La dinastia saudita, per come il mondo la conosce oggi, è il “risultato” di secoli di storia, intrighi, battaglie e conquiste durate anni. Istituita dal sultano del Najd, Abd al-Aziz Al Sa ‘ud, governa dal 1926 il regno arabo saudita, nato dopo la vittoriosa annessione al sultanato del regno hascemita del Hijaz. La realtà saudita, da sempre, intreccia potere, politica e religione, ma soprattutto negli ultimi anni è stata il baricentro economico non solo dell’Asia occidentale (di cui fa parte), ma di tutto il mondo. Dietro ai Saud, che “prestano” il nome a una delle più influenti famiglie della contemporaneità, c’è la storia di un Paese, dei suoi nemici e dell’odierna Arabia Saudita, pedina fondamentale e composita dello scacchiere politico internazionale.
Le sue origini sono da collocare tra il 1446 e il 1447, quando il clan dei Mrudah si stabilì nella Penisola Arabica. Quello fu il primo fondamentale tassello a cui, però, seguirono la fondazione dell’Emirato di Dir ‘iyya nel 1774, del Najd nel 1818 e, infine, la fondazione del Regno dell’Arabia Saudita nel 1932. Ma per comprendere meglio la complessa struttura dello Stato contemporaneo è necessario partire dalle sue origini e soprattutto dai suoi antenati. Tutti appartenenti al clan dei Mrudah.
Il primo “antenato” della dinastia saudita di cui gli storici e gli esperti hanno informazioni certe è Mani ibn Rabi al-Muraydi, che si stabilì a Diriyya tra il 1446 e il 1447, con il suo clan, quello dei Mrudah. Secondo quanto riportato dalla tradizione, tutto iniziò quando Mani venne invitato da un parente (che governava una serie di villaggi nella zona che oggi corrisponde a Riad) a visitare l’area che la sua famiglia controllava. Ibn Dir diede a Mani le proprietà di al-Mulaybid e Ghusayba, in cui lo fece insediare con la sua famiglia. Mani, una volta stabilitosi in quella zona, chiamò la regione al Diriyya, in omaggio al parente benefattore, Ibn Dir. I Mrudah divennero quindi i sovrani di al-Diriyya, dominio che prosperò tra i corsi d’acqua nella Wadi Hanifa e che divenne un importante insediamento nel Najd (regione che, attualmente, si trova al centro dell’Arabia Saudita). E se all’inizio la spartizione del potere all’interno del clan risultava facilmente governabile, con la crescita della dinastia iniziarono a emergere le prime lotte per il potere. Così uno dei due rami della famiglia partì per Dhruma, mentre gli al Watban lasciarono la regione e si diressero nella città di al-Zubayr, nell’Iraq meridionale. La famiglia degli al-Muqrin (il cui nome derivava dallo shaykh Sa ‘ud ibn Muhammad ibn Muqrin, che morì nel 1725) , in seguito, divenne sovrana tra i Mrudah di Diriyya.
Il primo vero Stato saudita venne fondato ufficialmente nel 1774, durante un periodo di grandi cambiamenti storici e di conquiste (anche religiose). Alla sua massima estensione, l’Emirato di Dir ‘iyya comprendeva la maggior parte dell’attuale Arabia Saudita e si imponeva come un luogo di dominatori. Spinti da tanto potere, alleati, seguaci e sostenitori dei sauditi, in quel periodo storico, si resero protagonisti di incursioni nello Yemen, in Oman, in Siria e in Iraq. E se l’ascendente era forte sul piano politico e di conquista, anche la religione iniziò a giocare un ruolo decisivo in quell’area. Studiosi ed esperti di islam ritengono infatti che, nel periodo di espansione, Muhammad ibn Abd al-Wahhab, un arabo della tribù sedentaria dei Banu Tamim, e i suoi discendenti abbiano avuto un importante (e decisivo) ascendente sul governo saudita di quel periodo. Fu così che i sauditi e i loro alleati, che si riferivano a loro stessi come muwahhidun (parola che significa “monoteisti”), vennero definiti wahhabiti (dal nome del fondatore) e si riconobbero in un gruppo di musulmani sunniti particolarmente osservanti. Il wahhabismo, che si sviluppò come movimento di riforma religiosa all’interno della comunità islamica sunnita hanbalita, è stato per oltre due secoli il credo dominante nella Penisola Arabica ed è ancora una componente identitaria importante dell’Arabia Saudita. Nei fatti, da sempre, il wahhabismo costituisce una forma estremamente rigida di islam, che insiste su un’interpretazione quasi letterale del Corano. Intanto, comunque, il potere della dinastia Saud si consolidò senza particolari difficoltà e così, al primo imam, Muhammad ibn Sa ‘ud, succedette il figlio maggiore, ‘Abd al-Aziz Muhammad Sa ‘ud, nel 1765.
