giappone, desiderosi di mantenere una linea dura contro la Corea del Nord. L’ostilità degli apparati militari e giudiziari sudcoreani per Roo fu alla base di un violento attacco giudiziario all’ex Presidente tra il 2008 e il 2009, che culminò col tracollo psicologico di quest’ultimo e col suo tragico suicidio nel maggio del 2009.

Fu solo nel 2012 che, dopo una lunga riflessione, Moon Jae-in decise di raccogliere l’eredità del suo amico e predecessore alla presidenza e scendere nell’agone politico: in quell’anno lanciò la sua candidatura alla presidenza nelle fila del Partito democratico unito, esponente dell’ala di sinistra della politica sudcoreana, e con un’agenda progressista si presentò di fronte alla sfidante Park Geun-hye, che riuscì a prevalere al ballottaggio.

Nel quinquennio 2012-2017, Moon elaborò un’agenda di più ampio respiro capace di offrire soluzioni agli annosi problemi del Paese: invecchiamento demografico, debolezza del welfare, corruzione dei grandi gruppi privati (chaebol) e necessità del dialogo con un Nord sempre più ostile. A un’agenda spiccatamente progressista in campo economico Moon aggiunge visioni politiche conservatrici in campo sociale e una visione strategica fautrice del rilancio di una maggiore autonomia della Corea del Sud nel contesto internazionale. A tal proposito, Moon ha tentato, e tenta tuttora da Presidente, di riuscire laddove il suo predecessore Roo fallì: convincere l’apparato militare e burocratico di Seul che l’interesse nazionale passa per il congelamento delle tensioni sul 38° parallelo.

L’agenda elaborata da Moon si è rivelata vincente quando, nel maggio 2017, il popolo sudcoreano lo ha premiato con l’elezione alla presidenza dopo gli scandali che hanno affossato l’amministrazione Park.

Moon ha preso sulle sue spalle la responsabilità di restituire ai sudcoreani il rispetto e la stima per delle istituzioni troppo spesso vittima degli interessi corporativi legati ai grandi gruppi economici (Samsung  in primis) e di rafforzare la posizione del Paese nel mondo: il riavvicinamento a Pyongyang è un tassello centrale in una strategia declinata, al tempo stesso,  nel dialogo costante con la Cina e in una relazione con gli Stati Uniti amichevole e leale, ma contraddistinta da una maggiore capacità propositiva da parte di Seul.

Negli ultimi mesi gli avvenimenti oggetto di cronaca hanno assunto a più riprese risvolti storici: l’accoglienza di Moon ai rappresentanti nordcoreani a Pyeongchang, la marcia della Corea unita alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, le strette di mano calorose con Kim e l’accelerazione repentina nell’agenda del dialogo hanno delineato un contesto in cui, per la prima volta in quasi settant’anni, la definizione di un  modus vivendi  appare raggiungibile.

La più grande sfida di Moon è, fondamentalmente, dimostrare al mondo che anche la Corea del Sud può essere in grado di determinare il proprio destino e contribuire a una mediazione che solo un anno fa appariva impossibile: se l’obiettivo sarà coronato da successo, il presidente di Seul entrerà a pieno diritto nel novero dei grandi statisti del primo scorcio del XXI secolo.

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