Chi era David Ben Gurion

È considerato letteralmente il “padre” di Israele e, di fatto, lo è stato per davvero. Perché David Ben Gurion non solo contribuì a creare l’attuale Stato ebraico, ma ne fu il fondatore nel 1948 e, soprattutto, fu la prima persona a ricoprire la carica di primo ministro del Paese. Stese e firmò per primo la dichiarazione d’indipendenza israeliana e si espose nell’urgenza di costituire una patria che appartenesse davvero al popolo ebraico.

Di origini polacche, scelse di lasciare il suo Paese e l’Europa in gioventù e nel 1906 raggiunse la Palestina per la prima volta. Probabilmente quel viaggio in la Terra Santa generò in lui la volontà di lavorare a un progetto sionista più ampio, che lo portò a sostenere i progetti iniziali di uno Stato ebraico indipendente. In Palestina cambiò il suo cognome e scelse quello di Ben Gurion che, in ebraico, significa “figlio del leone”, in onore di Joseph ben Gorion, un ebreo della storia antica, che combatté i romani nella rivolta dei giudei (descritta da Flavio Giuseppe ne “La guerra giudaica”).

Disse che in Israele, per poter essere un realista, era necessario credere nei miracoli e lui, probabilmente, se ne convinse più degli altri. Sionista incrollabile e guida di diverse organizzazioni ebraiche, Ben Gurion non fu soltanto uno dei più celebri leader della storia d’Israele, ma anche una delle sue figure più decisive, anche a livello internazionale. Favorì, infatti, il “ritorno” di molti ebrei della diaspora e seppe mantenere buoni rapporti diplomatici con i capi di Stato di mezzo mondo. In quasi tutte le foto che lo ritraggono appare sorridente e con una capigliatura che a molti sembra bizzarra. Si ritirò dalla politica attiva nel 1970, a 84 anni. Morì tre anni dopo e venne sepolto accanto alla moglie Paula, nel kibbutz di Sde-Boker. E nonostante l’enorme peso politico legato al suo nome e alla sua storia, sulla sua lapide compaiono soltanto la data di nascita, di morte e, soprattutto, quella dell’arrivo in Israele.

David Ben Gurion nacque il 16 ottobre del 1886 a Płońsk, un piccolo centro industriale della Polonia dominata dai russi, con il nome di David Grün. Dal padre, Avigdor Grün, avvocato e leader del movimento Hovevei Zion (che tradotto significa “Amanti di Sion”), Ben Gurion apprese l’amore per la politica e si appassionò alle proprie origini, al socialismo e alla cosa pubblica. Ricevette la prima istruzione scolastica in un heder, un tipo di scuola primaria amministrato e gestito da personale religioso osservante (in questi istituti, infatti, vengono insegnati i principi fondamentali della religione e della lingua ebraiche). A 11 anni perse la madre e successivamente il padre lo iscrisse in una scuola direttamente fondata da lui, dove si formò quell’identità fortemente sionista che lo accompagnò per tutta la sua carriera politica e per tutta la vita. Le forme di antisemitismo che iniziarono a diffondersi in Europa, convinsero il giovane Ben Gurion a fondare, insieme a un gruppo di amici, il movimento ebraico Ezra, che aveva lo scopo di preparare i ragazzi intenzionati a trasferirsi in Palestina. Nei gruppi venivano impartiti soprattutto insegnamenti legati all’agricoltura e alla lingua ebraica. Nel 1904 volle iscriversi all’università di Varsavia e l’anno seguente aderì a un partito sionista socialista chiamato Po’alei Sion (che letteralmente significa “lavoratori sionisti”). Si oppose da subito allo zarismo e durante la rivoluzione del 1905 le autorità lo arrestarono in due circostanze.

Il giovane Ben Gurion vide la Palestina per la prima volta nel 1906, quando lo Stato era ancora sotto il dominio ottomano. Con quel viaggio prese parte alla seconda aliyah, cioè l’ascesa del popolo ebraico alla Terra promessa, e fu uno dei primi a realizzare l’ideale del ritorno in patria (principio ricorrente e determinante nella storia ebraica). Una volta arrivato in Palestina, come fecero molti, lavorò come operaio agricolo nelle aziende fondate alla fine dell’Ottocento dagli ebrei sionisti di prima immigrazione (che infatti arrivarono con la prima aliyah). Rimase nei territori e in breve tempo assunse un ruolo dirigenziale nella sezione locale del partito a cui aveva aderito mentre si trovava ancora in Europa (il Po’alei Sion). Nel 1909, dopo aver svolto per un anno il lavoro di guardiano nell’insediamento ebraico di Sejera, Ben Gurion entrò a far parte di un gruppo di volontari armati, chiamato HaShomer. I membri di questo movimento prestavano servizio come sorveglianti in diversi villaggi di agricoltori ebrei. Poco tempo dopo, probabilmente per ribadire e confermare il senso di appartenenza alla comunità ebraica palestinese, cambiò il suo cognome e firmò diversi editoriali sul giornale di partito, che aveva sede a Gerusalemme.

