I gasdotti Nord Stream e Nord Stream 2

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Il gasdotto Nord Stream è stato per molto tempo al centro dello scontro fra Occidente e Russia, con la Germania che si è trasformata nel corso degli anni in un vero e proprio hub energetico del gas russo in Europa. Questo condotto, infatti, ha rappresentato per gli anni di servizio la saldatura geopolitica tra Germania e Russia, con il gas che, passando attraverso il Baltico, trasportava miliardi di metri cubo l’anno di gas nel cuore del Vecchio Continente escludendo il transito attraverso Paesi Baltici, Ucraina e Bielorussia. Non deve sorprendere dunque che il Nord Stream, insieme al suo raddoppio Nord Stream 2, abbia allarmato da sempre sia i Paesi dell’Europa orientale dentro la Nato sia gli Stati Uniti, preoccupati da quell’immenso flusso di gas russo diretto in Germania che non ha solo rafforzato il peso del Cremlino in Europa, ma anche arricchito Mosca attraverso i proventi del gas da quello che è stato il suo principale alleato in seno all’Unione europea e all’Alleanza Atlantica, ovvero Berlino. La guerra in Ucraina ha poi travolto ogni cosa.

La storia del Nord Stream inizia nel 1997 quando la società russa Gazprom e la finlandese Neste costituiscono una società (North Transgas Oy) per realizzare un gasdotto che vada dalla costa russa a quella tedesca passando per il Baltico. Gli studi di fattibilità proseguono per diversi anni con il coinvolgimento di più società, tra le quali ovviamente Gazprom, Neste (che nel frattempo diventa Fortum), Ruhrgas e Wintershall finche la società North Transgas passa totalmente sotto il controllo di un unico proprietario, ovvero il colosso russo.

Il piano per Nord Stream prosegue. Il 30 novembre 2005 nasce un’altra società appositamente creata per realizzare il gasdotto: la North European Gas Pipeline Company. L’azienda nel 2006 diventa Nord Stream AG e da quel momento assorbe tutte le competenze sulla nuova e rivoluzionaria conduttura energetica. In quello stesso periodo, Gazprom dà il via ai cantieri sul territorio russo, mentre iniziano a essere coinvolte diverse società internazionali, in particolare europee tra cui importanti quelle italiane, per la realizzazione delle condutture sottomarine e i relativi e complessi lavori di dragaggio, posa dei tubi, messa in sicurezza e di costruzione di tutti gli elementi utili al trasporto di gas.

I lavori terminano nel 2011: a settembre di quell’anno il Nord Stream riceve il primo quantitativo di gas russo e sarà poi inaugurato e novembre con una cerimonia a cui partecipano la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente russo Dmitrij Medvedev, il primo ministro francese François Fillon e il premier dei Paesi Bassi Mark Rutte. La foto scattata l’8 novembre 2011 a Lubmin, in Germania, rappresenta un momento fondamentale della più recente storia europea o forse l’immagine di un momento straordinario che però ha modificato radicalmente la percezione della Russia e dell’Europa anche nei pensieri strategici degli Stati Uniti.

Il gasdotto Nord Stream 1 faceva parte di una complessa rete di condutture che si univa ai giacimenti della Federazione Russa attraverso un ramo del gasdotto Gryazovets-Vyborg.

Da Vyborg iniziava la parte off-shore composta da due linee parallele di condutture in grado di trasportare ciascuna 27,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno e dalla lunghezza di 1.220 chilometri, giungendo a Greifswald, in Germania. A quel punto, il gas si collegava alla rete tedesca entrando nel mercato europeo e nel sistema continentale di distribuzione dell’oro blu attraverso due gasdotti: il gasdotto Opal da Greifswald a Olbernhau e il Nel, che va da Greifswald ad Achim. Entrambe queste condutture trasferivano poi l’energia ad altri Paesi: motivo per il quale la Germania si era trasformata non solo nella migliore cliente europea del gas russo, ma anche nella sua più grande centrale di distribuzione in tutto il continente.

