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Chi era Hugo Chavez

Per molti è stato un leader carismatico, il miglior presidente che il Venezuela abbia mai avuto, per alcuni dei suoi seguaci addirittura il “Comandante” per antonomasia, un campione degli ultimi, il riscattatore della sovranità del suo Paese. Per molti altri, invece, un tribuno, un furbo incantatore di folle che ha sfruttato a fini clientelari la ricchezza del suo Paese, se non addirittura un despota autoritario. Farsi un’idea equilibrata della figura di Hugo Chavez è estremamente difficile: pochi leader hanno suscitato negli ultimi decenni sentimenti tanto polarizzanti in patria e all’estero, pochi sono stati tanto osannati e demonizzati al tempo stesso da parte di politici e esponenti delle istituzioni di diversi Paesi.

L’ex tenente colonnello divenuto presidente del Venezuela dal 1998 alla morte, avvenuta nel 2013, ha plasmato un radicale cambio di rotta nella storia dell’America Latina. I suoi appelli al riscatto della sovranità dei popoli del continente, i toni duri contro gli Stati Uniti, l’ideologia socialista che animava le sue riforme politiche e l’ampiezza del progetto internazionale ne hanno fatto un faro per la sinistra latinoamericana, un punto di riferimento per quella mondiale, un membro centrale del club dei “non allineati” che nella prima fase degli anni Duemila hanno cercato di smarcarsi dall’egemonia di Washington. “Non ho dubbi che Chavez farà ritorno con Gesù Cristo e tutti gli altri giusti”, è arrivato a dire nel giorno del suo funerale il presidente iraniano, e grande amico del “Comandante”, Mahmoud Ahmadinejad.

Al tempo stesso, in una fase storica in cui il Venezuela post chavista è in preda al caos e diviso dalla lotta politica tra Nicolas Maduro e l’opposizione, si può affermare con ragionevole certezza che, al di là del merito delle politiche dei suoi governi, Chavez abbia compiuto il grave errore di non saper istituzionalizzare la “rivoluzione bolivariana” da lui compiuta e i progressi economici e sociali concretizzatisi nei 15 anni di potere. Dopo la morte di Chavez e l’ascesa di Maduro la retorica bolivariana non ha potuto mascherare la reale natura dell’esperimento politico, trasformatosi in una riproposizione del modello di capitalismo rentier basato sull’estrazione petrolifera con la comparsa di una nuova élite burocratico-militare. Questo, in primo luogo, per l’incapacità di operare un processo di diversificazione dell’economia, che ha gradualmente portato il Venezuela allo schianto e all’attuale situazione di dissesto economico e sociale. Errori non imputabili in prima persona a Chavez ma a cui il suo sistema non ha saputo contrapporre dei sostegni adeguati.

Ma da dove veniva il complesso di ideali che animava Chavez al momento della sua ascesa al potere? Per capirlo è necessario ripercorrere la sua formazione professionale, avvenuta principalmente nell’ambito dell’esercito venezuelano.

Poco si può capire dei motivi e del contesto storico in cui matura l’ascesa di Chavez se non si tiene presente il contesto in cui il futuro leader del “socialismo del XXI secolo” ha mosso i primi passi politici.

Nato in una famiglia umile e popolare nella città di Sabaneta nel 1954 Chavez in gioventù visse il lato oscuro del periodo d’oro della storia venezuelana nel secondo dopoguerra. Terra benedetta dalla scoperta continua di nuovi giacimenti di petrolio, inondata dai petrodollari e capace di attrarre una massiccia immigrazione di personale tecnico, qualificato e ad alto reddito il Venezuela ha mantenuto a lungo al suo interno, specie nelle aree rurali, sacche non secondarie di povertà ed emarginazione. Il sistema di potere, incardinato su un accordo di spartizione delle cariche derivante dal cosiddetto “patto di Punto Fijo“, era funzionale a perpetrare la conservazione dell’esistente.

Dopo un’infanzia passata vivendo di espedienti, come la vendita ambulante dei dolci cucinati dalla nonna, nel 1971 Chavez imboccò la strada della carriera militare, da decenni una delle poche reali prospettive di ascesa sociale per i membri delle fasce più deboli delle popolazioni latinoamericane.

Come sottolinea Giorgio Galli in La democrazia e il pensiero militare, Chavez anticipò l’onda lunga della conversione delle caste militari latinoamericane dall’occidentalismo sfrenato al nazionalismo di stampo socialisteggiante, a un’ideologia che vedeva la sua stella polare nel mito del Libertador Simon Bolivar. E così, mentre negli anni Ottanta il governo venezuelano dava a più riprese segni di scricchiolamento sotto i colpi dell’incedere della crisi mondiale, del dilatarsi dell’inflazione e della difficoltà nella gestione della rendita petrolifera, Chavez plasmò assieme a diversi compagni d’arme una serie di organizzazioni interne all’esercito che contestavano la linea politica del Paese.