Nel novembre del 1911, Ben Gurion scelse di trasferirsi a Salonicco che, all’epoca, era la città greca in territorio ottomano con la più fiorente comunità ebraica. Fu nella realtà ellenica che iniziò a studiare e ad appassionarsi alla lingua turca. Nel 1912 si stabilì in quella che all’epoca era ancora chiamata Costantinopoli (l’attuale Istanbul), capitale dell’impero ottomano, dove intraprese lo studio della giurisprudenza, insieme a Yitzhak Ben Zvi. Nel suo “periodo turco“, Ben Gurion si convinse che il destino sionista fosse strettamente legato a quello dell’impero ottomano e cercò, quindi, di stabilire rapporti e relazioni con l’allora influente classe dirigente ottomana (pensando che quella scelta avrebbe potuto favorire il progetto sionista). Tuttavia, lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914 mise in discussione numerosi sistemi politici che apparivano già consolidati e modificarono i profili di diversi Paesi. All’avvio della grande guerra, Ben Gurion viveva già a Gerusalemme, dove formò, con Ben Zvi, un gruppo armato di circa 40 soldati, che mise a disposizione dell’esercito ottomano. Ma nel marzo del 1915, il sultano dichiarò guerra all’impero russo e le origini di Ben Gurion lo fecero considerare un cittadino appartenente al Paese nemico.

All’avvio del primo conflitto mondiale, lui e altri 30mila ebrei residenti in Palestina furono mandati in esilio e il futuro leader israeliano scelse di trasferirsi negli Stati Uniti, dove rimase fino al termine della guerra, continuando comunque a sostenere l’impero ottomano contro gli alleati occidentali (soprattutto Francia e Regno Unito). Tuttavia, l’evoluzione della situazione bellica, l’ingresso dell’America nel conflitto proprio contro gli ottomani e la presa di posizione di Londra a favore del sionismo, lo convinsero a riconsiderare le sue posizioni politiche. Qualche anno dopo, nel 1917, si sposò negli Stati Uniti con Paula, con cui rimase tutta la vita, e poi si arruolò con le milizie ebraiche, che di fatto facevano parte dell’esercito britannico in Medio Oriente. Torno in Palestina nel 1918, come soldato del 39° battaglione fucilieri, la formazione che tutti conoscono come “Legione ebraica”.

Nel 1919, Ben Gurion partecipò alla fondazione del partito Akhdut Ha’avoda (“L’unione del lavoro”), formazione di stampo marxista che sostituì Po’ale sion. Entrato a far parte del gruppo, Ben Gurion scelse di collocarsi nell’ala destra (e riformista) del movimento e la decisione si rivelò giusta e lungimirante, visto che la parte più a sinistra (conosciuta come “gruppo di Rostov”) venne progressivamente marginalizzata.  Nel 1921, fu eletto segretario della Histadrut, l’associazione generale dei lavoratori di Eretz Ysrael, sindacato fondato l’anno precedente, che raggruppava sotto il suo nome soprattutto i militanti sionisti di sinistra, riunendo diverse fazioni. La sua direzione fu improntata all’efficienza, ma non risultò mai autoritaria. “Dalla classe al popolo” fu uno dei suoi slogan, che illustrava perfettamente le sue posizioni e le sue priorità. Il peso dell’identità ebraica si fece sentire e, a proposito di questo, in una circostanza Ben Gurion dichiarò: “Non siamo venuti qui per organizzare nessuno e non siamo qui per diffondere l’idea socialista verso chiunque. Noi siamo qui per costruire una patria lavorando per il popolo ebraico”. Ma fu nel 1930 che la sua carriera politica iniziò a concretizzarsi: in quell’anno, infatti, il futuro padre d’Israele svolse un ruolo determinante nella fusione di Akhdut Ha’avoda con Hapoel Hatzaïr, l’altra grande realtà politica sionista di sinistra. Nacque, quindi, Mapai, la sua creatura politica che, per tanti anni, fu il partito egemone della sinistra israeliana. Dopo l’assassinio di Haim Arlozoroff, capo del dipartimento politico dell’Agenzia ebraica, il 16 giugno del 1933, l’influenza e l’ascendente di Ben Gurion aumentò considerevolmente. Nel 1935, infatti, lasciò la carica che occupava nel sindacato Histadrout per ricoprire il ruolo di presidente dell’organizzazione e, per questo motivo, divenne il principale dirigente di Yishuv, la comunità ebraica di Palestina. L’istituzione sosteneva (e sostiene ancora) “l’ebraicità” di Israele e venne fondata nel 1923 per rappresentare la comunità ebraica in Palestina, nell’epoca precedente il governo mandatario. L’Agenzia ebraica ricevette il riconoscimento ufficiale per le sue attività nel 1920, quando venne incaricata di facilitare l’immigrazione ebraica in Terra Santa.

