Che cos’è lo Space Warfare e perché è così importante

Space Warfare. Con questo termine si indicano tutte le operazioni che avvengono al di fuori dell’atmosfera terrestre e che hanno come obiettivo i sistemi satellitari del nemico che possono venire ingaggiati da sistemi d’arma basati a terra o nello spazio.

Recentemente gli Stati Uniti hanno annunciato, per voce dello stesso  presidente Trump, di voler istituire una “Space Force” da aggiungere alle attuali Forze Armate americane.

Già presente in embrione nella National Defense Strategy dello scorso gennaio, dove si era posta enfasi sulla necessità di “investire prioritariamente nella resilienza, ricostituzione e in una serie di operazioni per assicurare il nostro potenziale spaziale” in risposta all’esigenza di “anticipare gli attacchi contro le nostre infrastrutture critiche di difesa, di governo ed economiche”, ora sembra che si siano gettate la basi per la sesta componente autonoma dell’apparato militare americano.

La mossa del nuovo esecutivo va oltre, infatti, quanto fin qui adottato oltre Atlantico. Già nel 2016 era stata creata la Smf (Space Mission Force): un reparto inquadrato nel 50esimo Space Wing di base a Schriver (Colorado) posto sotto il controllo diretto del Comando Spaziale (Afspc) con il compito di monitorare ed impiegare al meglio tutti i sistemi satellitari militari e di intraprendere azioni offensive e difensive volte a mantenere la supremazia americana in questo campo di battaglia.

Il provvedimento di Trump va anche oltre, e completa, l’istituzione degli “Space Corps” – prevista per il 1 gennaio 2019 – ovvero di un reparto che, così come i Marines sono dipendenti dall’Us Navy, sarebbe soggetto al Dipartimento dell’Air Force ma opera in modo indipendente con il compito di sovrintendere a tutti i programmi di acquisizione spaziale: dall’addestramento all’equipaggiamento passando per l’organizzazione.

Quando si tratta di spazio, ovvero di quella porzione di cielo il cui limite inferiore è compreso tra i 50 chilometri (limite superiore della stratosfera) ed i 100 chilometri (linea di Karman), viene da chiedersi se sia lecito militarizzare un territorio extra-nazionale dove gli asset tecnologici presenti sono rappresentati da satelliti per telecomunicazioni/sorveglianza e scientifici.

Dal 1967 è in vigore l’Ost (Outer Space Treaty), ovvero il trattato sullo spazio extra-atmosferico basato sulle risoluzioni dell’Onu risalenti al biennio 1962-63. Esso stabilisce i principi di riferimento dello spazio che si possono essenzialmente riassumere in tre punti fondamentali:

L’uso pacifico dello spazioLa libertà per ogni Paese di accedere ed utilizzare lo spazio poiché, così come i corpi celesti, non è soggetto a dichiarazioni di sovranità. L’impegno da parte degli Stati a non lanciare in orbita sistemi equipaggiati con armi nucleari o di distruzione di massa

La semplicità del trattato è anche il suo punto debole: non è chiaro, infatti, cosa si intenda esattamente per “uso pacifico” dello spazio e quali siano i comportamenti che possono violare questa definizione. Non viene altresì citata la proibizione dell’utilizzo di satelliti per scopi militari – purché non siano dotati di armi di distruzione di massa – come possono essere quelli di raccolta informazioni, sorveglianza, comunicazioni, navigazione.

Essendo poi nato nel 1967, la sola idea di armi antisatellite a microonde o laser – non rientranti nel campo delle Wmd – era confinata alla fantascienza e pertanto non presa in esame. A ben vedere l’Ost non vieta nemmeno l’utilizzo di armi antisatellite basate a terra di tipo tradizionale, come i missili Asat, oppure non vieta lo sviluppo di sistemi dalla natura duale come possono essere quei satelliti in grado di rifornire e riparare altri satelliti che possono essere rapidamente convertiti in sistemi atti a distruggere gli asset spaziali del nemico.

A febbraio del 2008 Cina e Russia presentarono una bozza di aggiornamento del trattato durante la Conferenza sul Disarmo. Tale documento aveva però alcune incongruenze considerate inaccettabili da parte degli Stati Uniti e dall’Unione Europea e pertanto venne respinto. Infatti la bozza non alterava il diritto all’autodifesa (pertanto in caso di necessità lo spazio poteva diventare teatro di operazioni militari), non proibiva lo sviluppo e test di sistemi antisatellite (riguardava solo quelli perennemente in orbita) e soprattutto non forniva mezzi concreti di verifica dell’attuazione dello stesso.

Fondamentalmente si trattava di una mossa di Mosca e Pechino per prendere tempo e colmare il gap tecnologico che le separava da Washington. Un provvedimento del genere, infatti, andava a colpire quei Paesi la cui ricerca era in fase più avanzata limitando il campo d’azione delle armi Asat a quelle basate a terra.

