Evgenij Prigozhin, chi era lo chef di Putin

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Era universalmente noto al pubblico occidentale come “lo chef di Putin”, perché la sua impresa si occupava frequentemente di catering e banqueting per conto del Cremlino, ma un soprannome più calzante, perché trattavasi di un imprenditore dalle molteplici attività e dai mille interessi, avrebbe potuto essere “il tuttofare di Putin”.

Perché fosse snaturante definirlo uno chef, a questo personaggio rispondente al nome di Evgenij Prigožin, è dato dal fatto che è stato (molto) di più di un semplice magnate della ristorazione: è stato uno dei vari custodi a guardia della sicurezza e della stabilità dell’ordine post-eltsiniano.

È vero: non raccoglieva intelligence né combatteva il terrorismo come il FSB, non determinava la politica estera come Sergej Lavrov e non consigliava la presidenza come Nikolai Patrushev, ma Prigožin rivestiva comunque un’importanza di primo piano nel mantenimento in essere della Pax putiniana. Perché era il re del Gruppo Wagner.

Evgenij Viktorovič Prigožin nacque in quel di Leningrado (oggi San Pietroburgo) il primo giugno 1961. Adolescente problematico, nel 1979 riceveva una condanna a cinque anni di condizionale per furto. Due anni dopo, complice la violazione della suddetta – per reati spazianti dalla rapina alla prostituzione –, veniva condannato a dodici anni di reclusione.

Liberato nel 1990, dopo aver scontato tre quarti della pena, Prigožin si reinventava imprenditore con l’aiuto del patrigno. I due aprirono una paninoteca ambulante, che, rivelandosi economicamente profittevole, avrebbe aiutato l’ex criminale a costruirsi una nuova immagine. Immagine che avrebbe spinto un ex compagno di scuola, Boris Spektor, a contattarlo per sollevare gli incassi della neonata catena di alimentari sanpietroburghese: Contrast.

Evidentemente portato per gli affari – perché Contrast, a partire dall’entrata di Prigožin, sperimentò un boom –, il criminale divenuto imprenditore sarebbe stato incluso da Spektor in nuovi progetti, sempre legali, come le case di gioco e i ristoranti. E questi ultimi, in particolare, avrebbero procurato al dinamico duo più successo degli altri progetti, contribuendo in maniera determinante ad “intrappolare” Prigožin nel ruolo di “chef”.

Negli anni successivi all’apertura del loro primo ristorante, l’Old Customs House di San Pietroburgo, i due avrebbero avuto l’idea della vita: una nave ristorante sulle sponde sanpietroburghesi della Vjatka. Idea della vita perché quel ristorante così lussuoso e sui generis, ribattezzato la “Nuova Isola”, divenne ben presto il luogo preferito di politici, grandi imprenditori, banchieri ed altri membri della classe alta dell’era Eltsin.

A partire dal 2001, anno in cui Prigožin ricevette l’ordine di preparare un catering maiestatico sulla Nuova Isola per Vladimir Putin e Jacques Chirac, sarebbe nato un legame con il Cremlino destinato a durare nel e a rafforzarsi con il tempo. A partire da quell’anno, da quel catering, Prigožin diventò lo chef di Putin.

Nel 2003, forte della fiducia ottenuta dal neopresidente grazie ai catering preparati sulla Nuova Isola per i grandi ospiti stranieri – tra i quali George W. Bush –, Prigožin decideva di dedicarsi allo sviluppo della propria catena di ristoranti, la Concord Catering, fino a quel momento bistrattata e messa in secondo piano. L’idea si rivelò proficua: la Concord Catering, una volta rivitalizzata, cominciò a vincere una serie di commesse governative per la fornitura di cibo in uffici governativi e scuole pubbliche.

L’affare della vita ebbe però luogo nel 2012, quando la Concord Catering ottenne un contratto da un miliardo e due milioni di dollari per supplire alle esigenze alimentari delle forze armate. Quel denaro avrebbe cambiato la vita di Prigožin e, al tempo stesso, aiutato lo stesso Cremlino. Prigožin, infatti, di lì a breve, avrebbe contribuito a fondare l’Internet Research Agency – la centrale elettrica delle guerre psicologiche e dell’informazione della Federazione russa – e a finanziare l’allargamento di quello che sarebbe diventato rapidamente l’esercito ombra di Mosca: il Gruppo Wagner.