Il percorso del gasdotto off-shore, evitando accuratamente di passare nella zona economica e nelle acque territoriali di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia e nei loro territori, è stata una chiara scelta strategica. Questi Stati hanno da sempre una visione estremamente negativa della Russia e dei suoi rapporti con il resto dell’Europa. Proprio per questo motivo, Mosca ha preferito scavalcare le possibile contestazioni baltiche affidandosi a un gasdotto subacqueo che esclude le aree sotto la giurisdizione dei Paesi che sono più avversi alla strategia del Cremlino.

Se il Nord Stream ha sempre rappresentato il simbolo dell’esportazione russa di gas, non deve stupire che il suo raddoppio sia stato visto immediatamente con sospetto da tutti coloro che volevano e vogliono scindere Mosca dai destini energetici europei.

La storia del progetto del raddoppio evidenzia proprio questo scontro. Nel 2011, gli azionisti di Nord Stream decisero di dare il via agli studi per raddoppiare le condutture e aumentare così la portata della rete a 110 miliardi di metri cubi annui di gas. Dopo un attento di studio fattibilità, Nord Stream AG nel 2012 conferma la fattibilità della costruzione di una terza e quarta conduttura, e da quel momento, si inizia a parlare con sempre maggiore insistenza e chiarezza di Nord Stream 2.

Il progetto va avanti fino al gennaio del 2015, quando c’è una prima interruzione: il piano di raddoppio viene sospeso poiché le linee esistenti funzionavano a metà della capacità a causa delle sanzioni europee a Gazprom dovuto all’annessione della Crimea da parte della Russia.

 

nord stream germania russia

Il progetto riprende dopo sei mesi, a giugno 2015, con un accordo per la costruzione di due linee aggiuntive concluso tra Gazprom, Royal Dutch Shell, E.on, Omv ed Engie. Due anni dopo, nel 2017, per ovviare al veto polacco, Uniper, Wintershall, Engie, Omve Royal Dutch Shell firmano un nuovo accordo di finanziamento con Nord Stream 2 Ag, società sempre controllata da Gazprom, secondo il quale ciascuna società avrebbe fornito 950 milioni di euro per coprire il 50% dei costi di progetto, mentre il resto sarebbe stato finanziato da Gazprom. Nel maggio 2018 inizia la costruzione del terminale di Greifswald.

Con alterne fortune, stop ai lavori, e nonostante avvertimenti da parte degli Stati Uniti e multe e sanzioni inflitte sia da parte americana che da singoli Stati dell’Unione europea e da Bruxelles, i lavori procedono. Con due navi posatubi, la Akademik Cherskiy e la Fortuna, Vladimir Putin è in grado di annunciare nel 2021 il completamento della posa della prima e della seconda linea del Nord Stream 2. L’operatività delle nuove linee si sarebbe dovuta verificare a dicembre del 2021, ma dopo i tentennamenti dell’autorità tedesca nel fornire il placet all’attività del gasdotto, il nuovo cancelliere Olaf Scholz ordina, come primo atto dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la sospensione della certificazione del progetto. Dopo alcune mesi, Nord Stream 2 Ag dichiara bancarotta.

Nord Stream 2 prevedeva la posa di 200mila tubi di acciaio ricoperti di cemento e successivamente rinforzati con un’armatura di ferro. Ogni tubo è lungo 12 metri e pesa 24 tonnellate. In tutto sono state necessarie 2.424 migliaia di tonnellate di acciaio. Le condutture sono state posate sul fondo del Mar Baltico da navi che prima li assemblavano a bordo e poi li hanno posti sul fondo del mare. Il progetto era quello di costituire due linee parallele, ciascuna con una capacità di trasporto di 27,5 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno.

Il tracciato è sostanzialmente identico a quello dell’esistente Nord Stream, con la differenza che il secondo parte, per quanto riguarda il tracciato off-shore, dalla stazione di compressione di Slavyanskaya, nei pressi di Ust Luga, non lontano da San Pietroburgo. Da lì, il gasdotto procede per il Baltico attraverso le acque finlandesi, svedesi, danesi e infine tedesche. Ultima tappa: Lubmin, Germania, vicino Greifswald.

