Chi è Yair Lapid, l’ex premier israeliano rivale di Netanyahu

Yair Lapid è stato dal primo giorno di luglio al 29 dicembre del 2022 il primo ministro di Israele. Per anni volto pubblico del giornalismo e dell’opinionismo israeliano, ha seguito le orme paterne nell’ultimo decennio dedicandosi alla vita politica.

Leader della formazione centrista Yesh Atid e ex alleato del premier più longevo della storia del Paese, Benjamin Netanyahu, tornato al governo proprio dopo la fine del suo esecutivo, Lapid da diversi anni è il portavoce dell’area politica sionista moderata che non si riconosce esplicitamente nelle visioni più nazionaliste del leader del Likud.

Nato a Tel Aviv il 5 novembre 1963, Lapid è figlio giornalista e politico Yosef “Tommy” Lapid, che è stato ministro della Giustizia durante il governo di Ariel Sharon (2003-2004), e della romanziera e drammaturga Shulamit Giladi Lapid. Suo nonno materno David Giladi, originario della Transilvania (Romania), era uno scrittore e giornalista che fu tra i fondatori del giornale ebraico Maariv.

La sua casa d’infanzia a Tel Aviv era nel quartiere di Yad Eliyahu, in un edificio residenziale noto come “casa ei giornalisti”, poiché diversi reporter vivevano lì. Ha frequentato, senza conseguire il diploma, l’Herzliya Hebrew Gymnasium, compiendo poi il servizio militare obbligatorio nelle Forze di difesa israeliane iniziando nei reparti corazzati e proseguendo come giornalista delle forze armate come corrispondente militare per uno dei principali periodici dell’Idf, Bamahane (“nel campo base”).

Nel 1988, all’età di 25 anni, Lapid è stato nominato redattore di Yedioth Tel Aviv, un giornale locale pubblicato dal gruppo del più letto quotidiano nazionale, lo Yedioth Ahronoth. Si è occupato di cronaca politica, di questioni economiche e di inchiesta, arrivando tre anni dopo a curare una rubrica settimanale nel supplemento del fine settimana del giornale di cui suo nonno fu co-fondatore, Maariv, tornando poi alla corte prestigiosa dello Yedioth Ahronoth.

Lo slogan che dava il nome alla sua rubrica e che poi sarebbe divenuto il suo mantra politico, Dove sono i soldi?, ne rifletteva la focalizzazione su importanti questioni economiche e sui retroscena del potere imprenditoriale nazionale. Da qui Lapid costruì la sua ascesa come figura di riferimento nazionale passando in seguito alla televisione: dopo aver condotto un programma su Channel 2, nel 1990, che portava il suo nome, si è lanciato nel 1994 come conduttore di talk show su Channel 1, la principale rete di Israel Tv. A partire da gennaio del 2008 e fino al 2012 Lapid ha condotto “Ulpan Shishi” (“Venerdì in studio”), una sua striscia personale su Channel 2.

In parallelo Lapid ha promosso un’intensa attività culturale. Ha scritto testi per le canzoni di numerosi musicisti israeliani, tra cui Rami Kleinstein, Yardena Arazi e Rita e i suoi testi sono arrivati più volte in cima alle hit del Paese; ha recitato in diversi film, tra cui uno dedicato alla Guerra del Golfo, intitolato “Il canto della sirena”. Ha scritto una piece teatrale, L’età giusta per amare, messa in scena nel 2012 dal prestigioso Teatro Cameri di Tel Aviv, e sceneggiato una serie drammatica, War Room, che è andata in onda su Channel 2 nel 2004.

Oltre a ciò, ha pubblicato ben 12 libri, tra cui una biografia di suo padre, morto nel 2008, e il suo dinamismo lo ha reso popolare in tutta la nazione. Nel 2005 Lapid è stato indicato al 36esimo posto nella classifica dei cento più importante personaggi della storia di Israele dal 1948 in avanti in un sondaggio realizzato dalla testata online Ynet.

Nel 2012, sulla scia della popolarità  acquisita, Lapid optò per la discesa nell’agone politico fondando Yesh Atid (“C’è un futuro”), formazione moderata, centrista, convintamente sionista ma aperta a posizioni liberali in economia e critica della corruzione e del tradizionale bipartitismo tra il Likud e il Partito Laburista.

