È stato il primo a fare la pace con i palestinesi e al suo nome corrisponde una figura politica di spessore, importante e altisonante. Perché Shimon Peres è stato tra i più rilevanti leader politici della storia contemporanea. In Israele è stato l’unico (e finora l’ultimo) leader ad adottare un atteggiamento apertamente ottimista e favorevole al dialogo con la Palestina. E quel dialogo, confluito negli accordi di Oslo del 1994, lo ha portato a essere insignito anche del più importante riconoscimento mondiale: il premio Nobel per la pace. Peres, nella vita, ha ricoperto praticamente tutte le cariche che contano nello Stato ebraico. Due volte primo ministro, a lungo è stato anche a capo del ministero degli Esteri e, infine, un amato presidente della Repubblica.
Riconosciuto per essere stato una guida fondamentale del partito laburista israeliano, con cui, però, non vinse mai nemmeno un’elezione, nel 2005 scelse di unirsi a Kadima, l’esperimento politico voluto da Ariel Sharon, che costituiva la prima vera realtà centrista della politica israeliana. L’esperienza di Peres, però, non è stata però costellata unicamente da successi, ma anche da episodi piuttosto controversi, che hanno fatto di lui un leader carismatico ma non un trascinatore. Nonostante tutto.
Per un certo periodo di tempo, la sua immagine è stata “offuscata” da quella di Yitzhak Rabin, anche se il nome di Peres è sempre riuscito emanciparsi per diverse e svariate ragioni. Associato anche a quella che viene definita dagli analisti la “polizza sulla vita” di Israele, ovvero la centrale nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, ancora attiva e considerata il deposito delle armi nucleare dello Stato ebraico (definizione mai confermata dai vertici del governo israeliano), la vita personale di Peres ha letteralmente abbracciato Israele, fino al momento della sua morte.
Shimon Peres nacque il 2 agosto del 1923 a Visneva, una piccola località a quel tempo polacca ma che oggi appartiene alla Bielorussia. Il padre Yitzhak era un commerciante di legname, mentre la madre Sara gestiva una libreria. Il primo a emigrare nel Mandato britannico della Palestina fu il padre, nel 1932. La famiglia lo seguì due anni dopo, nel 1934, quando i Peres si insediarono definitivamente a Tel Aviv, la prima città fondata dagli ebrei in Palestina, simbolo di emancipazione e prima vera “patria” unicamente ebraica dal resto del mondo. I Peres, con il loro trasferimento cinque anni prima dell’occupazione nazista della Polonia, riuscirono a evitare le persecuzioni che di lì a poco avrebbero sconvolto la comunità ebraica europea.
Il giovane Peres si formò alla celebre scuola agraria di Ben Shemen, un vero punto di riferimento per tanti giovani ebrei. Lì Peres incontrò la sua sposa, Sonya Gelman, figlia di un docente dell’istituto, fatto che lo legò ancora di più a quell’istituzione. La scuola, fondata dal medico tedesco Siegfried Lehman, rappresentava infatti la prima realtà ebraica capace di una convivenza pacifica con i suoi vicini arabi. Basato su un principio di collaborazione, il villaggio della gioventù dove studiò Peres venne fondato nel 1927 e il suo scopo, fin dalla sua nascita, fu quello di dotare i bambini di un’etica, insegnando loro a lavorare la terra e abituandoli alle responsabilità. Durante il conflitto arabo-israeliano del 1948, il villaggio fu assediato dalla legione araba e in quella circostanza persero la vita undici persone, che tentavano di portare dei rifornimenti alla struttura (che esiste ancora e che conta oggi centinaia di studenti).
Terminati gli studi, Peres trascorse diversi anni nel kibbutz Geva e in quello di Alumot, di cui fu uno dei fondatori. Lì, Levi Eshkol lo inserì tra gli organizzatori del movimento giovanile laburista Hanoar Haoved e nel 1943 ne divenne segretario. Tre anni dopo, nel 1946, incontrò per la prima volta David Ben Gurion, esperienza che rappresentò una specie di spartiacque nella sua vita. Nel 1947 fu arruolato nell’Haganah, l’esercito israeliano, esattamente come Ariel Sharon. Lo scelse personalmente Ben Gurion, il quale lo nominò responsabile per il personale e l’acquisto delle armi. La sua carriera fece un balzo in avanti quando, l’anno dopo, divenne capo della marina e, al termine della guerra del 1948, direttore della delegazione del ministero della Difesa negli Stati Uniti, dove gli si aprirono anche le porte di Harvard. Nel 1953 arrivò la nomina a direttore generale del dicastero della Difesa e questa volta venne incaricato dell’acquisto delle armi per il neonato Stato ebraico. I suoi successi militari lo convinsero a implementare l’industria bellica israeliana, in cui Peres riuscì ad affermarsi trattando con i francesi per dei caccia e un reattore nucleare (quello di Dimona).