Il Nord Stream 2 ha trovato da subito l’opposizione dei Pasi dell’Europa nord-orientale e degli Stati Uniti. Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania hanno visto in questo progetto da un lato l’aggiramento russo dei propri territori, dall’altro il fatto che Mosca e Berlino fossero collegate in modo sempre più solido. Il raddoppio del Nord Stream era dunque visto non solo come una pericolosa leva negoziale di Putin in seno all’Ue, ma anche una possibile arma di ricatto verso gli altri clienti russi che avrebbero potuto essere tagliati fuori dall’approvvigionamento energetico russo potendo Mosca fare affidamento direttamente sul nuovo gasdotto baltico.

Le perplessità sul Nord Stream 2 furono manifestate anche più a sud, in particolare da Repubblica Ceca e Bulgaria, contrarie non tanto per una politica antirussa (tradizionalmente più evidente a Varsavia e in altre capitali baltiche) ma per il timore di perdere l’opportunità di essere Paesi di arrivo e transito del gas russo in Europa. Questi due Stati, temendo la scelta del Baltico come strumento per aggirare l’Ucraina, si vedevano quali prime vittime di un eventuale stop, colpendo sia la loro capacità di sopperire al fabbisogno energetico, sia gli introiti legati al transito del gas.

Le paure dei Paesi baltici sono, non casualmente, le stesse degli Stati Uniti e della Nato e dell’Unione europea. Anzi, l’opposizione al raddoppio del Nord Stream 2 è stata forse una delle costanti delle amministrazioni Usa che si sono succedute durante la nascita e la realizzazione del progetto. A palesare la contrarietà Usa al raddoppio del Nord Stream sono già nel 2016 alcuni esponenti politici Usa, tra cui John McCain e Marco Rubio, che si rivolgono direttamente alla Commissione europea. Poi il segretario di Stato Rex Tillerson, nel 2018, lo definisce senza mezzi termini una minaccia per la sicurezza europea. Dello stesso avviso il presidente Donald Trump, che ha più volte ricordato come la Germania fosse dipendente dal gas russo nonostante facesse affidamento sulle forze Usa per la propria protezione. Nel 2019, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, Richard Grenell, uno dei più acerrimi nemici di Angela Merkel, esorta tutte le aziende internazionali coinvolte nel Nord Stream 2 ad abbandonarlo immediatamente.

Con il passaggio dall’amministrazione repubblicana a quella democratica, il Nord Stream 2 sembra essere meno oggetto delle attenzione statunitensi. Joe Biden, impegnato a ricucire i rapporti con l’Europa dopo la traumatica esperienza trumpiana, dà l’idea di avere accettato ormai la realizzazione del progetto. Sia il presidente che il segretario di Stato Antony Blinken manifestano più volte l’idea che quel gasdotto non sia più un’ipotesi, spostando l’attenzione della Casa Bianca soprattutto sulla necessità di rassicurare tutti gli alleati dell’Europa orientale, dall’Ucraina alla Polonia, sostenendo la possibilità che sia garantita la diversificazione energetica, l’approvvigionamento e che siano fornite anche rassicurazioni di tipo economico.

La questione però non viene accolta con favore dai Paesi baltici e da quella che diventerà la vera potenza politica del fronte antirusso, la Polonia, il cui primo ministro Mateusz Morawiecki preme su Biden e sul cancelliere tedesco Scholz per evitare che quel gasdotto certifichi la saldatura russo-tedesca e si trasformi in un’arma in mano a Putin.

La guerra in Ucraina cambia radicalmente il corso degli eventi, aumentando immediatamente la pressione proprio sul Nord Stream 2. Biden, incontrando Scholz alla Casa Bianca prima dell’invasione russa, conferma che il gasdotto è al centro di colloqui tra i due alleati. Le fonti Usa ribadiscono il grande nodo della questione: Nord Stream 2 va contro la diversificazione delle fonti europee del gas ed è esclusivamente “un progetto geopolitico” della Russia che “compromette la sicurezza energetica e la sicurezza nazionale di una parte significativa della comunità euro-atlantica”.