Prigožin è stato il grande vecchio dietro all’espansione del Gruppo Wagner, cioè colui che, con il proprio denaro e il proprio acume per gli affari, ha trasformato un anonimo esercito di mercenari, privo di esperienze belliche in teatri esteri, nella principale armata parallela del Cremlino.

L’armata Wagner, difatti, a partire dall’entrata in scena di Prigožin, ha aiutato la patria in una grande varietà di contesti: in Siria, dove ha contribuito a salvare Bashar Assad, in Ucraina, dove ha concorso alla messa in sicurezza del Donbass, e in Libia, dove è stata fondamentale nel permettere alla Russia di ritagliarsi una sfera d’influenza. Ma è nell’Africa subsahariana che, più che altrove, Prigožin era riuscito ad estendere e ad approfondire l’impronta della Wagner, e dunque del Cremlino, conducendone i soldati, i consiglieri e gli addestratori dal Mali alla Repubblica centrafricana, ovverosia nel cuore della Françafrique.

Non erano state le attività paramilitari esperite nel mondo, comunque, a far sì che il mirino della Casa Bianca venisse posto su di lui; era stato il suo presunto coinvolgimento in quella campagna di guerre dell’informazione, psicologiche e cibernetiche avvenuta nel 2016, in occasione delle presidenziali più dibattute nella storia degli Stati Uniti – seconde per drammaticità soltanto a quelle del 2020.

Nel 2016, a causa del presunto ruolo giocato nel diffondere discordia e nell’alimentare la polarizzazione negli Stati Uniti attraverso i troll dell’Internet Research Agency, Prigožin veniva inserito nell’albo degli individui sanzionati dal Dipartimento del Tesoro. Una designazione che negli anni successivi era costata l’introduzione di sanzioni anche ad alcune delle società controllate da Prigožin, come la Concord Management and Consulting, l’Evro Polis Ltd, l’Autolex Transport, Beratex Group e Linburg Industries. Una designazione che nel febbraio 2021, agli albori dell’era Biden, aveva condotto il Federal Bureau of Investigation ad inserire lo chef di Putin nell’elenco dei ricercati.

Mai del tutto assente dal teatro ucraino, dove il Gruppo Wagner ha contribuito alla sicurezza delle repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk fin dal 2014, Prigožin era tornato sotto la luce dei riflettori all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio  2022.

Il 28 febbraio, a pochi giorni dall’inizio delle ostilità, il Times veniva a conoscenza di indiscrezioni inquietanti sul presunto ruolo giocato da questo personaggio nebuloso nel conflitto. Secondo il quotidiano britannico, Prigožin aveva sguinzagliato un piccolo esercito di mercenari, all’incirca quattrocento, per le strade di Kiev allo scopo di catturare e assassinare Volodymyr Zelenskij.

Secondo quanto appreso dal Times, i mercenari, naturalmente appartenenti al Gruppo Wagner, erano entrati in Ucraina tra inizio e metà gennaio, dunque dapprima dell’invasione, e sarebbero provenuti dall’Africa, continente nel quale l’agenzia è particolarmente attiva. La notizia, ad ogni modo, non ha mai trovato conferme.

Ma col proseguire della guerra in Ucraina qualcosa si era rotto tra lo Zar e il suo chef. Prigožin, a cavallo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, iniziò a lamentarsi sempre più frequentemente, e più violentemente, della gestione del conflitto del duo Putin-Shoigu. Chiedeva più munizioni, più libertà di manovra, più potere decisionale. Esasperato dalla mancanza di ascolto, percepita come un tentativo di estrometterlo, il 23 giugno 2023 sfidava clamorosamente Putin mettendosi a capo di una colonna di wagneriti in marcia su Mosca.

Da alcuni descritto come un ammutinamento, da altri come un tentativo di colpo di stato, il Wagnerazo aveva segnato la fine del lungo rapporto tra Putin e Prigožin. Che, dopo essere riparato prima in Bielorussia e poi in un teatro sconosciuto dell’Africa, ha trovato la morte la sera del 23 agosto 2023 sui cieli di Tver’. Volle essere Cesare. Ha avuto le due Idi di marzo.

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