Manifestazioni nell'anniversario di Simon Bolivar (LaPresse)
Manifestazioni nell’anniversario di Simon Bolivar (LaPresse)

Il punto di svolta definitivo fu il 1989, anno in cui sotto la pressione delle misure di austerità imposte dal governo del presidente Carlos Andres Perez una manifestazione oceanica invase, nel mese di febbraio, le strade di Caracas. Allora l’esercito ebbe l’ordine di sparare sulla folla, provocando centinaia di morti (le stime più alte parlano di oltre 2mila vittime) e una definitiva scollatura interna alle forze armate. Chavez si rifiutò di obbedire agli ordini del governo, conquistando popolarità nazionale.

Quando, due anni dopo, venne promosso tenente colonnello Chavez era oramai una figura nota in Venezuela al punto tale da ritenere possibile un tentativo di destituzione armata del presidente Perez, ritenuto corrotto e asservito agli Stati Uniti.

Il golpe guidato dai militari bolivariani fallì nel 1992 e Chavez fu imprigionato nonostante un vasto movimento popolare ne chiedesse la liberazione: nei due anni passati dietro le sbarre, prima di ricevere un’amnistia nel 1994, il futuro presidente venezuelano iniziò a tessere le trame del futuro progetto politico. Perla prima volta nella storia del Paese, rifletteva Chavez, si offriva alla politica venezuelana l’opportunità di costituire una forza socialista capace di aggregare le fasce più deboli della popolazione, gli abitanti delle periferie delle metropoli, i rappresentanti delle comunità indigene e i movimenti anti-capitalistici contro il bersaglio politico e retorico di un’élite identificata nei partiti politici di governo, con i discendenti dei coloni spagnoli bianchi e urbanizzati a farla da padroni sfruttando la rendita petrolifera, a detta di Chavez mai utilizzata per il bene del popolo dalla nazionalizzazione dei giacimenti nel 1973 in avanti.

Le idee del chavismo si costituirono in maniera formale nel 1997, quando l’ex militare fondò il Movimento quinta repubblica (Mvr), che propugnava un’ampia riforma costituzionale, l’introduzione di forme di democrazia partecipata, la valorizzazione degli enti locali più attenti a combattere povertà e disuguaglianze, il pervasivo controllo dello Stato sull’attività economica.

La piattaforma ideologica del chavismo trionfò alle elezioni presidenziali del 1998, nelle quali l’Mvr ottenne oltre tre milioni di voti e il 56% dei consensi, conducendo Chavez alla presidenza. I primi mesi del nuovo governo procedettero a passo di marcia: Chavez impresse subito la svolta costituzionale, ribattezzando il Paese “Repubblica Bolivariana del Venezuela” e vincendo una serie di battaglie politiche: nel 1999 due referendum furono convocati, rispettivamente, ad aprile per indire la costituzione di un’Assemblea costituente e, nel dicembre dello stesso anno, per approvarne i lavori. Nel 2000 Chavez fu rieletto dopo l’approvazione della nuova Costituzione per un mandato che, secondo i nuovi dettami, avrebbe avuto la durata di sei anni. Nel 2000 i consensi per Chavez furono di poco inferiori al 60%, mentre nel 2006 la presa elettorale del “Comandante” avrebbe raggiunto il suo apogeo con il 62,8% dei suffragi. Solo nell’ultima elezione presidenziale affrontata da Chavez prima della sua morte, quella del 2012, il presidente ebbe uno sfidante capace di insidiare la sua leadership, il governatore socialdemocratico dello Stato di Miranda Henrique Capriles, che ottenne il 44% dei consensi,non sufficienti tuttavia a disarcionare Chavez, che si riconfermò con oltre il 55% delle preferenze.

Confortato in continuazione dai risultati elettorali favorevoli, Hugo Chavez ha avuto la possibilità di impostare una serie di riforme politiche funzionali ad approfondire il suo disegno politico.

A partire dal 1998 il governo venezuelano aumentò la pervasività del controllo sulla società statale petrolifera Pdvsa, funzionale a accelerare la strada dello sfruttamento delle risorse da essa generate per la realizzazione dei suoi programmi sociali, che includevano distribuzione della ricchezza, la riforma agraria, e la democratizzazione delle attività economiche attraverso autogestione del posto di lavoro e creazione di cooperative possedute dai lavoratori. 100mila di queste comuni furono create con fondi pubblici dal 1998 in avanti.