Nel 1802, ‘Abd al-Aziz Muhammad Sa ‘ud guidò un esercito di 10mila soldati wahhabiti nella città santa di Karbala, nell’odierno Iraq meridionale, dove nel 680 venne ucciso Hosein, nipote del profeta Maometto e una delle figure più importanti dell’islam sciita. In quella circostanza, i soldati di Sa ‘ud uccisero più di 2mila persone, saccheggiarono la città e demolirono l’imponente cupola dorata posta sulla tomba di Hosein. Da quel luogo, i sauditi portarono via di tutto: oggetti preziosi, gioielli, armi, monete e altri beni di valore. L’attacco di Karbala, che non si risolse soltanto in una comune questione bellica, ebbe una risonanza religiosa determinante e convinse egiziani e ottomani a ritenere i sauditi una minaccia alla pace della regione. ‘Abd al-Aziz venne ucciso nel 1803, secondo alcuni da uno sciita che cercava vendetta per quanto accaduto a Karbala l’anno prima, e a lui succedette il figlio Sa ‘ud. E fu proprio con quest’ultimo che lo Stato saudita raggiunse la sua massima estensione storica. Quando Sa ‘ud morì nel 1814, il suo successore, ‘Abd Allah, si trovò costretto ad affrontare l’invasione ottomano-egiziana, lanciata con lo scopo di recuperare il territorio ottomano perduto in precedenza. ‘Abd Allah venne sconfitto e fatto prigioniero dalle truppe egiziane, che in seguito presero anche la capitale Dir ‘iyya, nel 1818. L’Emirato di Dir ‘iyya finì con la sua decapitazione da parte degli ottomani a Istanbul e la distruzione egiziana della capitale Dir ‘iyya. Alcuni membri del clan saudita vennero poi mandati dagli egiziani nell’attuale Turchia e in Egitto.
Alcuni anni dopo la caduta di Dir ‘iyya, nonostante le esecuzioni e gli arresti, i sauditi riuscirono a ristabilire la loro autorità nella regione del Najd, fondando l’Emirato del Najd, con capitale Riad. Quello fu ufficialmente il secondo Stato saudita. Rispetto all’Emirato di Dir ‘iyya, l’espansione territoriale del Najd fu sicuramente più ridotta (non ci fu la riconquista di Hegiaz o di Asir, per esempio) e un’altra differenza sostanziale fu un’osservanza certamente minore del credo religioso, nonostante i governanti sauditi continuassero a utilizzare il titolo di imam e ad avvalersi di studiosi salafiti per l’interpretazione del testo sacro. A segnare il lungo regno furono anche diverse tensioni interne alla famiglia saudita, che provocarono la caduta della dinastia. E così dopo alcuni conflitti e una guerra civile, il primo a tentare di riprendere il potere dopo la caduta di Dir ‘iyya fu Mishari ibn Sa ‘ud, fratello dell’ultimo sovrano della capitale.
Nel 1824, Turki ‘Abd Allah, un saudita che riuscì a evitare la cattura da parte degli egiziani, riuscì a espellere questi ultimi e i loro alleati locali da Riad. Grazie a quel gesto, Turki, nipote del primo imam saudita, Muhammad ibn Sa ‘ud, iniziò a essere considerato ifondatore della seconda dinastia saudita e, in base alle analisi degli studiosi, sarebbe il vero antenato dei sovrani sauditi attuali. Fece di Riad la capitale e decise di accogliere lì molti parenti fuggiti dalla prigionia in Egitto, compreso suo figlio Faysal. Turki venne ucciso nel 1834 da un lontano cugino, Mihari ibn ‘Abd al-Rahman, che fu condannato a morte da Faysal, il quale alla morte del padre divenne il più importante sovrano saudita del secondo regno. A quattro anni dalla sua nomina, Faysal affrontò una seconda invasione del Najd da parte degli egiziani. Ma in quella circostanza, la popolazione locale non reagì, né resistette e Faysal venne sconfitto e fatto prigioniero in Egitto nel 1838.