La posizione americana, fatta trapelare attraverso numerose indiscrezioni e fonti anonime, è che il Nord Stream 2 deve essere immediatamente bloccato in caso di attacco russo. Cosa che puntualmente avviene nel febbraio 2022, quando Scholz sospende la certificazione del Nord Stream 2 – ultimo atto per la sua attivazione – dopo che Putin dà il via alla cosiddetta “operazione militare speciale”.

Secondo molti osservatori, l’obiettivo di Putin nella realizzazione del raddoppio del Nord Stream è sempre stato quello di scavalcare non solo i Paesi baltici, ma anche l’Ucraina. Essendo questa, da sempre, uno dei Paesi di transito del gas russo, l’obiettivo del Cremlino sarebbe stato quello di evitare di passare per il territorio ucraino dopo che il Paese aveva deciso di abbandonare l’orbita russa per dirigersi verso quella occidentale, avvertendo anche della possibilità di fare richiesta di entrare nella Nato.

Dal momento che Kiev incassava miliardi di euro per il passaggio del gas russo sul suo territorio, è del tutto evidente che la riduzione, o il progressivo azzeramento del transito di oro blu sarebbe stata per Kiev una perdita economica di grandissimo impatto. Perdita economica ma anche politica, poiché la costruzione di un gasdotto in grado di raddoppiare la portata verso la Germania, di fatto indeboliva totalmente la posizione negoziale ucraina in un periodo in cui si combatteva quotidianamente in Donbass. Non solo avrebbe potuto perdere le royalties, ma soprattutto Kiev si trovava da un lato sotto la spada di Damocle di un’eventuale chiusura del rubinetto del gas da parte di Mosca, dall’altro con una Germania saldamente ancorata alla Russia, quindi possibilmente meno attenta alle aspettative ucraine negli Accordi di Minsk e in quella che, all’epoca, era la crisi del Donbass e la questione della Crimea.

Proprio per questo motivo, Petro Poroshenko chiede subito garanzie a Merkel sul ruolo del nuovo gasdotto. Ma gli interessi tedeschi sono ovviamente per la sua realizzazione. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non cambia registro. Nel 2021, in un’intervista rilasciata a più media internazionali, indica il Nord Stream 2 come “una minaccia”, dicendo che quelle nuove linee possono portare a una pericolosa carenza di materie prime e di gas e facendo perdere 1,7 miliardi di euro all’anno all’Ucraina. Il presidente ucraino conferma il pressing per tutelare gli interessi di Kiev. Ino altre circostanze, Zelensky sottolinea la “delusione” per la decisione di Washington di sospendere le sanzioni contro le aziende che lavorano alla finalizzazione del Nord Stream 2 e lo definisce come “una vera arma nelle mani della Russia”. Accuse cui l’amministrazione Usa risponde in modo netto dicendo a Kiev di non rendere pubbliche certe affermazioni sul gasdotto né sostanzialmente di discutere il potenziale accordo tra Stati Uniti e Germania sul nuovo gasdotto scatenando anche le opposizioni interne al Congresso.

Con l’invasione da parte della Russia, il Nord Stream 2 torna a essere al centro del rapporto triangolare tra Kiev, Berlino e Washington e, come visto in precedenza, gli Stati Uniti affermano chiaramente che quel progetto deve essere immediatamente fermato come primo prezzo imposto a Putin per l’attacco. Scholz, dopo una drammatica scelta interna, decide per la sospensione della certificazione interrompendo così una politica tradizionalmente incline a est. Pochi giorni dopo l’inizio della campagna militare russa in Ucraina e le sanzioni al progetto, la sottosegretaria agli Esteri Usa, Victoria Nuland, in un’audizione al Senato esprime la posizione di Washington in maniera cristallina. “Penso che il Nord Stream 2 sia ormai morto” dice Nuland con evidente soddisfazione, “è un grosso pezzo di metallo in fondo al mare, e non credo che possa essere resuscitato”.