Una scultura di una mano che regge una struttura di pozzi petroliferi fuori dalla compagnia petrolifera statale venezuelana Pdvsa a Caracas (LaPresse)
Una scultura di una mano che regge una struttura di pozzi petroliferi fuori dalla compagnia petrolifera statale venezuelana Pdvsa a Caracas (LaPresse)

Il tema del controllo delle riserve di petrolio fu fondamentale nel comprendere la genesi dell’unico, serio tentativo di sfida alla leadership chavista, avvenuto nel 2002, quando la Confindustria venezuelana guidata da Pedro Carmona guidò un tentativo di colpo di Stato sostenuto da frange dell’esercito che riuscì brevemente, tra l’11 e il 14 aprile, a disarcionare Chavez, che poté però beneficiare della reazione popolare dei suoi sostenitori e delle frange dell’esercito a lui solidali, coordinate dal fedele braccio destro Diosdado Cabello, che nell’estate 2019 sarebbe risultato decisivo per sventare il tentativo dell’oppositore Juan Guaidò di sobillare un colpo di Stato contro Nicolas Maduro con l’avallo degli Stati Uniti.

Il fallito golpe contro Chavez accentuò nel presidente la spinta verso le riforme sul fronte interno e la retorica in campo di politica estera.

Sul primo fronte, come detto, la “rivoluzione bolivariana” ottenne risultati considerevoli con una serie di programmi politici che avevano il principale punto debole nella loro dipendenza eccessiva dal prezzo del petrolio. Come rilevato dalla Banca Mondiale nel 2012, nell’era Chavez il “96% delle esportazioni nazionali e quasi la metà dei ricavi fiscali” erano dipendenti dall’export petrolifero”. Il Venezuela conobbe un drastico crollo dell’analfabetismo, del tasso di povertà (dal 48,6% del 1998 al 26,5% del 2011), dell’insicurezza sanitaria (il numero di medici è passato da 20 per 100mila abitanti nel 1999 a 80 per 100mila abitanti nel 2010). I risultati, tuttavia, furono in larga parte frutto della contingenza che vedeva al tempo stesso un momento di alta marea nei prezzi del greggio e un Chavez estremamente determinato ed autorevole nel chiedere ai membri del cartello Opec il rispetto delle quote di produzione.

In materia di politica internazionale, Chavez costituì un solido asse con Fidel Castro che aprì la strada all’alleanza tra Cuba e Venezuela. Il governo castrista riceveva da Caracas petrolio a prezzi di favore e, in cambio, inviava oltre il Mar dei Caraibi le sue eccellenze: medici e insegnanti capaci di ristrutturare in senso positivo il sistema sanitario ed educazionale venezuelano. Ampi e floridi furono poi i rapporti con i governi di stampo socialista dell’America Latina: i presidenti Evo Morales (Bolivia), Rafael Correa (Ecuador) e Daniel Ortega (Nicaragua) guardavano con favore a Chavez, e lo stesso presidente brasiliano Lula stabilì con lui un ottimo rapporto. Il tentato golpe del 2002 accentuò invece la polemica con gli Stati Uniti e la Spagna, principali avversari politici di Chavez, che avevano inizialmente appoggiato l’eversione assieme a Regno Unito e Israele. Saddam Hussein, Muammar Gheddafi e Mahmoud Ahmadinejad ricevettero e stabilirono rapporti positivi con il Venezuela, mentre nel Vecchio Continente il Venezuela chavista intrattenne i rapporti migliori con la Russia di Vladimir Putin.

Il Venezuela è cambiato radicalmente nel quindicennio chavista, ma la transizione con l’ex ministro degli Esteri Nicolas Maduro ha mostrato tutte le debolezze della costruzione politica dell’ex tenente colonnello divenuto presidente. La malattia e la morte di Chavez nel 2013 sono avvenute nella fase in cui la leadership del presidente serviva di più, proprio perché l’inizio della fine della fase di alti prezzi del petrolio e la polarizzazione crescente nella società stavano mostrando tutte le debolezze del modello bolivariano. Un programma presentato con portate rivoluzionarie si appoggiava, in realtà, sulla rendita petrolifera e sugli altalenanti umori del settore energetico. La nuova classe media nata dalle riforme non è stata integrata, rafforzata nelle prospettive educazionali e lavorative. Le alleanze internazionali, come l’Alleanza Bolivariana per le Americhe (Alba) sono rimasti costrutti ideologici, mentre la realtà dei fatti vedeva il Venezuela commerciare principalmente con il grande avversario, gli Stati Uniti. A sette anni dalla morte del “Comandante” la sua figura divide più che mai, e ci vorrà molto prima che gli storici possano costruire un’opinione condivisa. I cittadini venezuelani, nel frattempo, sono estremamente preoccupati dal presente e dalle sue sfide, con un Paese intrappolato da una crisi economica e politica che rischia di sfociare in tragedia sociale che ha poco o nessun tempo per cercare di interrogarsi sul recente passato. Nonostante dal giudizio su di esso dipenda buona parte del suo futuro.

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