Dopo l’allontanamento di Faysal, gli egiziani fecero diventare sovrano di Riad Khalid ibn Sa ‘ud, sostenendolo con il loro apparato militare. Questi era sì l’ultimo fratello ancora in vita dell’ultimo imam del primo Stato saudita, ma aveva anche passato diverso tempo alla corte egiziana. Nel 1840, l’avvio di nuovi conflitti esterni costrinse gli egiziani a ritirarsi completamente dalla Penisola Arabica, lasciando Khalid ibn Sa ‘ud solo e poco supportato. Percepito come un governatore a tutti gli effetti egiziano e solo ufficialmente saudita, fu spodestato poco tempo dopo da ‘Abd Allah ibn Thumiyyan, del ramo familiare degli Al Thuniyyan. Faysal, liberato nello stesso periodo, riuscì a riprendersi Riad, ad assumere il controllo della zona e a designare suo figlio ‘Abd Allah come principe ereditario, anche se divise i suoi domini tra tutti suoi eredi: ‘Abd Allah, Sa ‘ud e Muhammad. Alla morte di Faysal, nel 1865, ‘Abd Allah assunse il governo di Riad, ma il fratello Sa ‘ud lo sfidò. Un’altra guerra civile insanguinò lo Stato e la sovranità della città passò da un fratello all’altro. Tuttavia, in precedenza, un vassallo dei sauditi che apparteneva alla famiglia Al Rashid, colse nella crisi familiare l’opportunità di inserirsi e di intervenire nel conflitto, accrescendo così il proprio potere. Ibn Rashid, poco alla volta, estese la propria autorità su tutta la regione del Najd, inclusa la capitale Riad, ed espulse l’ultimo leader saudita, dopo la battaglia di Mulayda nel 1891.
Dopo la sconfitta a Mulayda, ‘Abd al-Rahman ibn Faysal fu costretto all’esilio con la sua famiglia, nel deserto dellArabia orientale, tra gli appartenenti alla comunità beduina di al-Murra, e in seguito si rifugiò in Kuwait, ospite dell’emiro Mubarak al Sabah. Nel 1902, suo figlio, ‘Abd al-Aziz si impegnò a ripristinare la sovranità saudita a Riad. Sostenuto da una decina di seguaci e accompagnato da altri membri della sua cerchia familiare, ‘Abd al-Aziz riuscì a impossessarsi del forte Masmak e a uccidere il governatore nominato da Ibn Rashid. Secondo quanto riporta il racconto, ‘Abd al-Aziz, soltanto con una manciata di soldati, riuscì a prendere il palazzo e venne immediatamente proclamato sovrano di Riad e come nuovo capo della dinastia saudita, ‘Abd al-Aziz divenne allora Ibn Sa ‘ud.

Nei trent’anni successivi provò a ristabilire la sovranità della sua famiglia nella Penisola Araba, iniziando dalla regione del Najd (dalla quale proveniva il clan). Tra i suoi principali rivali c’erano, ovviamente, il clan al Rashid ad Hali (al quale, di fatto, aveva sottratto la sovranità), lo sharif della Mecca in Hijaz, i turchi ottomani ad al-Hasa e il ramo “Sa ‘al-Kabir” della famiglia, cioè i discendenti di Sa ‘ud ibn Faysal, zio di Ibn Sa ‘ud ormai scomparso, i quali si definivano i legittimi eredi al trono. Per un po’, Ibn Sa ‘ud riconobbe la sovranità dei sultani ottomani, ma scelse infine di schierarsi contro di loro, al fianco dei britannici. Con il trattato di Darin, che venne firmato nel 1915, i territori di Ibn Sa ‘ud diventarono ufficialmente un protettorato britannico (e li rimasero fino al 1927). ‘Abd al-Aziz conquistò il Najd nel 1922 e l’Hijaz nel 1925. E da sultano del Najd diventò prima re del Hijaz e Najd e poi, nel 1932, si autoproclamò re del Regno dell’Arabia Saudita. Negli anni successivi, una serie di importanti scoperte, svelarono le potenzialità di quei territori. Nel 1937, per esempio, vicino a Dammam, alcuni periti americani scoprirono l’enorme riserva petrolifera che, negli anni a seguire, avrebbe fatto la fortuna del Paese. Intanto, Ibn Sa ‘ud, che si sposò e divorziò diverse volte, ebbe 12 figli ed entrò a far parte di diversi clan e tribù del suo territorio (tra cui le tribù Banu Khalid, Ajman, Shammar e al-Shaykh, discendenti di Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab). Scelse di indicare il suo figlio maggiore, Sa ‘ud, come suo possibile erede, a cui sarebbe dovuto succedergli Faysal. La famiglia saudita venne riconosciuta a tutti gli effetti come una famiglia reale e ogni suo membro, maschio o femmina che fosse, venne insignito del titolo di amir e amira (in arabo, principe e principessa). Nel 1945, Ibn Sa ‘ud volle consolidare la sua alleanza con gli Stati Uniti, legame che ha retto per tutto il Novecento. Morì nel 1953 ed è tuttora celebrato ufficialmente come il padre fondatore dello Stato. La data della riconquista di Riad, nel 1902, venne scelta per celebrare il centenario dell’Arabia Saudita. Oggi, soltanto i suoi discendenti possono prendere il titolo di altezza reale.
