Francesco è il papa dei record. Il primo pontefice nella storia bimillenaria dell’Impero del cielo che viene dall’emisfero occidentale. Il primo che viene dal Sud globale. Il primo appartenente alla Compagnia di Gesù. E il primo non europeo in 1.272 anni – l’ultimo fu il siriano Gregorio III, che regnò tra il 731 e il 741. Ma Francesco è anche, se non soprattutto, il papa della discordia: arcinemico dei cattolici tradizionalisti, stella polare a fasi alternate di liberali e atei cristiani, avversario dell’internazionale del populismo di destra.
Francesco è tutto e il contrario di tutto. Continuamente frainteso – molte volte volutamente –, incessantemente accusato di essere il demolitore della Chiesa cattolica, l’usurpatore salito al soglio pontificio detronizzando Benedetto XVI, il papa argentino verrà ricordato dai posteri come uno degli eredi di Pietro più rivoluzionari che il cattolicesimo abbia espresso. Perché nessuno prima di lui ha cercato di disaccoppiare Chiesa e Occidente e di trasformare il Vaticano nella forza catalizzatrice di una redistribuzione del potere nel sistema internazionale.
Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, è nato a Flores, un barrio di Buenos Aires, il 17 dicembre 1936. Primo di cinque figli, entrambi i genitori avevano origini italiane.
Diplomatosi come perito chimico, il giovane Bergoglio avrebbe lavorato come tecnico chimico, buttafuori e addetto alle pulizie prima di sentire la chiamata. Nel 1958, dopo tre anni di intensi studi e profonda riflessione introspettiva, prende la decisione che gli avrebbe cambiato la vita: entra come novizio nella Compagnia di Gesù. Due anni dopo, convinto che quello fosse il suo destino, avrebbe immortalato quella scelta facendo voto di obbedienza ai tre consigli evangelici: povertà, castità e obbedienza.
Avido di conoscenza, il giovane gesuita avrebbe trascorso gli anni Sessanta alternando studio e insegnamento. Lo studio della filosofia nel collegio di San Giuseppe. L’insegnamento di letteratura e psicologia al collegio dell’Immacolata Concezione e al collegio del Salvatore. Entro la fine del decennio, il 13 dicembre 1969, sarebbe stato investito del diritto al sacerdozio da parte dell’allora arcivescovo Ramón José Castellano.
Tra il 1976 e il 1983 l’Argentina fu dominata da una feroce dittatura militare, scaturita nell’ambito dell’operazione Condor e anelante ad un “Processo di Riorganizzazione Nazionale” (Proceso de Reorganización Nacional), e Bergoglio si sarebbe incontrato e scontrato più di una volta con i suoi esponenti.
Impegnato nella protezione degli oppositori della dittatura, nonché nella fornitura di documenti per l’espatrio ai più esposti al rischio di scomparire dai radar, Bergoglio è stato elogiato dall’ex giudice Alicia Oliveira per l’attivismo nel dietro le quinte svolto in quegli anni e ringraziato da diverse famiglie per l’aiuto dato.
Le critiche e le ombre, ad ogni modo, non mancano. Noto è, ad esempio, che i due gesuiti Orlando Yorio e Franz Jalics – che furono rapiti e torturati da elementi della dittatura nel 1976 – abbiano accusato il collega, per diversi anni, di non aver fatto nulla per salvarli dalle grinfie dei sequestratori. Jalics avrebbe cambiato versione, ricusando le precedenti, soltanto nel 2013, anno dell’ascesa al soglio pontificio di Bergoglio.
I primi passi verso il trono di Roma sarebbero stati fatti nei primi anni Novanta, con la fine della Guerra fredda. Nel 1992 viene nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires, cinque anni più tardi, della stessa arcidiocesi, viene fatto vescovo coauditore, e nel 1998, infine, ne diventa arcivescovo metropolita.
Il titolo gli consentirà di dare forma pratica, concreta e su larga scala alla sua visione di Chiesa. Una visione forgiata dagli insegnamenti gesuiti, orientata al Cristianesimo delle origini e guidata dal vissuto di San Francesco, dunque mirante ad accentuare la dimensione caritatevole e popolare della Chiesa.
In questi anni, complice la sua attenzione verso gli abitanti delle fatiscenti baraccopoli della capitale, Bergoglio sarebbe stato soprannominato “il Vescovo dei poveri” (el Obispo de los pobres). E sarebbe stato precisamente quel suo modo di concepire la Chiesa – allontanata dalle classi dominanti, disaccoppiata dal grande capitale e costretta alla disciplina finanziaria – a condurlo, poco alla volta, alle porte di Roma.
