Perché l’Europa è a favore dell’accordo sul nucleare iraniano

L’Europa, intesa sia come Unione europea sia come singoli Stati, ha da sempre sostenuto l’accordo sul nucleare con l’Iran.

Una scelta molto netta quella degli Stati del Vecchio Continente, che hanno dimostrato una coerenza quasi granitica. E che ha manifestato un’unità d’intenti non comune in un blocco così eterogeneo come quello europeo, dove le agende politiche dei diversi Stati sono profondamente distinte.

L’importanza del nostro continente nella stesura del  Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) è racchiusa già soltanto nei numeri. Francia, Germania e Regno Unito hanno tutte e tre partecipato all’accordo. Mentre l’Unione europea, pur nella sua evanescenza, ha dato un contributo essenziale.

La scelta di imporre anche la Germania nella definizione dell’accordo del 2015 mostra la netta volontà europea di raggiungere il risultato sperato.

Del resto, i legami storici dell’Europa con l’Iran sono sempre stati un volano fondamentale per la buona riuscita del trattato. E non va dimenticato che, se per gli Stati Uniti il governo iraniano è sempre stato considerato un avversario, questo non lo è stato né per l’Unione europea né per i singoli Stati membri, che considerano l’Iran un ottimo partner commerciale.

Prima François Hollande e dopo Emmanuel Macron hanno sempre voluto sia l’accordo che il suo mantenimento in vita. La Francia è stata da subito in prima linea nel rimuovere le sanzioni all’Iran, considerando i legami politici e storici che Parigi possiede con Teheran.

La logica francese è molto limpida: la rimozione delle sanzioni equivaleva all’ingresso in forze delle aziende francesi nel mercato iraniano. I contratti siglati dai francesi dopo la fine delle sanzioni sono stati esemplari: da Airbus alla Renault passando per la Total, la Francia è penetrata nell’industria iraniana prendendosi grandi quote di mercato. Settori strategici che servivano anche come contrappeso allo strapotere degli Stati arabi nel mercato francese.

In questo, ha saputo anche ritagliarsi un ruolo politico non indifferente. In particolare Macron, presidente che cerca un riconoscimento internazionale quale leader alternativo a Donald Trump  e Angela Merkel, considerava (e considera) il dossier Iran quale banco di prova fondamentale per il suo peso internazionale. Il viaggio alla Casa Bianca serviva proprio per convincere Trump a desistere, cercando anche di imporre nuove simboliche sanzioni e mostrandosi duro (a parole) nei confronti dell’asse sciita.

La Gran Bretagna non intrattiene rapporti idilliaci con l’Iran. L’alleanza atlantica con gli Stati Uniti pesa, oltre a evidente divergenze storiche dai tempi della rivoluzione islamica. Detto questo, anche il governo britannico si è sempre posizionato a favore del mantenimento dell’accordo sul nucleare iraniano.

Il governo di Londra si trova di fronte a una scelta difficile. E anzi, visti i recenti sommovimenti politici, sorprende per certi versi la coerenza di Theresa May e Boris Johnson riguardo al nucleare iraniano. L’amicizia con l’Arabia Saudita e l’alleanza con gli Stati Uniti, uniti a una contrapposizione ideologica con la Russia e il blocco eurasiatico, facevano credere a uno scivolamento del Regno Unito verso il blocco Usa.

Invece, nonostante tutto, il governo inglese ha mostrato una politica coerentemente a favore della sopravvivenza del 5+1. Probabilmente anche per evitare un distacco totale con la politica europea dopo la Brexit. Non solo quindi interessi economici, ma anche calcoli politici per evitare un totale scivolamento verso Ovest di Londra.

La Germania Ovest fu una delle prime potenze occidentali a promuovere l’apertura dei reattori nell’Iran dell’Aytaollah Khomeini. Le aziende tedesche furono essenziali nella nascita dei primi reattori iraniani e nella loro riattivazione, quando Khomeini cambiò idea sul programma atomico.

Negli anni, la Germania, diventando la potenza commerciale e industriale dell’Unione europea, ha spinto affinché l’Iran fosse svincolato dalle sanzioni economiche. Si trattava di un mercato importante le sue industrie. Ma anche un modo per entrare in una partita internazionale in cui poteva essere esclusa a causa della sua mancata presenza nel Consiglio di Sicurezza.

Il peso politico di Angela Merkel all’interno dell’Unione europea ha fatto il resto. La cancelliera ha voluto ad ogni modo occupare lo scranno del “+1” (escludendo un altro Paese europeo come poteva essere l’Italia). E in questo modo, ha fatto capire che Berlino contasse come potenza rappresentante dell’Ue.

Dall’elezione di Donald Trump, la Germania è divenuta l’obiettivo principale delle politiche americane in Europa. Per la Casa Bianca, la bilancia commerciale con la Germania è nettamente sfavorevole. E le sanzioni contro la Russia hanno colpito profondamente gli investimenti per il North Stream II. L’Iran è un nuovo banco di prova per la sfida tra Washington e Berlino. Anche per dimostrare che la Germania non è solo una potenza economica, ma anche politica.

“Questo accordo è tutto fuorché ideale, ma l’Iran è rimasto fedele ai suoi impegni, secondo tutte le informazioni che giungono delle autorità nucleari internazionali”. Questo è quanto sostenuto da Angela Merkel di fronte al Bundestag. E questo è il pensiero, in sintesi, del blocco europeo. Non un accordo ideale, ma una garanzia di stabilità e sicurezza.

A margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 25 settembre, Federica Mogherini annuncia una presa di posizione che rappresenta una delle prime vere sfide agli Stati Uniti sul fronte delle sanzioni. L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue ha dichiarato infatti di voler creare un’istituzione finanziaria che, insieme a Cina e Russia, permetta le transazioni economiche con Teheran evitando le sanzioni secondarie imposte da Trump.

La decisione di Bruxelles è il simbolo della sfida che l’Europa ha ingaggiato con l’America sulla questione Iran. Per l’Europa è essenziale continuare a commerciare con il Paese mediorientale e fare in modo che la crisi che avvolge l’Iran non vada a colpire la stabilità regionale.

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