Con le sanzioni e le successive interruzioni del gas da parte di Mosca, anche il Nord Stream 1 inizia a non far fluire più gas verso la Germania.

Il 26 settembre del 2022 si verificano grosse falle sottomarine che hanno coinvolto sia il Nord Stream 1 che il Nord Stream 2.

La prima esplosione è avvertita alle due di notte ora locale a sud-est dell’isola danese di Bornholm, coinvolgendo il tracciato del Nord Stream 2. Successivamente sono avvertite altre esplosioni e perdite di pressione sull’altro tracciato, il Nord Stream 1, sempre vicino l’isola danese. Dalle falle si elevano grandi quantità di gas: i gasdotti, infatti, pur inutilizzati, hanno al loro interno gas naturale. Dopo un primo momento di dubbio sulla possibilità di un incidente, sia le autorità svedesi che quelle russe parlano di sabotaggio o, come fa Putin, di “atto di terrorismo internazionale”.

Le indagini al momento proseguono senza che sia ancora certa e verificata né la modalità di attacco né la responsabilità. La Russia accusa direttamente le forze Nato, in particolare parla di “anglosassoni”, colpevole a suo dire di avere voluto infliggere un colpo pubblico e letale ai rapporti tra Mosca e Berlino (e l’Europa). Molti sottolineano a questo proposito la concomitanza del sabotaggio con l’inaugurazione del gasdotto Baltic Pipe tra Polonia e Norvegia: simbolo della nuova geopolitica dell’energia continentale a trazione atlantica e con Varsavia, primo nemico di Nord Stream, quale protagonista. Sul punto, vale la pena ricordare anche l’ultima e dibattuta inchiesta del giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh secondo il quale a colpire i due gasdotti sarebbero stati i sommozzatori della Marina degli Stati Uniti dopo avere piazzato delle mine subacquee durante l’esercitazione Nato Baltops 22.

Oltreoceano e nel blocco atlantico la situazione è stata vista in maniera diversa. Molti accusano Putin di avere voluto sabotare la propria infrastruttura come segnale di frattura definitiva con l’Europa e come simbolo della volontà di non rifornire più di gas il continente anche in futuro. Il tracciato, secondo questa linea di pensiero, proprio perché inutilizzato, non serviva più al Cremlino, diventando quindi un’arma al contrario senza perdite economiche. Secondo la Cnn, navi di supporto della Marina russa si sarebbero mosse nelle vicinanze delle aree delle falle alcuni giorni prima delle esplosioni, ma non si sono trovate conferme di eventuali movimenti anomali. A puntare il dito contro la Russia è stato anche l’ex capo dell’intelligence tedesca, Gerhard Schindler, così come altri esponenti baltici.

Tuttavia, le indagini, al momento divise tra i vari Paesi coinvolti nelle esplosioni o per motivi geografici o motivi economici (Danimarca, Germania, Svezia e Russia) non hanno condotto ad alcuna prova che possa portare a un responsabile. E, come confermato anche da diversi media Usa, nessuno ha trovato prove certe sul coinvolgimento russo.

A febbraio, anche la Cina, attraverso il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, chiede che venga fatta luce sul sabotaggio con un’indagine internazionale visto “l’impatto delle esplosioni sui mercati dell’energia e sull’ambiente”. L’Unione europea, dopo l’uscita dell’articolo di Hersh, ha parlato attraverso la portavoce della Commissione, Anitta Hipper, sottolineando che le indagini sono “responsabilità degli Stati membri” interessati e di queste indagini Bruxelles non sarebbe al corrente. Sul punto si esprime anche Nuland, la quale ribadisce che l’indagine “è condotta dagli Stati collegati a questa infrastruttura” e afferma “in modo definitivo e irrevocabile che gli Stati Uniti non hanno nulla a che fare con queste esplosioni”.