Nel 2001, in segno di riconoscimento della sua rilevanza per l’Argentina, Bergoglio viene creato cardinale dall’allora papa regnante, Giovanni Paolo II. Pochi anni più tardi, nel 2005, viene eletto alla presidenza della Conferenza Episcopale Argentina, che lascerà soltanto nel 2011.
Nel 2013, infine, quella visione avuta in gioventù si compie. Il 28 febbraio l’anziano Benedetto XVI abdica, forse perché impossibilitato dalla salute a proseguire il pontificato o forse perché vittima di un intrigo di palazzo, e Bergoglio, che già nel 2005 era stato un papabile, gli succede due settimane dopo, su decisione del Conclave, assumendo il nome di Francesco.
Il 13 marzo 2013, con l’ascesa al soglio pontificio del Vescovo dei poveri, ha avuto inizio una nuova epoca per il cattolicesimo e per lo stesso Occidente. Riconfermandosi una potenza votata al lungo termine, contraddistinta da un orizzonte temporale sconosciuto agli Uomini, la Chiesa ha eletto quale suo re un riformatore conservatore ed un abile stratega.
Il conservatorismo moderato, tanto inviso all’ala tradizionalista della Chiesa, è stato impiegato da Francesco per aprire gli occhi al clero su quella che è la mondanità: esistono cattolici che si separano, che divorziano, esistono omosessuali alla ricerca di Cristo, esistono preti più attenti alla carriera che alla carità ed esistono folle in attesa di ricevere il Vangelo nelle “periferie del globo”.
Trovando in Pietro Parolin la mente, il braccio e la spalla ideale a compiere il passo più lungo, la mossa più rischiosa, Francesco ha introdotto la Chiesa in un nuovo cammino. Un cammino rivolto al futuro, dove non può esserci spazio per scismi anacronistici e che prevede l’archiviazione di antiche alleanze ritenute inossidabili, come quella con l’Occidente, del cui divenire realtà postcristiana, e per certi versi anticristiana, Francesco ha preso coraggiosamente atto.
L’intero pontificato bergogliano, sin dai primordi, è stato dunque improntato al futuro, alla ricerca di nuovi lidi per la Chiesa. Lidi in cui prosperare, in cui recuperare quel terreno perduto nell’ipersecolarizzata Europa e nella crescentemente protestante America Latina. Lidi come l’Africa subsahariana e l’Asia orientale, dove si trovano degli immensi bacini di anime come la Nigeria, il Congo, l’India e la Repubblica Popolare Cinese.
Ricerca di spazio vitale a parte, Francesco verrà ricordato come un papa rivoluzionario per un’altra ragione: dopo il periodo di pausa dalla diplomazia internazionale dell’era Ratzinger, il duo Bergoglio-Parolin ha riportato il Vaticano al centro del palcoscenico, degli affari mondiali, rendendolo un paciere ovunque possibile.
Nel (lungo) novero dei successi diplomatici dell’era Francesco, che sarebbero stati impossibili da realizzare senza il supporto di novelli Richelieu come Parolin e Paul Richard Gallagher, figurano per significatività ed epocalità:
- La parziale normalizzazione tra Cuba e Stati Uniti durante la seconda amministrazione Obama.
- Il dietrofront della seconda presidenza Obama in merito ad un possibile attacco militare su larga scala contro la Siria all’acme della guerra civile.
- L’accordo sul nucleare iraniano.
- L’accordo di pace tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC).
- Gli incontri con i capi della cristianità ortodossa al fine del superamento del Grande scisma.
- L’accordo sulla nomina dei vescovi con la Repubblica Popolare Cinese.
- La cooperazione antipandemica con la Repubblica Popolare Cinese.
- La nascita di un’alleanza intercivilizzazionale con l’Islam, a lungo sognata da Giovanni Paolo II, formalizzata con la firma del Documento sulla fratellanza umana.
- Lo stabilimento di un patto con la Russia, mediato dal Patriarcato di Mosca, avente quali obiettivi la protezione dei perseguitati cristiani in Medio Oriente e l’accelerazione della transizione multipolare.
Francesco, in sintesi, è riuscito laddove nessuno dei predecessori aveva potuto, trasformando dei rivali di lunga data in dei collaboratori di primo piano, e se gli succederà qualcuno altrettanto devoto alla causa del multipolarismo, e capace di muoversi tra le acque agitate della terza guerra mondiale a pezzi, la Chiesa non soltanto avrebbe delle buone probabilità di sopravvivere al 21esimo secolo ma potrebbe diventarne una protagonista.