Quando, nell’ottobre 2012, il governo di Netanyahu è caduto per il ritiro dei nazionalisti di Kadima dalla coalizione a causa del contrasto sorto sul motivo con cui attuare una decisione della Corte Suprema che poneva fine all’esenzione dal progetto militare per gli ultra-ortodossi Yesh Atid ha potuto presentarsi, nel gennaio 2013, alle elezioni anticipate a un anno dalla nascita ufficiale.

Con 543mila voti e il 14,33% dei voti Yesh Atid ha eletto alla Knesset 19 deputati, risultando il secondo partito dopo il Likud. Con una mossa a sorpresa, Lapid ha scelto di capitalizzare immediatamente il consenso ottenuto, nonostante prima del voto avesse manifestato maggiori simpatie per il Partito Laburista, alleandosi con Netanyahu e la destra di Focolare Ebraico garantendo a “Bibi” il suo terzo governo, in cui l’ex giornalista divenne ministro delle Finanze.

Nel quadro di un governo fortemente incentrato sulla svolta nazionalista, però, per Lapid i margini di manovra furono ben pochi e solo alcune manovre volte a favorire investimenti in tecnologia e garantire la continuità dei finanziamenti allo Stato furono approvate. La scelta di Netanyahu di avviare a luglio 2014 l’Operazione Margine di protezione contro le forze di Hamas nella Striscia di Gaza, ennesimo capitolo del conflitto arabo-israeliano in quel territori, ha “militarizzato” l’esecutivo rendendo difficile per Yesh Atid sopportarne la virata a destra. Ne nacquero dei conflitti culminati nel dicembre 2014 con il siluramento di Lapid da ministro e col successivo arretramento all’8,8% e a 11 seggi del partito al voto anticipato del marzo 2015.

La popolarità del leader, da sola, non bastava ovviamente a fare di Yesh Atid un partito strutturato. Lapid ha vissuto gli anni del quarto governo Netanyahu per consolidare la sua formazione. Nel 2016  ha presentato la sua piattaforma, il “Piano in sette punti per Israele”, che include il manifesto  programmatico dei centristi moderati: una solida dottrina della sicurezza nazionale, nel mainstream dello Stato ebraico, la proposta di una conferenza regionale con gli Stati arabi basata sul mutuo riconoscimento in cambio della separazione dal dialogo della causa dai palestinesi, il contrasto alla corruzione sistemica di cui era accusato Netanyahu, il rilancio della politica nello Stato di Israele trovando un equilibrio tra il suo carattere strutturalmente ebraico e la vocazione democratica e inclusiva, il rafforzamento della rule of law, la democratizzazione di sanità e istruzione e il  focus sull’innovazione come  motore per lo sviluppo.

Nel 2019 Lapid ha alleato Yesh Atid al Partito della Resilienza Israeliano dell’ex Capo di Stato Maggiore Benny Gantz, leader della nuova coalizione Bianco e Blu che prendeva il nome dalla bandiera del Paese.

L’alleanza è nata con l’esplicito obiettivo di portare Netanyahu fuori dal potere ed è riuscito a inchiodare senza una maggioranza lo storico premier ai due voti anticipati dell’aprile e del settembre 2019. Nel primo caso, Bianco e Blu è arrivato secondo di un soffio: 26,13% contro il 26,46% del Likud, percentuali tali da rendere uguale per entrambi (35) il numero dei deputati. Nel secondo caso è scesa al 25,95% ottenendo però 33 deputati contro i 32 della destra. Gantz non è però riuscito a formare un governo e dopo una terza elezione a inizio 2020 segnata dal controsorpasso del Likud alleato ai nazionalisti radicali (36 deputati contro 33) il leader della coalizione ha rotto l’accordo con Lapid aprendo a portare da solo il suo partito a un accordo di governo con Netanyahu per alternarsi nella legislatura al governo.

Lapid è stato dunque tra 2020 e 2021 capo dell’opposizione alla Knesset e ha martellato contro Netanyahu e una sua presunta deriva autocratica del potere. Al voto del 2021, seguito alla caduta della coalizione Netanyahu-Gantz Yesh Atid, tornata autonoma, è arrivata seconda dietro al Likud con 17 deputati, doppiando il risultato di ciò che rimaneva di Bianco e Blu.