Alla fine del 1935, gli arabi organizzarono una rivolta contro la dominazione britannica in Palestina, perché rifiutavano l’idea della fondazione di uno Stato ebraico (che, invece, all’epoca era uno degli obiettivi del mandato britannico nella regione). I disordini, inaspettatamente, provocarono la reazione dei cittadini ebrei e fu proprio in quella circostanza che si rafforzò l’organizzazione armata clandestina dell’Haganah. Nel 1937, Ben Gurion si dichiarò favorevole al piano di spartizione della Palestina mandataria, ma il progetto non venne approvato, sia perché altri partiti sionisti si opposero alla sua leadership, sia per la decisa opposizione dei nazionalisti arabi (che durò fino al 1939), che portò gli inglesi a limitare l’ingresso degli ebrei nel Paese (portando il numero a circa 75mila) e Ben Gurion, di conseguenza, a opporsi a quel provvedimento così restrittivo.

Nel 1942, a Baltimora, in America, si riunì l’Organizzazione sionista mondiale, dove emerse ancora una volta l’urgenza di rivendicare uno Stato ebraico su tutta la Palestina mandataria. Ma si aprì un altro fronte, quello delle lotte interne alle formazioni sioniste. I nazionalisti ebraici, per esempio, si impegnarono in un deciso sostegno al Regno Unito contro la Germania nazista e alcuni membri di Yishuv si arruolarono nella “Brigata ebraica”, la formazione paramilitare posta sotto il comando britannico contro il nazifascismo. L’urgenza di combattere il nazismo in Europa (e nel mondo) spinse gli ebrei (e anche Ben Gurion) ad “accantonare” momentaneamente le difficoltà legate alla creazione di uno Stato sionista in Palestina e le lotte interne alle varie formazioni ebraiche. Nel 1942, l’ipotesi di una minaccia tedesca in Medio Oriente (che se si fosse concretizzata avrebbe comportato la fine di Yishuv) spinse gli ebrei ancora di più nella direzione britannica (anche se quel tipo di sostegno funzionale non sarebbe durato a lungo).

Con la fine della Seconda guerra mondiale, migliaia di sopravvissuti alla shoah chiesero di andare a vivere in Palestina, ma le restrizioni britanniche limitarono le domande. A quel punto, Ben Gurion (e quindi l’Agenzia ebraica e l’Haganah) orientò nuovamente la sua politica nei confronti del Regno Unito e si oppose strenuamente al mandato britannico. Così, l’Haganah partecipò a una serie di sabotaggi e azioni nei confronti degli inglesi e il futuro primo premier organizzò personalmente scioperi e blocchi. Vennero comprate nuove armi e la formazione si rafforzò notevolmente. Inoltre, nello stesso periodo, Ben Gurion e l’Haganah organizzarono l’ingresso clandestino in Palestina di numerosi ebrei, provenienti principalmente dall’Europa. Migliaia di rifugiati riuscirono quindi a raggiungere il Paese, ma molti altri vennero fermati dagli inglesi e inviati in centri di detenzione, a Cipro. L’evento fece rumore e centinaia di ebrei provarono a raggiungere le coste palestinesi in autonomia, sulla nave mercantile Exodus. Nel 1947, visti i rapporti tesi e una situazione diventata insostenibile, il Regno Unito decise di cedere il mandato all’Organizzazione delle Nazioni Unite, che decretò la divisione dei territori tra arabi ed ebrei.