La militarizzazione dello spazio è quindi una realtà molto probabilmente da più di un decennio a questa parte nonostante sia formalmente – ma in modo alquanto aleatorio come abbiamo visto – proibita, ed oggi lo spazio rappresenta la quarta dimensione (oltre a terra, mare e aria) della dottrina strategica militare e pertanto diventa imprescindibile da qualsiasi tipo di formulazione in tal senso.

Dai satelliti dipendono molti aspetti della tecnologia militare e non solo. La navigazione (marittima e aerea), i missili guidati, i sistemi di allerta missili si basano su costellazioni di satelliti GPS o di sorveglianza. Gran parte dell’intelligence è ancora basata sui sistemi ottici ad altissima risoluzione montati su satelliti per non parlare delle comunicazioni sul campo di battaglia che vengono affidate a sistemi satellitari. Pertanto, anche grazie alle loro orbite facilmente prevedibili e difficilmente cambiabili in tempi brevi, rappresentano un facile bersaglio altamente pagante.

“La nostra intera economia globale e modo di vivere sono rese possibili dalle capacità spaziali” sono state le parole del colonnello Shawn Fairhurst, vice direttore dell’Air Force Space Command.

Si capisce quindi la preoccupazione del Pentagono e della Casa Bianca in merito agli ultimi ritrovati russi e cinesi che hanno colmato il gap tecnologico con l’Occidente in merito alle capacità di Space Warfare.

Già nel gennaio del 2007 la Cina ha dimostrato le sue capacità Asat distruggendo un suo vecchio satellite inattivo (il Fengyun-1C) colpendolo con un missile tipo KT-1 basato a terra. Un anno prima Washington dichiarò che un suo satellite era stato illuminato da un laser cinese terrestre a bassa potenza. Allo stesso modo la Russia ha rivelato recentemente di avere un nuovo laser montato su aereo in grado di distruggere/accecare i satelliti nemici che lavora con un innovativo complesso di controllo/tracciamento radar basato a terra fornito dalla Almaz-Antey. Un po’ quello che era il progetto americano Abl – poi cancellato – di un laser montato sulla versione militare del Boeing 747.

Le capacità antisatellite – o counterspace – russe e cinesi sembrano ormai pienamente in fase di sviluppo sebbene alcuni analisti occidentali siano più cauti in merito. Nonostante le parole di Viktor Bondarev – ex comandate delle Forze Aerospaziali Russe – dello scorso novembre in cui si faceva riferimento al fatto che “le guerra del futuro saranno combattute non solo in aria ma anche nello spazio” c’è chi ritene che la Russia sembri non avere ancora capacità antisatellite “su una scala sufficiente o capaci di raggiungere un’altitudine tale da porre in essere una minaccia critica agli assetti spaziali Usa”.

Brian Weeden, uno degli autori del report sullo Space Warfare della Secure World Foundation, affermava lo scorso aprile che “la cattiva notizia è che stiamo assistendo a allo sviluppo e test di sistemi antisatelliti come non si vedeva dai tempi della Guerra Fredda, la buona notizia, se così possiamo chiamarla, è che per il momento l’impiego operativo di questi sistemi è limitato a quelli di tipo non cinetico. Si sta sviluppando un’ampia gamma di tecnologie, da quelle cinetiche all’hacking passando per i jammer ma in ultima analisi solo queste ultime sembrano operative”.

Il Cremlino annuncia ripercussioni se Washington procederà nell’istituzione della Space Force proprio in forza del trattato Ost del 1967. Come ha detto sempre Bondarev “la militarizzazione dello spazio esterno è il cammino verso il disastro” e nel contempo “spera che l’élite politica americana abbia ancora rimasugli di razionalità e senso comune” avvisando che “se gli Stati Uniti si ritirano dal trattato del 1967 sul bando delle armi atomiche nello spazio, allora, di conseguenza, non solamente noi, ma anche altri Stati faranno seguire una dura risposta volta ad assicurare la sicurezza mondiale”.

Gli fa eco anche la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova. “Quello che rende la notizia allarmante è il proposito descritto in chiari termini di dominio spaziale”, sono state le parole della portavoce che ha aggiunto “in particolare la militarizzazione dello spazio, con il dispiegamento di armamenti, avrebbe effetti destabilizzanti sulla stabilità strategica e sulla sicurezza internazionale”.

Le dichiarazioni, che ricordano molto nei toni quelle della Guerra Fredda, potrebbero essere frutto di una reale preoccupazione russa non tanto per la sicurezza internazionale, ma per l’ulteriore sfida a cui verrebbe sottoposta Mosca in questa riedizione delle “Guerre Stellari” – la Strategic Defense Initiative degli anni ’80 – che, oggi come allora, potrebbe dare un colpo non indifferente alla fragile e idrocarburi-centrica economia russa.

Se da un lato il timore americano per le armi antisatellite/counterspace cinesi e russe ci sembra eccessivo da giustificare la creazione di una Space Force autonoma – con tutti i problemi che potrebbero scaturirne – dall’altro potrebbe essere una mossa della Casa Bianca per lanciare un’enorme sfida tecnologica ai propri avversari e provocarne un eventuale collasso garantendo così, ancora una volta, decenni di egemonia agli Stati Uniti.