Lapid ha dunque concluso un accordo per escludere, finalmente Netanyahu dall’esecutivo firmando un accordo di alternanza con la destra di Yamina, guidata da Naftali Bennett, che a maggio 2021 si è insediato al governo

Bennett, a capo di una coalizione di otto partiti in un governo di unità nazionale anti-Likud, ha nominato Lapid Ministro degli Esteri, con l’impegno a alternarsi con lui a fine 2023. Lapid è stato interprete della “rivoluzione” di un governo di pacificazione nazionale che all’interno ha promosso investimenti in innovazione, welfare e tecnologia e all’estero ha sancito accordi con Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bahrain per inaugurare le ambasciate locali di Israele.

Lapid e Bennett sono stati poi protagonisti del tentativo di mediare la crisi tra Russia e Ucraina prima e dopo l’invasione da parte di Mosca del 24 febbraio 2022. Tra marzo e aprile 2022 Lapid ha visitato, come Bennett, sia Mosca che Kiev, promuovendo il più credibile tentativo di dialogo mai compiuto per porre fine al traumatico conflitto.

Inoltre il governo ha ricostruito le fondamentali relazioni con la Turchia puntando a valorizzare gli scambi energetici e la stabilizzazione del comune estero vicino; ha guardato all’Egitto, alla Grecia, a Cipro e addirittura al Libano puntando sulla convergenza energetica; ha scommesso, nelle fasi finali dell’esecutivo, sulla partnership con l’Italia in virtù di un’alleanza infrastrutturale sul gas. A fine 2021 è stato inoltre approvato il primo bilancio dello Stato da tre anni, dopo che dal 2018 Tel Aviv andava avanti a colpi di esercizi provvisori.

Un esperimento di governo rivoluzionario e di discontinuità è caduto per un motivo sostanzialmente secondario: a giugno 2022 Idit Silman, parlamentare di Yamina, ha a inizio giugno annunciato di voler ritirare il sostegno al governo per via del mancato rispetto della ritualità pasquale ebraica negli ospedali pubblici di Israele. La coalizione è franata e, in nome dell’alternanza, Bennett ha passato a Lapid il governo perché lo traghettasse al voto nell’autunno 2022.

Asceso al governo l’1 luglio 2022, fissate le nuove elezioni per il novembre 2022 e nuovamente sul filo la politica dello Stato ebraico Lapid ha voluto fin dall’inizio controbattere alla nuova ascesa del Likud nei sondaggi rubandogli il tema politico dell’interventismo in politica estera. La ripresa della guerra coperta con l’Iran e nuovi raid ad agosto 2022 sulla Striscia di Gaza hanno inaugurato questa nuova fase. Che non si sa dove potrà portare Israele. Nel frattempo Lapid ha guidato un esecutivo ad interim mirando, dopo il voto, a tenere dritta la barra del timone.

 

In vista del quinto voto in quattro anni il duello è stato, una volta di più, Lapid contro Netanyahu. Come stabilito da un canovaccio politico che vede nel dualismo tra i due big della Knesset l’unico elemento di continuità in un sistema sempre più fluido.

In un voto che ha visto il contesto sociale israeliano virare sempre più in termini securitari, Netanyahu ha ottenuto la possibilità di costruire una contro-coalizione rispetto alla squadra politica di unità nazionale e ottenuto un alleato nella destra sionista reazionaria e anti-araba formata dal terzo polo elettorale più importante secondo i sondaggi: quello costituito dall’Unione Nazionale e da Otzma Yehudit (Forza Ebraica) e che ha avuto come volto noto il tribuno Itmar Ben-Gvir. Nei dati definitivi delle elezioni in Israele tenutesi l’1 novembre 2021 il blocco di partiti che sostengono Benyamin Netanyahu ha ottenuto 64 seggi sui 120 della Knesset.

Il Likud è risultato il primo partito con 32 seggi, proprio davanti ai centristi Yair Lapid, secondi con 24 seggi. Lapid ha visto il ritorno in campo del rivale sempre che ha posto fine alla sua esperienza di premier ad interim e lo ha fatto tornare all’opposizione dopo la fase feconda ma turbolenta dell’unità nazionale. Rendendolo pronto a essere, una volta di più, in dualismo col premier più longevo della storia di Israele. Il cui governo fortemente orientato a destra è stato definito una “minaccia alla democrazia” da Lapid, che sarà negli anni a venire sempre di più il pivot di tutti coloro che non vogliono consegnare il Paese al nazionalismo più spinto del sesto governo Netanyahu.