Negli anni Cinquanta, Peres non era soltanto un direttore generale piuttosto influente del ministero della Difesa, ma anche una figura determinante nonostante la sua giovane età. Come riportato da Il Post, che cita lo storico israeliano Avner Cohen, esperto della storia nucleare di Israele, Peres fu responsabile di un gruppo del dicastero che faceva capo direttamente al primo ministro Ben Gurion e che aveva come compito quello di sovrintendere alla costruzione del reattore di Dimona, trattando con la Francia. Secondo quanto ricostruito dal giornalista israeliano Richard Silverstein, il giovane Peres riuscì nell’intento di trattare con i francesi appellandosi a un espediente temporale: quando arrivò a Parigi per concludere l’accordo per l’avvio dei lavori per la centrale (edificata in seguito con l’ausilio e le conoscenze tecniche francesi), Peres scoprì che l’esecutivo era appena caduto, tuttavia riuscì a convincere l’allora primo ministro francese a retrodatare l’accordo, consentendo così la prosecuzione dei lavori.
Nel 1959 fu eletto per la prima volta alla Knesset, il parlamento israeliano, come membro del partito Mapai e fino al 1965 lavorò al ministero della Difesa. Lasciò la formazione politica di Ben Gurion per formare il Rafi, che poi si riconciliò con il Mapai nel 1968, quando lo storico leader non c’era più. La fusione portò alla nascita del partito laburista israeliano e alla fine degli anni Sessanta Peres ricoprì diverse cariche ministeriali (compreso quello dei Trasporti e delle Comunicazioni). Dopo che Golda Meir si dimise da primo ministro nel 1974 a causa delle conseguenze della guerra dello Yom Kippur, Peres ebbe una prima possibilità di candidarsi a premier. Se non fosse stato per Rabin, collega di partito ed eterno avversario interno nella leadership della formazione laburista (e del governo). Quella fu la prima sconfitta di Peres contro l’alleato di partito e in quella circostanza, sconfitto alle urne, ottenne comunque la carica di ministro della Difesa nel governo Rabin, rimpiazzando Moshe Dayan, dopo un breve periodo a capo del dicastero dell’Informazione. Ma nonostante tutto, il rapporto tra i due politici laburisti rimase sempre piuttosto teso.
Nonostante la sua educazione alla scuola Ben Shemen, improntata al dialogo con i palestinesi, all’inizio della sua carriera politica, Peres si dimostrò piuttosto diffidente nei confronti dei vicini arabi di Israele. Negli anni Settanta, infatti, non aveva problemi a definirsi contrario a ogni tipo di compromesso con i palestinesi e la sua opinione in merito cambiò dopo la visita dell’allora presidente egiziano, Anwar Sadat, a Gerusalemme, che portò alla sottoscrizione del primo trattato di pace nella storia di Israele con uno stato arabo, l’Egitto, nel 1979. Riscoperte le sue doti diplomatiche, da quel momento, Peres fu uno dei più attivi sostenitori della pace con i palestinesi e fu tra i fautori del concetto di “Good Fence”, promuovendo il miglioramento dei rapporti con i residenti del sud del Libano.
Nel 1977 ottenne, per la prima volta, la carica di primo ministro ad interim per un breve periodo, dopo le dimissioni di Rabin subito dopo lo scandalo che aveva coinvolto la moglie Leah, accusata di mantenere un conto bancario all’estero, in violazione alle regole monetarie vigenti in Israele in quel periodo. Ottenuta quindi l’effettiva guida del partito e di governo per ragioni politiche, Peres non venne mai confermato alle urne e nel 1977 subì un’altra sconfitta elettorale. Che fu roboante per una ragione molto semplice: quella fu la prima volta in cui il partito laburista israeliano perdeva il suo potere dalla nascita dello Stato ebraico. All’inizio del 1981, Israele iniziò a soffrire di un’inflazione incontrollata, causata dalla guerra in Libano, fortemente voluta da Sharon. E alle elezioni del 1984, Peres divenne finalmente premier ma, nonostante la maggioranza dei voti, questa volta a causa della grave situazione economica in cui versava il Paese, si costituì una coalizione di governo formata dal partito laburista, dal partito avversario Likud di Yitzhak Shamir e da altre movimenti minori. Peres, che dovette dividere la carica con i suoi avversari, rimase al potere fino al 1986 e fu percepito, a lungo, come l’unico e maggiore responsabile dell’andamento dell’inflazione, che crollò in breve tempo. Nello stesso anno, dopo aver lasciato la carica di premier, divenne ministro degli Esteri prima e delle Finanze poi, nel 1988. Dopo svariati tentativi di imporsi nel panorama politico con il suo partito e alcune piccole formazioni di sinistra, negli anni Novanta iniziò a guidare l’opposizione alla Knesset.