La decisione di spartire i territori indispettì gli arabi, che non accettarono quel tipo di divisione. Nel novembre del 1947, la situazione della guerra civile si aggravò, ma i soldati inglesi scelsero di non intervenire, fino al 15 maggio del 1948, data in cui lasciarono il Paese. Nella primavera di quell’anno, il conflitto si fece ancora più sanguinoso e la battaglia si intensificò per mantenere o conquistare il controllo della vitale strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. Il 9 aprile, l’Irgun (un gruppo paramilitare ebraico, giudicato come terrorista dagli inglesi) colpì il villaggio arabo di Deir Yassin e sterminò i suoi abitanti. La replica araba non tardò ad arrivare e in pochi giorni vennero uccisi 77 ebrei (tra medici, infermieri e pazienti), che viaggiavano su un bus diretti verso un ospedale di Gerusalemme. Gradualmente l’Haganah assunse il controllo di città importanti, come Tiberiade, Haifa e Jaffa, mentre la popolazione araba si rifugiava verso la Transgiordania e il Libano.

David Ben Gurion, nel maggio del 1948 (Foto LaPresse)

Ma il 14 maggio 1948, alle cinque del pomeriggio, una cerimonia in un salone del museo di Tel Aviv sancì la nascita dello Stato di Israele. Che doveva essere laico, basato sui criteri della libertà, della giustizia e della democrazia. Avrebbe dovuto garantire l’uguaglianza a tutti i suoi cittadini e avrebbe rispettato la carta fondamentale delle Nazioni Unite. Ben Gurion fu eletto primo presidente del Consiglio. Il giorno prima della partenza dei britannici, il fondatore dello Stato lesse, a nome del governo provvisorio, la dichiarazione d’indipendenza. Il nuovo Stato venne riconosciuto dall’America e dall’Unione sovietica, tranne che dai Paesi arabi, i quali dichiararono subito guerra a Israele e le loro truppe iniziarono a penetrare nei suoi territori, da più parti. L’avanzata araba si svolse soprattutto da sud e da est e le forze in campo risultarono quasi equivalenti. Ma a favore degli ebrei c’era una buona preparazione militare, la volontà di mantenere in vita il loro nuovo Stato e di avere (finalmente) una patria. Le frontiere stabilite dall’Onu erano state accettate senza entusiasmo e la guerra, che terminò nel marzo del 1949, aveva permesso di allargare il territorio del nuovo Stato dal 55% originario al 77% della Palestina. La conseguenza (politica e sociale) fu una diaspora araba, in cui migliaia di persone furono costrette a lasciare i territori. Tra il 1948 e il 1949 Ben Gurion creò una forza armata unica, cercò di eliminare le milizie politicizzate, si impegnò a raggiungere un compromesso con gli ebrei ultra-ortodossi (che abbandonarono l’idea di opporsi a uno Stato ebraico), preservò l’indipendenza del nuovo Stato e fece sì che la componente maggioritaria fosse quella ebraica. Dopo la proclamazione del Paese, nel maggio del 1948, il primo ministro riunificò le principali forze di difesa ebraiche, come l’Haganah, l’Irgun (che venne poi sciolta perché accusata di slealtà), il Lehi e fondò Tsahal.

A contraddistinguere il neonato Stato d’Israele fu la sua natura laica, a cui Ben Gurion dimostrava di tenere particolarmente. Questa divergenza, però, aveva fiaccato i rapporti con la comunità ebraica ultra-ortodossa. Gli haredi, infatti, non accettavano l’idea di un sistema di governo secolare imposto dai laici, ancora prima della venuta del messia. Siccome Ben Gurion non voleva un’opposizione confessionale all’interno dello Stato ebraico, negoziò un compromesso, su cui aveva già lavorato nel 1947, siglando un accordo con Agudat Yisrael, un partito confessionale non sionista, in base al quale la formazione si impegnava a non opporsi alla creazione di Israele. In cambio, venne siglata da tutti i leader sionisti una dichiarazione scritta che confermava l’importanza e l’osservanza dello Shabbat come festività pubblica, che riservava ai tribunali rabbinici la disciplina dello status personale degli ebrei osservanti (in particolare per quanto riguardava matrimoni e divorzi) e che concedeva piena autonomia sull’insegnamento religioso. A due anni dalla costituzione di Israele, nel 1950, lo Stato guidato da Ben Gurion esonerò gli ebrei osservanti dal servizio militare (obbligatorio per tutti, uomini e donne). Il primo compromesso firmato e l’esenzione dall’esercito sono rimasti ancora oggi alla base della politica israeliana nei confronti degli ebrei ultra-ortodossi (che infatti, nel Paese, godono effettivamente di diritti e benefici diversi).