Alla morte di Ibn Sa ‘ud, il figlio Sa ‘ud salì al trono senza troppe difficoltà, ma la sua gestione economica della casa reale portò a una lotta interna per il potere con il nuovo principe ereditario Faysal. Così, nel 1964, la famiglia reale, aiutata da un responso giuridico del gran mufti del Paese, obbligò Sa ‘ud ad abdicare in suo favore. Nello stesso periodo, alcuni dei figli più giovani di Ibn Sa ‘ud scelsero di abbandonare la famiglia ed entrare in Egitto con l’appellativo di “principi liberi”. Faysal li convinse a tornare indietro, ma la scelta di lasciare il Paese li escluse da futuri ruoli di governo. Il sovrano morì assassinato nel 1975, per mano del nipote Faysal ibn Musa ‘id (che venne giustiziato subito dopo) e salì al trono Khalid, un altro fratello (anche se il principe designato sarebbe stato Muhammad, che però rinunciò), che però morì per un attacco di cuore nel 1982. Gli successe Fahd, il più vecchio dei potenti “sette Sudayri“, chiamati in questo modo perché figli di Ibn Sa ‘ud e Hassa al-Sudayri. Nel 1986, Fahd decise di eliminare il precedente trattamento reale di “sua Maestà” e lo sostituì con il “Custode delle Due Sacre Moschee“, in riferimento alle città sante sunnite della Mecca e di Medina. Nel 1995, Fahd ebbe un infarto che lo rese fisicamente disabile e il principe ereditario, ‘Abd Allah, gradualmente, assunse molte delle responsabilità del re, fino alla sua morte, che avvenne nell’agosto del 2005. ‘Abd Allah venne proclamato sovrano nel giorno del decesso del padre e subito nominò suo fratello più giovane, Sultan bin ‘Abd al-‘Aziz, che era ministro della Difesa e secondo vice primo ministro, come nuovo successore. Il 27 marzo del 2009, ‘Abd Allah nominò il principe Nayef ministro degli Interni, secondo vice primo ministro e, infine, principe ereditario il 17 ottobre del 2011. Sultan morì nello stesso periodo, mentre Nayef terminò la sua vita a Ginevra, in Svizzera, il 15 giugno del 2012. Il 23 gennaio 2015, ‘Abd Allah, dopo nove anni di regno, si spense a causa di una lunga malattia. Così, il principe ereditario Salman bin ‘Abd al-Aziz al Sa ‘ud fu proclamato nuovo re. È attualmente il sovrano del Paese ed è di tendenza conservatrice. Per quanto più restio al cambiamento sociale e alle riforme politiche, è previsto che il re continui sul sentiero tracciato dal suo predecessore, che teneva alla modernizzazione, ma che supervisionò un regime criticato per lo scarso rispetto dei diritti umani. Il 21 giugno 2017, il sovrano ha nominato suo figlio, il 35enne Mohammad bin Salman al Sa ‘ud, erede apparente e, come principe ereditario, è il primo nella linea di successione al trono.