Nel 1992, ancora una volta, Rabin riuscì a sconfiggere Peres alle primarie del partito laburista, tornando a ricoprire la carica di primo ministro. E a Peres toccò, ancora una volta, il dicastero degli Esteri. Come era accaduto anni prima, nel 1995 Peres successe a Rabin, ma questa volta dopo il suo assassinio. Ma uno degli aspetti più interessanti della vita del leader israeliano si concentra nel 1994, anno degli accordi di Oslo e del premio Nobel per la Pace (che gli fu assegnato insieme a Rabin e a Yasser Arafat), momento in cui il leader raggiunse l’apice della sua storia personale e politica.
All’inizio degli anni Novanta, la questione arabo-israeliana versava in una situazione piuttosto critica. Israele occupava militarmente la Cisgiordania e la Striscia di Gaza dal 1967, cioè dalla fine della Guerra dei sei giorni (azione in cui lo Stato ebraico riuscì a dimostrare la sua superiorità bellica) e negli anni Ottanta, dopo il conflitto in Libano, Israele intensificò ancora di più la propria presenza attraverso la costruzione di altri insediamenti. Dal 1983, in particolare, l’occupazione israeliana incontrò diverse forme di resistenza da parte dei palestinesi. Si trattava di una guerriglia sicuramente rudimentale, fatta di pietre e bastoni, ma che culminò, sul finire del 1987, con la prima intifada. L’esercito israeliano reagì con la forza e per fermare le proteste scelse di utilizzare le armi. L’occupazione, unita a tre circa tre anni di guerriglia, divenne piuttosto impopolare agli occhi dell’opinione pubblica israeliana, che chiedeva un disimpegno militare e un percorso pacifico per venire a capo a una questione molto complessa, che provocava incertezza e instabilità. Peres, che in quel momento ricopriva la carica di ministro degli Esteri del governo Rabin, decise quindi di interloquire con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, che aveva come obiettivo l’emancipazione del popolo palestinese ed era guidata da Arafat. La decisione di Peres risultò un’operazione audace, anche perché all’interno dell’Olp militavano gruppi che, almeno allora, molti consideravano ancora terroristi (come Fatah, che negli anni abbandonò la lotta armata e si distaccò dalle posizioni più radicali). Tuttavia, secondo l’intuizione del leader israeliano, l’Olp rappresentava anche il soggetto più credibile tra tutti i movimenti palestinesi, anche perché molti dei suoi membri erano dei laici e si opponevano ai gruppi di ispirazione islamica.
Peres proseguì per la sua strada e per diversi mesi, in segreto, incontrò i rappresentanti dell’Olp, con l’aiuto di diplomatici e intellettuali norvegesi, nella convinzione che loro fossero davvero gli unici interlocutori di cui fidarsi e con i quali costruire un vero cammino pacifico. Come ricostruito in un articolo pubblicato sul Jerusalem Post, Rabin all’inizio non si mostrò del tutto convinto dell’affidabilità degli interlocutori palestinesi. Sulla stessa posizione erano anche gli israeliani che occupavano quelle aree, che consideravano Arafat il soggetto che avrebbe potuto acuire il conflitto tra le parti e non rappresentare una soluzione.Tuttavia l’accordo si fece e il 13 settembre del 1993, durante la cerimonia per il festeggiamento del patto, che firmò Peres e non Rabin, come riportato dal New York Times, il leader israeliano disse, rivolgendosi ai cittadini palestinesi: “Siamo sinceri. Vogliamo fare sul serio. Non vogliamo interferire con le vostre vite o determinare la vostra sorte. Trasformiamo i nostri proiettili in schede elettorali, le pistole in badili”.
Quel patto fu il primo a riconoscere la sovranità territoriale ai palestinesi su una certa area e per il suo impegno Peres fu insignito del Nobel per la pace, appunto. L’accordo non venne mai superato, nonostante fosse considerato soltanto un piano di transizione, ma tuttora è ritenuto fra i negoziati internazionali più importanti e riusciti del secondo Novecento.