A parte una pausa di due anni, tra il 1954 e il 1955, Ben Gurion fu primo ministro ufficiosamente dal 14 maggio 1948 e ufficialmente dal 25 febbraio 1949 al 26 giugno del 1963. Per 21 anni fu leader del partito Mapai e il suo fu il governo più lungo della storia d’Israele. La sua strategia politica più nota, almeno all’inizio della fondazione dello Stato, fu quella di far affluire un numero massiccio di ebrei nel Paese. In pochi anni, infatti, la popolazione raddoppiò, superando il milione di persone e circa la metà dei nuovi arrivi era costituita da sopravvissuti all’olocausto. Gli altri, invece, erano principalmente ebrei sefarditi, elemento inedito per Yishuv (che fino ad allora era formato per l’80% da ashkenaziti di origine europea). L’integrazione fu complessa per tanti motivi diversi e negli anni Settanta molti di loro accusarono Ben Gurion (e il suo governo) di non averli aiutati nel processo di inserimento. Soprattutto all’inizio, il premier scelse di tenere per sé le deleghe alla Difesa e gli elementi principali della sua nuova politica furono: il rifiuto di riconoscere le frontiere post-belliche (cioè le linee armistiziali del 1949), perché si riservava di effettuare altre rivendicazioni; l’alleanza con l’Occidente e, in particolare, con gli Stati Uniti (tra il 1949 e il 1952, infatti l’aiuto economico americano fu essenziale per la sopravvivenza di Israele) e la Francia (accordo che si rivelò essenziale quando si raffreddarono le relazioni con l’America di Dwight Eisenhower); l’avvio di un programma nucleare.

 

Alla fine del 1953, Ben Gurion espresse l’intenzione di ritirarsi dal governo: così lasciò la carica di primo ministro a Moshe Sharett e mise alla Difesa Pinhas Lavon. Tel Aviv, per un periodo, divenne la sua casa, ma qualche tempo dopo scelse di trasferirsi nel kibbutz Sde Boker, nel deserto del Negev, dove condusse una vita dedicata all’agricoltura (anche se non abbandonò mai del tutto gli impegni politici). E anche se quella dimensione e il parziale abbandono alla vita pubblica sembrava adattarsi alla sua persona, gli israeliani lo richiamarono in politica. Nella sua abitazione vicina al deserto, furono recapitate migliaia di lettere che lo pregavano di ritornare sulla scena pubblica.

Scelse di tornare a fare politica e dopo aver vinto le elezioni, il 2 novembre del 1955, presentò il suo nuovo governo. L’anno dopo decise l’intervento israeliano nella crisi di Suez contro l’Egitto, in risposta alla minaccia di distruggere Israele e al blocco egiziano contro il porto di Eilat. Quella guerra fu un vero successo militare per Israele e per il leader ebraico. In quella circostanza, infatti, venne occupata la penisola del Sinai, che il primo ministro pensava di conservare.

Ben Gurion fra i reticolati del kibbutz di Sde Boker, al confine con l’Egitto (Foto LaPresse)

Tuttavia, gli alleati europei si opposero a quella decisione e anche sotto la pressione americana venne restituita all’Egitto all’inizio del 1957, in cambio di un allentamento delle misure di sicurezza e la revoca del blocco di Eilat. Tra tutti i Paesi del Medio Oriente, Israele riuscì ad allacciare rapporti stabili soltanto con la Turchia. Nel 1958, infatti, Ben Gurion compì una visita segreta ad Ankara, invitato dall’allora premier turco, Adnan Menderes, da cui nacque un accordo di cooperazione economica e militare tra i due Paesi.

Nel 1963, Ben Gurion lasciò definitivamente la politica, dimettendosi da primo ministro e lasciando il suo partito (il Mapai). Fondò una nuova formazione, denominata Rafi e alle elezioni del 1965 ottenne il 7,9% dei voti, conquistando una decina di seggi. Nel 1968 accettò di riunificarsi con il Mapai (insieme a Rafi e a un altro movimento minore). Nacque così Ha’Avodà, noto come Partito laburista israeliano. Lasciò la Knesset nel 1970, quando aveva ormai 84 anni. La sua vita pubblica finì in quel momento. Morì tre anni dopo, il 1° dicembre del 1973.

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