È un uomo d’azione, che ha passato la vita nei servizi segreti e che ha compiuto missioni di cui non si sa nulla. È uno 007 che non è mai andato in pensione, un po’ perché costretto e un po’ perché stacanovista. Ma, soprattutto, è una voce autorevole che viene ascoltata persino dalla massima autorità, cioè Vladimir Putin. Stiamo parlando di uno dei securocrati più influenti della Russia: Leonid Reșetnikov.
Leonid Petrović Reșetnikov nasce nel cuore della Germania Est, Potsdam, il 6 febbraio 1947. Cresciuto in una famiglia di tradizione militare, con un padre nelle forze armate, Reșetnikov studia e si forma al di fuori della repubblica socialista federativa sovietica di Russia: una laurea in storia all’università nazionale Vasyl’ Karazin di Charkiv nel 1970 e una specializzazione, sempre in studi storici, presso l’università di Sofia nel 1974.
Reșetnikov mette piede nella Russia vera soltanto nel 1974, dopo aver completato gli studi tra l’Ucraina sovietica e la Bulgaria comunista. Ad attirarlo in quella patria in cui non è nato, ma alla quale appartiene per diritto di sangue, è un lavoro come ricercatore presso l’Istituto di economia del sistema socialista mondiale dell’Accademia delle scienze dell’Unione Sovietica. Quella che sembra essere l’occasione della vita, però, si rivela una delusione: ricerca e divulgazione non fanno per lui.
Nel 1976, dopo soli due anni di servizio presso l’Accademia sovietica delle scienze, Reșetnikov decide di tentare una via alternativa e, per certi versi, rischiosa: il Comitato per la sicurezza dello Stato, volgarmente e universalmente noto come KGB. La vita gli avrebbe dato ragione: è nei servizi segreti che Reșetnikov farà carriera, durante e dopo l’Unione Sovietica, diventando uno dei più potenti, se non il più potente, 007 di Mosca nei Balcani.
Reșetnikov trascorre trentatré anni nei servizi segreti, incluso il SVR, prima di essere dispensato per il raggiungimento del limite di età. Trentatré anni, cioè il periodo compreso tra il 1976 e il 2009, che trascorre in larga parte nei Balcani nelle vesti di agente residente, forte della padronanza del bulgaro, del serbo e del greco, svolgendo compiti analitici e missioni spionistiche.
La fama, all’alba dell’era putiniana, lo precede: Reșetnikov è ampiamente (ri)conosciuto come il miglior esperto del frammentato e caotico spazio balcanico, le cui lingue principali parla alla perfezione e dove vanta legami utili negli ambienti che contano. È una sorta di uomo-forziere che il Cremlino non può permettersi di mantenere a riposo. Perciò, nell’aprile 2009, al pensionamento segue un’offerta irrefutabile: la direzione del think tank della galassia dei servizi segreti russi, l’Istituto russo per gli studi strategici.
L’arrivo del veterano Reșetnikov alla guida del think tank più trascurato della Federazione segna l’alba di una nuova era, concorrendo a preludiare al ritorno dell’esternalizzazione della politica estera ai servizi segreti. È tra i più grandi sostenitori del recupero delle misure attive di sovietica memoria, di cui supporta un aggiornamento in luogo di un abbandono, e in questo riceve semaforo verde dal Cremlino. È tra i più grandi sostenitori di un’espansione del potere morbido russo, rappresentato da anticolonialismo e valori tradizionali, e anche in questo riceve semaforo verde dal Cremlino.
Gli anni passano e, evidentemente soddisfatto dei risultati, il Cremlino gli affida sempre più ruoli e responsabilità: membro del Consiglio scientifico del ministero degli affari esteri, membro del Consiglio scientifico del Consiglio di sicurezza della Federazione e membro del Consiglio pubblico del ministero della difesa. A fare da sfondo, oltre gli incarichi governativi, la presidenza del più importante canale televisivo ortodosso del Paese, Tsargrad TV, e la presenza nel comitato editoriale della popolare rivista Rodina.
Reșetnikov è un nome conosciuto sia tra gli addetti ai lavori della Russia sia tra quelli esteri, in particolare di Balcani e Stati Uniti. Nei secondi, il nome dello stagionato 007 mai-in-pensione compare per la prima volta nel corposo dossier sulle interferenze elettorali russe nel corso delle presidenziali del 2016. Nei primi, invece, la storia è molto più lunga, complessa e articolata.
In Bulgaria, una sorta di seconda patria, Reșetnikov è stato accusato di aver condotto una serie di attività spionistiche e destabilizzative per mezzo di cittadini bulgari corrotti a suon di rubli e di entità, come l’Istituto russo per gli studi strategici e l’Aquila bicipite, con il duplice obiettivo di trafugare segreti di stato e di condizionare l’orientamento geopolitico del paese. Accuse che gli sono valse, nel 2019, un divieto d’ingresso nel paese della durata di dieci anni.
Reșetnikov è ritenuto, inoltre, uno degli agenti catalizzatori del processo di radicalizzazione che ha investito la classe dirigente russa, e più nello specifico la cerchia putiniana, all’indomani di Euromaidan. Tra i teorici dell’Ucraina come trincea di un’escatologica guerra tra il bene e il male, col primo rappresentato dalla Russia e col secondo identificato nell’Occidente. Tra i fautori delle forze armate e i loro proxy come eredi, nei valori difesi ed emanati, dell’Armata bianca. Tra i primi a parlare di Ucraina come stato artificiale. Idee e costruzioni successivamente entrate a far parte del vasto repertorio propagandistico del Cremlino, che fanno di Reșetnikov uno dei personaggi più influenti, per quanto poco conosciuti, dell’era putiniana.