Il re dell’Arabia Saudita è, a tutti gli effetti, il capo di Stato del Paese e il monarca del regno, ma è anche e soprattutto il capo della famiglia saudita. I monarchi che, nel tempo, si sono succeduti dopo la morte del fondatore sono tutti suoi figli, in ottemperanza alla legge araba, la quale prevede che alla successione di un’istituzione sia chiamato il componente più anziano della famiglia. Lo decide un’assemblea del nucleo, che sceglie l’erede dalla generazione del predecessore o da quella immediatamente successiva, privilegiando non tanto e non sempre il figlio di un sovrano deceduto, quanto il più anziano membro della famiglia. A differenza delle famiglie reali occidentali, la monarchia saudita non ha un ordine di successione ben definito. Tuttavia, una volta diventato re, il sovrano designa il proprio erede al trono (che diventa quindi il principe ereditario del regno). Alla morte del re, quest’ultimo dovrebbe prendere il suo posto e in caso di assenza di poteri del monarca è sempre lui ad assumerne le facoltà. In ogni caso, il re detiene un potere politico quasi assoluto e nomina i ministri del suo ufficio. I dicasteri decisivi sono, da sempre, la Difesa, gli Interni, gli Esteri e quasi tutti i 13 posti di governatore regionale sono riservati agli al Saud. In genere, la maggior parte dei portafogli, come quello per le Finanza, il Lavoro, l’Informazione, le Pianificazioni, gli Affari petroliferi e l’Industria vengono affidati a cittadini comuni, affiancati da vice appartenenti alla dinastia. La famiglia al Saud detiene anche la maggior parte delle cariche più importanti (militari e governative), anche se il supporto degli ulama, cioè i teologi islamici più importanti, e di parte della popolazione risultano fondamentali per il mantenimento e la gestione del potere. Le varie cariche di governo di lunga durata hanno tramandato la creazione di veri e propri feudi dove i principi più anziani hanno mescolato le loro ricchezze private con quelle dei rispettivi domini, intrecciando ancora di più politica e dinastia.
Considerata a capo di un governo autoritario e teocratico, l’attuale dinastia saudita è stata spesso oggetto di molte critiche per il trattamento della dissidenza e lo scarso rispetto dei diritti umani. Gli oppositori dei Saud hanno spesso definito la monarchia un sistema di governo dittatoriale e totalitario. Ed è vero che, negli anni, diverse forme di resistenza si sono opposte alla gestione autoritaria dei Saud e la risposta della famiglia reale è stata oggetto di critiche internazionali. Il 20 novembre del 1973, per esempio, il santuario alla Mecca venne occupato da 500 dissidenti armati (in particolare uomini della tribù Ikhwan degli Otayba), compresi alcuni egiziani che frequentavano l’università islamica di Medina. L’occupazione venne guidata da Juhayman al-Otaybi e ‘Abd Allah al-Qahtani, i quali denunciavano la corruzione e l’immoralità del governo saudita (“colpevole” della sua modernizzazione socio-tecnologica e di vendere il petrolio all’America). Il gesto ebbe poco seguito al di fuori del gruppo che inscenò la protesta e la famiglia saudita si rivolse agli ulama per risolvere la questione. I religiosi decisero di emettere una fatwa, che autorizzava l’assalto al santuario da parte delle forze armate saudite, aiutate da soldati francesi e pachistani, che impiegarono due settimane per far uscire i ribelli dal luogo sacro. In quella circostanza, tutti i sopravvissuti, compreso al-Otaybi, vennero condannati alla pena capitale e decapitati pubblicamente.

Attualmente, non sembrano del tutto chiare le modalità con cui sono trattati gli oppositori politici. Rimane, infatti, ancora un parzialmente un mistero, la fine del giornalista del Washington post e dissidente saudita, Jamal Khashoggi, ucciso e fatto sparire in Turchia nell’autunno del 2018, mentre si trovava all’interno dell’ambasciata del regno.
Secondo quanto riportato da un articolo dell’agosto del 2019 del Corriere della sera, quella di re Salman risulta essere una delle famiglie più ricche del mondo. E non è corretto ridurre il motivo di tanta ricchezza soltanto alle vaste riserve di petrolio (che fruttano una fortuna stimata in 100 miliardi di dollari): molte delle persone appartenenti a questo nucleo familiare, negli anni, hanno accumulato beni e fortune attraverso l’intermediazione di contratti governativi e fondiari e creando imprese che servono, per esempio, aziende statali. Soltanto il principe ereditario, infatti, controlla personalmente beni per oltre un miliardo di dollari.