Chi sono i siloviki

Indicati tout court come l’entourage di Putin, i siloviki fanno la loro comparsa nel sistema russo molto prima dell’ascesa al Cremlino del presidente. A volte indicati come “securocrati“, questi uomini lavorano o lavoravano per i silovye ministerstva, “i ministeri della forza”, quelli cioè che con i metodi forti reggono le sorti di Mosca. Al momento della successione al potere, che ha visto Putin ritrovarsi a guida della nazione, questi funzionari sono stati inseriti in ogni ramo del potere russo, sia in senso orizzontale che verticale.

Questi uomini potenti – quasi tutti nati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, hanno stabilito posizioni ancora più reazionarie del loro presidente, e sono in prima linea nella lotta contro presunti nemici in patria e all’estero. Delle 22 agenzie russe rette da siloviki, la più nota è il Servizio di sicurezza federale (Fsb), erede sostanziale del Kgb: a seguire, poi, altri direttori associati al Ministero dell’Interno, vari rami delle forze armate, la Procura dello Stato, i servizi di intelligence. Si tratta di persone con particolari tipi di addestramento e preparazione: la sociologa russa Olga Kryshtanovskaya è stata una delle prime esperte a definire per questo il regime di Putin una “militocrazia“, dominata da persone con precedenti nella polizia segreta, nell’esercito e negli organi delle forze dell’ordine.

Un siloviko lo è per la vita: lo si è dentro e fuori dal proprio incarico precedente, così come dopo la fine della propria vita lavorativa. Fra loro esistono precise gerarchie, ma anche profonde divisioni in fazioni: questo non significa che siano particolarmente proattivi, anzi. I siloviki difendono sostanzialmente lo status quo e, possibilmente, da dietro le quinte.

Il modello inaugurato da Putin, indicato ormai anche come Kgb-state, fornisce un importante strumento analitico per comprendere l’evoluzione del sistema russo. Le sue politiche hanno concentrato il potere l’esecutivo a spese dei rami legislativo e giudiziario del governo federale e dei capi regionali un tempo potenti. All’interno del Cremlino si ritiene che ci siano tre gruppi principali: i liberali, i tecnocrati e i siloviki. Quest’ultimi, tuttavia, pur essendo nati come punta dell’iceberg della militocrazia, possono anche non essere militari. Questo termine, infatti, ormai lo si utilizza anche per indicare  la rete informale di funzionari governativi e uomini d’affari, guidata dal gruppo che ruota attorno a uomini come Nikolai Patrushev e che condivide opinioni politiche simili, persegue un’agenda politica comune, cercando anche il controllo congiunto sulle attività economiche: del resto, i siloviki sono economicamente nazionalisti nonché fanatici di una restaurazione della grandezza russa. Al di là del loro aspetto politico ed economico da hardliners, da un punto di vista culturale sono nazionalisti, tendenzialmente xenofobi e spesso con tendenze antisemite, calcando la mano sugli elementi più conservatori all’interno della Chiesa ortodossa. Il gruppo promuove attivamente il ruolo della Chiesa nella vita pubblica e vorrebbe imporre restrizioni rigorose all’immigrazione.

I siloviki, dunque, non vanno confusi con ciò che genericamente viene indicato come “élite” o con gli oligarchi. Tuttavia, molti di loro hanno accumulato enormi ricchezze: alcuni di questi cosiddetti “silovarchi” sono ex Kgb, ufficiali dell’intelligence che erano stati a guardare il potere e la ricchezza degli oligarchi dell’era Eltsin ed hanno ottenuto entrambi sotto Putin. L’uomo ritenuto il leader informale dei siloviki è infatti Igor Sechin, ex agente, ora amministratore delegato del gigante petrolifero Rosneft, ampiamente considerato la seconda persona più potente in Russia nonché stretto consigliere di Putin.

Fin dall’inizio, il regime di siloviki è stato aggressivo. In un primo momento si è concentrato sulla distruzione attiva dei centri di indipendenza politica e civile russa. Dopo aver raggiunto questi obiettivi, il regime è divenuto bellicoso con l’esterno, oltre i confini della Russia: i casi di Ucraina (oggetto di propaganda politica e poi di aggressioni territoriali) e Georgia ne sono un esempio. Così come la rinnovata aggressività verso l’Occidente.

Un quarto dell’élite politica russa oggi è composto da siloviki, non necessariamente ex Kgb, il gruppo privilegiato. Sono solo quelli che lo ammettono pubblicamente, poiché non è nella natura di molti di loro rivelare ex identità, e i “buchi” nei loro curriculum parlano da sé. Se poi si prendono in considerazione gli affiliati non dichiaratisi pubblicamente, si arriva ad un buon 80% della Russia che conta. Uno di quelli che non ha mai fatto mistero del suo passato è invece Sergei Ivanov, oggi colpito dalle sanzioni come molti dei suoi pari.

La Camelot di Vladimir Putin è costituita da numerosi sodali, in cerchi via via concentrici. Il più popolare dopo il presidente russo è Sergej Shoigu, ministro della Difesa, spesso dato come prossimo leader russo. Medaglia di Eroe della Federazione Russa (come il suo rivale Chemezov) nonostante non sia mai stato un soldato, appare perennemente in uniforme. Shoigu ha iniziato la sua carriera all’inizio degli anni ’90 come capo del ministero delle Emergenze: viene spesso ritratto accanto al presidente anche in momenti di svago e in vacanza, il che equivale per molti ad una vera unzione. Nei giorni più duri seguiti all’invasione dell’Ucraina, accanto a lui c’è quasi sempre stato Valery Gerasimov, l’attuale Capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe. Un “ragazzo” forgiato dall’Armata Rossa: secondo il servizio di sicurezza dell’Ucraina, Gerasimov è stato il comandante generale di tutti gli elementi delle forze russe e anche dei ribelli filorussi durante la loro decisiva vittoria strategica nella battaglia di Ilovaisk nel 2014, nella quale furono uccisi oltre 1.000 soldati ucraini. Per questa ragione, dal 2014 è nel libro nero dell’Unione Europea. Mentre la politica estera russa spetta ufficialmente al ministro degli Esteri Sergey Lavrov, il vero processo decisionale è sempre più guidato da una piccola cerchia di ufficiali dell’intelligence e funzionari della Difesa con stretto accesso a Putin come Nikolai Patrushev, siloviko d’acciaio che ha servito come Direttore del Servizio di sicurezza federale russo. Indicato come possibile successore di Putin perché al centro di un piano dell’élite per assassinarlo, Aleksandr Bortnikov è Capo del Servizio federale per la sicurezza (Fsb): si ritiene abbia meno influenza su Putin di Patrushev o Naryshkin nonostante sia un siloviko a tutti gli effetti. Avvolta nel mistero è, invece, la figura di Sergei Naryshkin: depositario della storia russa è Capo dell’intelligence straniera (Svr) dal 2016, avrebbe servito al fianco del presidente presso il Kgb.