Nella vita, Peres non rinnegò mai quegli accordi, anche dopo l’inizio della seconda intifada, anche se sostenne la politica di Sharon di utilizzare le forze armate per contrastare gli atti di guerriglia e contenere le azioni dei kamikaze. Per tutta la vita, Peres mantenne una posizione molto aperta nei confronti dei palestinesi e in un’intervista a Time pubblicata nel 2016, definì il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, “un uomo straordinario che vuole davvero trattare per la pace”.
L’11 aprile del 1996, come primo ministro, Peres autorizzò un massiccio attacco aereo, conosciuto come “Operazione grappoli d’ira“, come rappresaglia per il lancio di alcuni razzi Katyusha in territorio israeliano sparati dai miliziani di Hezbollah, dopo l’uccisione di due militanti da parte dell’esercito dello Stato ebraico. Il 18 aprile, l’aeronautica israeliana colpì una base delle Nazioni Unite, dove si erano rifugiati circa 800 civili. In quella circostanza persero la vita 102 persone e ne furono ferite 120 e l’avvenimento prese il nome di “Strage di Cana“. Alle prime elezioni dirette, Peres venne sconfitto da Benjamin Netanyahu nello stesso anno. Finendo all’opposizione, Peres ritrovò il prestigio perduto, soprattutto tra negli ambienti diplomatici e agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Nel 1997 decise di non presentarsi all’appuntamento elettorale per la guida del partito laburista e venne sostituito da Ehud Barak, il quale si oppose al suo tentativo di ricoprire la carica di presidente del movimento e, nel formare il nuovo governo del 1999, gli assegnò il ruolo di ministro di Sviluppo regionale. Ma ciò che politicamente lo ferì fu il rifiuto, nel 2000, da parte della Knesset di eleggerlo presidente della Repubblica.
Quando Sharon sconfisse i labursiti di Barak nelle elezioni del 2001, Peres tornò sulla scena politica, sostituendo il leader a capo del partito. Che, in effetti, guidò nel governo di unità nazionale con il Likud di Sharon, assicurandosi (ancora) la carica di ministro degli Esteri. Criticato dall’ala più progressista del suo partito per far parte di un esecutivo che sembrava ostacolare il processo di pace anziché consolidarlo, Peres decise di lasciare ancora una volta quando il suo partito si ritirò poco prima delle elezioni del 2003. Ma nel 2004, ancora con Sharon, guidò la formazione in un’altra coalizione di unità nazionale, quando si stava programmando il disimpegno israeliano dalla Striscia di Gaza.
Il 13 giugno 2007, Peres venne eletto nono capo dello Stato di Israele, momento in cui ha cessato di essere membro della Knesset, concludendo una carriera iniziata molto presto, alla fine degli anni Cinquanta, piena di alti e bassi e terminata nel migliore dei modi possibili. Negli anni della presidenza, Peres divenne molto popolare e nonostante il suo incarico aveva un peso politico sicuramente minore, c’era chi all’opposizione lo guardava come un ottimo contrappeso alle politiche della destra più radicale di Netanyahu. Si dice che negli ultimi anni di vita abbia portato avanti trattative segrete (e solitarie) con americani, palestinesi e giordani per cercare di implementare e portare avanti la pace (all’insaputa del governo). Nel settembre 2016, un’ischemia cerebrale travolse la sua vita pubblica, costringendolo al ricovero in ospedale. I medici tentarono di salvarlo, ma quel malore fu fatale e Peres morì il 28 settembre dello stesso anno.
Peres fu uno dei più longevi politici israeliani e anche se, inizialmente, venne considerato un falco, la sua posizione è mutata nel tempo, facendolo diventare il simbolo dell’unico dialogo riuscito tra arabi e israeliani. Appoggiò la cooperazione economica, il dialogo e i compromessi per la pace, tutti elementi che lo allontanarono dai coloni israeliani che vivevano nei territori occupati. Il suo obiettivo (politico e sociale) è sempre stato quello di assicurare lo sviluppo economico di Israele che, dal suo punto di vista, sarebbe stato possibile soltanto trasformando i contrasti con gli arabi con un dialogo pacifico, anche a costo di fare scelte non troppo popolari.

Ebbe coraggio e nella sua carriera diplomatica provò a risolvere questioni complicate, muovendosi su livelli diversi, accontentando i “vicini” arabi e scontentando una parte di israeliani. Convinto che l’azione dura e violenta verso i territori occupati non produceva grandi risultati, sosteneva che per difendere lo Stato ebraico ci fosse bisogno di fare qualche concessione. Tuttavia, ha sempre difeso la polizia israeliana e, soprattutto, il muro di Gaza contro le critiche di mezzo mondo. Il che lo rende (ancora) un politico non completamente decifrabile.